Greenwashing, cos’è e perché può essere un danno per gli investitori

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La sensibilità ai temi dell’ambiente è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni, anche grazie a un’attenzione mediatica ben più pressante del passato. I consumatori sono diventati più attenti a scegliere i prodotti anche in base alla loro sostenibilità e non solamente al prezzo. Ciò ha innescato un circolo virtuoso, che ha coinvolto sia i produttori che gli intermediari finanziari. Ma è proprio quando tutti parlano di ambiente che si celano i rischi di quello che nel gergo degli investitori è noto come “greenwashing”.

Cos’è il greenwashing

Il termine significa letteralmente “lavaggio (del) verde”, ma in italiano rende di più come “ambientalismo di facciata”. In pratica, si fa greenwashing quando un’azienda afferma di adottare alcune azioni in favore dell’ambiente, mentre nella realtà si comporta in maniera opposta. In parole povere, si tratta di una politica ipocrita, volta a prendere in giro l’opinione pubblica con la vendita di chiacchiere senza riscontro. E questo è tanto più grave se si considera che lo stesso mondo della finanza negli ultimi anni ha ingaggiato spesso una battaglia comunicativa contro l’adozione delle “criptovalute“, accusate di essere altamente inquinanti. Bitcoin, in particolare, è ritenuto dannoso per l’ambiente, in quanto il “mining” avviene il più delle volte in economie come l’Asia, dove la produzione di energia elettrica è generata dall’uso di centrali a carbone e, comunque, facendo scarso uso di fonti rinnovabili.

Pratiche in favore dell’ambiente

Prima di approfondire la questione del greenwashing, dobbiamo parlare di cosa fanno aziende, banche, assicurazioni e fondi di investimento per ottemperare ai loro impegni in favore dell’ambiente. Ormai, tutte o quasi le realtà quotate in borsa, specie di certe dimensioni, vanno incontro alle richieste del mercato di segnalare attenzione ai temi sociali, della governance e dell’ambiente. Queste politiche sono sintetizzate con l’acronimo ESG. Soggetti terzi sono soliti anche certificare il grado di affidabilità con i cosiddetti criteri o rating ESG.

Nel caso della difesa dell’ambiente, gli obiettivi vengono spesso perseguiti e annunciati contestualmente all’emissione di obbligazioni. Le banche che adottano criteri ESG lo fanno anche in rapporto alle erogazioni di credito alla clientela. In pratica, con i “green bond” aziende e intermediari finanziari (ma anche i governi e le organizzazioni sovranazionali) si impegnano a destinare i fondi raccolti per raggiungere alcuni obiettivi ambientali indicati nel prospetto informativo. Nel caso in cui non riuscissero nell’intento, anche solo in parte, i privati generalmente offrono agli obbligazionisti cedole più alte. Tale penalità auto-inflitta serve da stimolo per evitare di non attenersi ai propri stessi impegni. Al contempo, i creditori possono confidare in una sorta di indennizzo per avere confidato nella bontà della controparte senza che si sia concretizzata.

Benefici da politiche ambientali

Nel caso delle banche, spesso si vincolano a non prestare denaro ad attività che inquinano e/o che risultano attive in settori ad alto impatto ambientale (compagnie minerarie, petrolifere, acciaierie, ecc.). Qual è il motivo per cui si adottano tali pratiche? Per mostrarsi attenti all’ambiente, oltre che spesso ad altre tematiche di rilievo sociale. Questa “sensibilità” si traduce nell’accesso al mercato dei capitali in maniera più facile e meno costosa, data la maggiore propensione degli investitori, direttamente o tramite fondi, a finanziare le attività più virtuose. A parità di durata e di ogni altra caratteristica, ad esempio, i green bond vengono emessi a premio rispetto agli altri bond dello stesso emittente. E’ quello che si definisce anche “greenium”, cioè il “premio verde” e che consiste in un rendimento più basso.

Come si fa greenwashing

Dunque, mostrarsi favorevoli all’ambiente conviene. Per questo motivo si è diffuso negli anni il greenwashing. Si tratta di una pratica tesa ad abbindolare il mercato, facendo credere di intraprendere determinate azioni a favore dell’ambiente, mentre così non è. Un esempio tipico è quello di un’azienda che emette un green bond vincolandosi a raggiungere certi target sulle emissioni di CO2 ad una data prestabilita. A consuntivo si certifica che l’obiettivo non è stato raggiunto, magari scatta il pagamento della cedola step up, ma alla fine dei conti chi ci ha rimesso è chi aveva creduto nell’ambientalismo ostentato.

Ci sono altri modi più subdoli di fare greenwashing e non certificabili ufficialmente. Ad esempio, un’azienda si vincola ad utilizzare i proventi raccolti con un green bond per tagliare del 20% le emissioni di CO2 entro 3 anni. Ma anche senza l’emissione si era prefissa tale obiettivo, per cui sta spacciando come nuova una policy già in auge. Oppure può prospettare obiettivi molto facili da raggiungere e senza particolari misure, quando avrebbe modo di centrarne di migliori con qualche sforzo in più.

Danni al mercato

Perché il greenwashing fa male al mercato? Anzitutto, può portare alla perdita di fiducia dei detentori di capitali. Se tutti o tanti fingono di battersi per l’ambiente, non credo a chi magari lo fa seriamente. Questo porta a non riuscire a selezionare i soggetti meritevoli. Anzi, c’è il rischio che la selezione a posteriori risulta sbagliata, cioè che vi sia stata un’allocazione dei capitali inefficiente. Questa sfiducia può portare problemi agli stessi investitori istituzionali, che hanno il compito di raccogliere denaro tra i clienti. Per non parlare ai danni provocati alla concorrenza “onesta”. Con un green bond avrò attirato capitali ai danni di chi ha emesso obbligazioni ordinarie, ma senza aver fatto qualcosa di più o migliore per l’ambiente.

Tra l’altro, quando le prese in giro si moltiplicano e diventano evidenti, l’impulso a fare qualcosa per l’ambiente viene meno in tutti. Perché io consumatore dovrei stare attento a cosa comprare, se le aziende non fanno che prendermi in giro e magari scrivono cose non vere sulle etichette? E’ pericoloso quando s’ingenera un sentimento di pessimismo diffuso, perché può portare all’inazione dinnanzi al problema vero dell’inquinamento e della sostenibilità ambientale.

Rimedi contro greenwashing da direttiva UE

Il 6 marzo 2024 l’Unione Europea ha pubblicato la riformulazione della direttiva comunitaria 2002/29/CE, attraverso la quale si punta a contenere i casi di greenwashing. Come? Adottando sanzioni pecuniarie e non, ai danni di coloro che adottano comportamenti scorretti. Non è possibile pubblicizzare caratteristiche di sostenibilità non direttamente legate al prodotto o servizio. Il confronto con propri prodotti/servizi o della concorrenza deve avvenire con una comunicazione chiara. La sostenibilità deve essere certificata da enti indipendenti. Non si può spacciare per politica sostenibile l’insieme delle pratiche adottate per ottemperare ai requisiti di legge. Indicare la durabilità di un prodotto facendo riferimento a condizioni d’uso non normali è vietato, così come comunicare i vantaggi di un servizio, quando questi comporta l’accorciamento della durabilità di un prodotto (cosiddetta obsolescenza programmata), ecc.

Nei casi di greenwashing, le autorità possono intervenire bloccando la pubblicità e/o comminando sanzioni ai responsabili. La direttiva comunitaria, per quanto abbia cercato di affrontare il problema, non può considerarsi esaustiva. Solo il mercato può discernere con il tempo le realtà che effettivamente adempiono ai loro stessi impegni e quelle che si comportano in maniera scorretta. Il problema sta nel fatto che non sia immediato capire chi mente e chi no. Vale senza dubbio la reputazione dell’attività in ambito ESG, ma non basta. Gli stessi fondi d’investimento stanno frenando circa l’adozione di politiche volte alla sostenibilità sociale e ambientale. Hanno iniziato a percepire che sia un boomerang professarsi per quello che non si è. Bisogna anche essere onesti: se mezzo mondo si sta impegnando a non finanziare le attività “sporche”, queste dovrebbero essere già finanziariamente sfinite. Ma la situazione è totalmente diversa, segno che si è fatto un uso molto improprio di etichette per attirare capitali a basso costo e in abbondanza.

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