Carry trade: cos’è, i rischi e perché in questi anni ha riguardato particolarmente il Giappone

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Se bazzicate nel mondo degli investimenti finanziari o anche solo vi piace essere informati, avrete senz’altro sentito parlare di “carry trade”. L’espressione è stata in voga nell’estate da poco trascorsa, avendo riguardato il crollo della Borsa di Tokyo agli inizi di agosto. Il mercato è andato, per fortuna molto brevemente, nel panico. Si è pensato ad una sorta di scoppio della bolla finanziaria avente ad oggetto lo yen. Cerchiamo adesso di capire nei dettagli di cosa parliamo.

Carry trade, cos’è

Per carry trade intendiamo un’operazione finanziaria che consiste nel prendere denaro in prestito in un’economia dove i tassi di interesse sono bassi per investirlo in un’economia in cui i tassi sono alti. La logica sottostante è molto semplice da comprendere. Con un costo relativamente basso ottengo liquidità da impiegare in asset parecchio fruttiferi. Pensate alla situazione di questi anni. Il Giappone fino al marzo scorso teneva ancora i tassi a livelli negativi. In pratica, la banca centrale prestava denaro alle banche commerciali ad un interesse del -0,10%. Questo significa che, nei fatti, erano le banche ad essere remunerate per avere preso denaro in prestito. Una sovversione delle usuali regole di mercato.

Spread Usa-Giappone allettante

Tralasciamo per il momento le ragioni di questa anomalia, che ha riguardato fino al 2022 anche l’Eurozona. Sta di fatto che negli Stati Uniti, invece, i tassi sono stati fino a poche settimane fa al 5,50%. Una banca o anche un investitore individuale ha avuto la massima convenienza nel prendere in prestito yen per comprare attività finanziarie in dollari. A costo zero o persino sottozero si aveva la possibilità di comprare, ad esempio, un bond a breve durata con rendimento annuale anche superiore al 5%.

Anche la Svizzera ha tassi relativamente bassi. Infatti, il franco svizzero è una delle poche valute mondiali oggetto di carry trade. E anche i prestiti elvetici fino a qualche anno fa erano erogati a tassi negativi. In questa fase, i tassi fissati dalla Banca Nazionale Svizzera sono appena dell’1% contro il 3,50% del tasso sui depositi bancari nell’Eurozona. Capite, dunque, quanto sia conveniente ancora oggi recarsi su questi mercati per ottenere liquidità a tassi esigui per maturare guadagni elevati e in breve tempo investendola su mercati in cui i tassi sono alti.

Attenzione ai bruschi cambiamenti del mercato

Tutto bello, apparentemente semplice. Il problema è che le condizioni di mercato non rimangono immutate nel tempo. Altrimenti sarebbe possibile maturare guadagni illimitati senza fare quasi nulla. All’inizio della spiegazione, dicevamo che il carry trade ha fatto tremare le gambe agli operatori di mercato questa estate. Cos’è successo? La Banca del Giappone ha iniziato ad alzare i tassi di interesse, mentre la Federal Reserve da mesi segnalava l’intenzione di volerli tagliare. In effetti, l’inflazione nipponica resta sopra il target del 2%, mentre negli Stati Uniti sta scendendo verso il target.

Come avrete intuito già, se il differenziale tra i tassi yen-usd si riduce, anche la convenienza del carry trade viene meno. Fino al marzo scorso avevamo rispettivamente il -0,10% da una parte e il 5,50% dall’altra. Oggi, siamo saliti allo 0,25% in Giappone e scesi al 5% negli Stati Uniti. Lo “spread” tra le due economie è sceso dal 5,60% al 4,75%. Attenzione, resta molto allettante. Il punto è che i mercati non se ne stanno zitti e buoni. Man mano che i tassi si evolvono, anche i tassi di cambio variano. Ed è quanto accaduto alla coppia valutaria usd-yen. L’apice fu raggiunto a luglio a un cambio di 161,61, mentre a metà settembre crollava a un minimo di 140,79. In altre parole, lo yen è risalito del 15% contro il dollaro in appena due mesi.

Per il carry trade ciò non va affatto bene. Se prendo in prestito in yen per acquistare in dollari, la precondizione affinché tutto vada nel verso giusto è che il cambio tra dollaro e yen resti invariato o perlomeno che il primo continui ad apprezzarsi contro il secondo. Se accade in contrario, da un lato ottengo rendimenti elevati, dall’altro mi ritrovo in portafoglio asset svalutati dopo la conversione. Tra le altre cose, se i prestiti richiesti in yen sono a tasso variabile, appena i tassi aumentano in Giappone, il costo dell’operazione per me sale.

Rischi da cambio e tassi

Essendo avvenuto tutto un po’ bruscamente, la scorsa estate molti investitori si sono visti costretti a chiudere le posizioni accese grazie al carry trade, innescando una forte ondata di vendite. Per fortuna, ciò è durato relativamente poco. Questo accadimento conferma, tuttavia, quali siano i rischi di questo modo di fare investimenti. Abbiamo visto il rischio di cambio, strettamente connesso al rischio tassi. La verità è che non tutte le coppie valutarie si prestano allo scopo. Ad esempio, soltanto qualche cuore molto forte punta a comprare attività in lire turche, sebbene i tassi al 50% invitino formalmente a farlo. Il fatto è che la lira turca è altamente instabile sul mercato forex, anzi tende costantemente a deprezzarsi contro le altre valute più forti. Non avrebbe senso prendere in prestito in yen, euro o dollari per comprare bond in valuta turca. Lo fanno alcuni investitori istituzionali, ma per periodi brevissimi, sfruttando eventuali momenti di calma per le coppie valutarie.

Il carry trade funge da arbitraggio tra tassi di interesse e di cambio. Se ci pensate bene, lo abbiamo in parte verificato attraverso il caso usd-yen di questi anni. Centinaia di miliardi di dollari sono defluiti dal Giappone agli Stati Uniti in cerca di migliori opportunità di guadagno. Questo trend ha rafforzato il dollaro e indebolito lo yen. Pensate che il secondo ha perso il 36% contro il primo nell’arco di tre anni e mezzo. A sua volta, un biglietto verde più forte ha contribuito a ridurre l’inflazione americana, rendendo meno costosi beni e servizi importati dall’estero. Al contrario, lo yen più debole ha innalzato i prezzi al consumo sul mercato nipponico. La conseguenza è stata che la Federal Reserve ha potuto iniziare a tagliare i tassi, mentre la Banca del Giappone ha dovuto alzarli per rallentare i deflussi finanziari e sostenere il cambio.

Carry trade da valutare caso per caso

Per concludere, il carry trade presenta opportunità e rischi da valutare caso per caso. Non basta soffermarsi sui differenziali tra tassi di interesse per capire dove abbia senso prendere a prestito e dove investire. Ad esempio, in questa fase si è aperta una finestra di opportunità tra Cina e Stati Uniti/Europa. Di recente, la Banca Popolare Cinese ha tagliato il “loan prime rate” al 3,35% e segnale che continuerà a farlo per sostenere l’economia domestica. Ciò dovrebbe indebolire lo yuan rispetto al dollaro e all’euro. Tuttavia, la valuta non è perfettamente convertibile per gli investitori stranieri e la crisi della borsa cinese nel 2015 ha dimostrato che Pechino può cambiare anche repentinamente le regole del gioco, infliggendo perdite alle attività considerate nocive per la propria stabilità finanziaria. Non a caso non c’è la corsa a prendere in prestito yuan, che resta ai massimi da 17 mesi contro il dollaro.

 

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