Cosa sono le vendite allo scoperto e quale impatto può avere il taglio dei tassi

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Quando pensiamo al mondo degli investimenti, siamo portati istintivamente a credere che sia possibile realizzare guadagni solamente se il prezzo di un asset finanziario (azione, obbligazione, quota di un fondo), una materia prima (petrolio, cacao, oro, ecc.) o reale (immobile o mobile) sale. In realtà, il mercato guadagna spesso dalla discesa dei prezzi. Vi starete chiedendo come sia possibile. Avete mai sentito parlare di vendite allo scoperto o “short selling” in inglese? Senza volontà di un’analisi completa, vi forniremo tutte le informazioni essenziali per capire di cosa parliamo.

Cosa sono le vendite allo scoperto

Per vendite allo scoperto s’intende quell’operazione che consiste nel vendere un titolo senza possederlo. Come si fa? Due le vie percorribili. La più semplice si definisce vendita allo scoperto “nuda”: il venditore promette all’acquirente di consegnargli il titolo entro una data prefissata e a un certo prezzo. L’alternativa sarebbe di chiedere a un intermediario finanziario o broker di fornire il titolo da vendere dietro il pagamento di una certa commissione. Questa sarà legata al valore della transazione sottostante e alla durata del prestito. In entrambi i casi, prima s’incassa e dopo si sostiene il costo. Accade per il resto sempre il contrario.

Come avvengono queste scommesse ribassiste

Qual è l’obiettivo di chi effettua vendite allo scoperto? Si scommette sulla discesa del prezzo. Tizio vende a Caio un titolo che non ha, perché crede che esso stia per diminuire di prezzo. Spera, quindi, di acquistarlo sul mercato entro la scadenza pattuita (con l’acquirente nel caso di vendita “nuda” o con il broker nel caso di prestito) ad una quotazione inferiore rispetto a quella fissata per la compravendita. Se così, maturerà una plusvalenza. Ad esempio, Tizio vende allo scoperto Caio 100 azioni della società X per 10 euro ciascuna, incassando subito 1.000 euro. Entro la scadenza pattuita il prezzo del titolo scende a 7 euro, per cui il suo acquisto gli costerà solamente 700 euro. La differenza dei 300 euro saranno per lui un guadagno.

Nel caso in cui si fosse fatto prestare il titolo da un broker, supponendo che questi abbia concordato un interesse su base annuale del 20% per un prestito della durata di 10 giorni, il costo dell’operazione sarà: (10 euro x 100 azioni x 0,20 x 10 giorni) : 365 giorni = 27,40 euro. Chiaramente, esso andrà ad abbassare il guadagno realizzato dall’operazione.

Rischi altissimi

Le vendite allo scoperto sono un segnale “bearish”, cioè di pessimismo riguardo all’andamento futuro di un titolo. Tant’è che il mercato monitora quotidianamente le cosiddette posizioni corte nette, vale a dire le scommesse ribassiste al netto di quelle rialziste per capire quale sia l’umore degli investitori, specie di natura istituzionale. In effetti, queste operazioni non si prestano ad essere effettuate dai piccoli investitori individuali. Come vedremo, sono abbastanza rischiose.

Operando sui mercati, si pensa che il massimo della perdita possa essere il 100% del capitale investito. Nel caso delle vendite allo scoperto, la perdita massima è illimitata. Ad esempio, se acquistiamo un’azione per 100 euro, il massimo che possa accaderci è che il titolo si azzeri. Dunque, perderemmo tutti i 100 euro spesi. Ma quando vendiamo allo scoperto, stiamo scommettendo che il prezzo scenda. Per noi la direzione sbagliata sarebbe che salisse. E qui c’è un problema: teoricamente non esiste alcun limite massimo per un prezzo. Questi può passare da 100 a 2.000 euro, ad esempio. Significherebbe avere perso 1.900 euro (2.000 – 100), il 1.900% del nostro investimento.

Short squeeze, cos’è la corsa alla copertura

In conseguenza di tale rischio elevato, quando il prezzo di un titolo “shortato” si muove nella direzione sbagliata, cioè sale, si verifica quello che in gergo viene definito “short squeeze”. In altre parole, coloro che hanno effettuato vendite allo scoperto corrono a “ricoprirsi” acquistando il titolo, così da limitare le perdite. Tuttavia, l’aumento della domanda amplifica il prezzo stesso e nei fatti sbaraglia definitivamente i titolari di posizioni corte.

Legame tra vendite allo scoperto e tassi

C’è un qualche legame tra vendite allo scoperto e tassi di interesse? La questione rileva proprio in queste settimane, dopo che tutte le principali banche centrali del pianeta, ad eccezione di quella giapponese che sta muovendosi in direzione opposta, hanno avviato il taglio dei tassi. In apparenza, il mercato è relativamente sereno. L’incidenza delle posizioni corte sul valore delle azioni quotate all’indice S&P 500 a Wall Street si aggira intorno all’1,8%, una percentuale storicamente bassa. Significa che gli investitori non sembrano avere granché paura del futuro dei corsi azionari. Quando i tassi scendono, effettivamente le borse tendono a salire. Gira maggiore liquidità sui mercati e questo sostiene i prezzi. Sembrerebbe naturale non cercare di scommettere al ribasso in una siffatta fase.

La questione è un po’ più complessa sul piano sia macroeconomico che tecnico. I tassi generalmente scendono quando l’inflazione arretra e ciò può avvenire per effetto di un indebolimento della congiuntura. Se così, le borse sarebbero destinate a deprezzarsi, specie dopo anni trascorsi a segnare sempre nuovi record, come nel caso di Wall Street. Sul piano più strettamente tecnico, poi, con i tassi di interesse più bassi diventa più conveniente effettuare vendite allo scoperto. I prestiti dei titoli costeranno un po’ meno. Nell’esempio di cui sopra, se anziché il 20% il broker chiedesse il 15%, l’investitore sarebbe più invogliato a scommettere sul ribasso del titolo.

Timori tra governi e opinione pubblica

Le vendite allo scoperto sono oggetto di pregiudizi persino nello stesso mondo della finanza. Scommettere sulla discesa di un titolo è considerata una mossa da speculatore avido, negativa, foriera di cattive notizie. Con il Regolamento n.236/2012 l’Unione Europea vietò queste operazioni, se di valore rilevante, riguardo i titoli di stato comunitari. Fu una risposta a dir poco grezza e stupefacente nella speranza di arrestare la speculazione contro i debiti sovrani nell’Area Euro.

In verità, le vendite allo scoperto sono uno strumento persino essenziale per fornire al mercato liquidità anche nelle fasi ribassiste. Se ci pensate un attimo, se tutti comprassimo solamente quando i prezzi salgono, non ci sarebbe più mercato quando dovessero scendere. Invece, le posizioni corte fungono sia da termometro sullo stato di salute di una società o stato, sia da arbitraggio tra le valutazioni attuali e quelle considerate “fair”. Negli anni della pandemia, il fenomeno fu oggetto di “spedizioni punitive” da parte di un gruppo numeroso e variegato di traders su Reddit. Sul social furono concordati acquisti di azioni fortemente “shortate” come GameStop e AMC Entertainment Holdings. Il risultato fu un’esplosione dei prezzi delle azioni, che fece scattare il succitato “short squeeze”, spezzando le ossa persino a squali della finanza tradizionali.

Vendite allo scoperto strumento più adatto a grandi investitori

Comunque sia, lo strumento rimane rischioso. Poiché un acquirente non attende molti giorni prima che gli venga consegnato il titolo, il venditore non ha molto tempo a disposizione prima che il prezzo scenda. L’unica soluzione sarebbe di farsi prestare il titolo da un broker, ma sobbarcandosi un onere spesso enorme. Su base annua, gli interessi richiesti potrebbero essere persino a tre cifre. Verrebbe meno la convenienza a puntare sulle vendite allo scoperto per cercare di guadagnare. Se si opera a leva, infine, il rischio risulta amplificato, specie se il prezzo iniziasse a muoversi al rialzo e scattasse la richiesta di ricostituire il margine di garanzia (“margin call”) in favore dell’intermediario che ha fornito la liquidità.

 

 

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