Come i titoli di stato francesi sono finiti nel mirino di agenzie di rating e mercati

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Coloro che investono sui mercati finanziari, sapranno quasi certamente che i titoli di stato francesi sono da tempo oggetto di particolari attenzioni tra gli addetti ai lavori e non. Tutto inizia in primavera, quando le agenzie di rating Fitch e S&P declassano il debito sovrano emesso da Parigi di un “gradino” ad AA- dal precedente AA. E’ il primo segnale che la Francia non gode più della massima affidabilità tra gli investitori. E venerdì 13 dicembre è stato il turno di Moody’s, che a sorpresa ha rivisto il suo giudizio anch’essa da Aa2 ad Aa3, allineandosi alle altre due agenzie. E ad ottobre Fitch aveva anche tagliato l’outlook da stabile a negativo, una mossa che lascia intendere un ulteriore declassamento entro i mesi successivi.

Titoli di stato francesi in crisi con le elezioni

Di preciso, cosa sta accadendo ai titoli di stato francesi, noti anche come OAT (Obligations assimilables du Trésor)? Tanto per iniziare la situazione fiscale è negativa. L’anno scorso i conti pubblici si sono chiusi con un deficit salito al 5,5% del PIL dal 4,8% del 2022. Anziché migliorare, il bilancio tende a peggiorare. Una delle ragioni di questo andamento sfavorevole ha a che fare con la precaria situazione politica. Nel 2022 il presidente Emmanuel Macron ottenne un secondo mandato e vinse nuovamente anche le elezioni legislative, ma senza conquistare la maggioranza assoluta dei seggi all’Assemblea Nazionale. Nonostante ciò, un anno dopo riusciva ad approvare una controversa riforma delle pensioni dopo che in 30 anni avevano fallito tutti i suoi predecessori nell’intento.

Ad ogni modo, l’agenda delle riforme ne è uscita indebolita. Quando un governo non dispone dei numeri per fare approvare le leggi, non ha grossi margini di azione. Ma il peggio è arrivato a giugno di quest’anno, mese in cui si sono tenute le elezioni europee. Come ampiamente previsto da tutti i sondaggi, lo schieramento centrista a sostegno di Macron ha perso nettamente in favore del Rassemblement National di Marine Le Pen, formazione della destra sovranista ed euroscettica. Preso atto del voto, il presidente decide a sorpresa di sciogliere l’Assemblea Nazionale ad appena due anni dal precedente voto. Al primo turno trionferà proprio il Rassemblement National, mentre al secondo turno conquisterà la maggioranza relativa il Nuovo Fronte Popolare, uno schieramento di forze di sinistra, che comprende comunisti, socialisti, ambientalisti e il partito di Jean-Luc Mélenchon.

Due governi in tre mesi

La vittoria della gauche è resa possibile solamente dalle desistenze elettorali con i macroniani nei collegi. Un trucco che l’Eliseo ha voluto utilizzare per impedire alla destra di vincere, ma che gli costerà caro. In effetti, nessuno dei tre schieramenti principali in campo ha la maggioranza assoluta. A distanza di oltre due mesi la nomina a primo ministro spetterà a Michel Barnier, uomo della destra repubblicana e già commissario europeo. Debutterà con una proposta di bilancio fatta di tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse per 60 miliardi di euro, pari al 2% del PIL. Noterà subito la drammaticità della situazione dei conti pubblici. I titoli di stato francesi, che tra un turno e l’altro elettorale avevano registrato uno spread fino a 90 punti base (0,90%), risalgono dai minimi, ma restano sotto pressione.

Barnier apre al confronto con Le Pen, infrangendo di fatto un tabù per la politica francese. Tuttavia, l’accordo sulla legge impopolare non arriva. La sinistra presenta una mozione di censura, votata anche dal Rassemblement a dicembre e facendo cadere il governo. Al suo posto ne è stato formato un altro, il quarto di quest’anno. E’ guidato da François Bayrou, leader centrista di lungo corso e capace di raccogliere consensi trasversalmente, perfino tra gli stessi lepenisti. Ma si ritrova a gestire gli stessi problemi di chi lo ha preceduto: necessità di risanare i conti pubblici senza avere una maggioranza parlamentare.

Debito della Francia atteso in ulteriore crescita

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il debito della Francia salirà al 124% del PIL al 2029 dal 112% dello scorso anno. Il deficit rischia di salire sopra il 7% senza alcuna correzione. E’ praticamente certo che il nuovo bilancio sarà approvato solamente agli inizi del 2025, per cui quegli aggiustamenti fiscali necessari per tagliare il deficit non si possono introdurre da subito. E lo stesso dicasi delle misure per sostenere la crescita economica, dato che gli indici macroeconomici per la Francia si mettono male. La manifattura è a pezzi e i servizi si stanno indebolendo pericolosamente.

C’è chi può pensare che la bufera che sta investendo i titoli di stato francesi sia passeggera. In fondo, lo spread decennale con i titoli tedeschi resta contenuto entro gli 80-90 punti base. C’è da aggiungere, però, che ormai i loro rendimenti superano quelli offerti dai Bonos spagnoli e, a tratti, persino di quelli greci. Solamente i BTp italiani offrono ancora di più, ma il premio si va riducendo. Adesso, viaggia intorno ai 35 punti base, mentre agli inizi dello scorso giugno era ancora intorno agli 80 e nell’autunno del 2023 sui 150. Questo significa che nella percezione degli investitori la Francia non è più un emittente sicuro al pari della Germania. E’ trattata alla stregua della vicina Spagna e sempre più come un’altra Italia.

Fattori di debolezza fiscale

A conferma che non si tratti di un trend passeggero, dovete considerare che, a differenza dell’Italia, la Francia ha una bilancia commerciale cronicamente passiva, così come una posizione finanziaria netta con l’estera. In parole povere, mentre noi italiani siamo a credito con il resto del mondo ed esportiamo per un valore superiore rispetto a quanto importiamo, i nostri cugini francesi sono a debito e importano più di quanto esportano. Come si dice in gergo, essi vivono “sopra le loro possibilità”. Sembra di riascoltare analisti ed investitori negli anni bui della crisi del debito italiano, quando questi discorsi riguardavano proprio noi. In quel periodo gli investitori iniziarono a guardarsi intorno e il successo delle crypto si deve in buona parte alla perdita di fiducia verso le istituzioni pubbliche che si diffuse da allora.

Nei prossimi mesi è probabile che le agenzie di rating declassino ulteriormente i titoli di stato francesi, perché di miglioramenti visibili i conti pubblici non ne registreranno quasi certamente. La situazione politica è tutt’altro che calmata con la nomina di Bayrou. Nessun partito si assumerà la responsabilità di imporre dure misure di austerità fiscale ai cittadini, a maggior ragione che il governo non è in sostanza di nessuno. La Costituzione impedisce di sciogliere l’Assemblea Nazionale prima di un anno dalle precedenti elezioni. Questa previsione può portare a un forte impasse istituzionale, con un governo impossibilitato a legiferare e conti pubblici allo sbaraglio. L’art.49.3 della Costituzione francese prevede per il governo la possibilità di fare passare una legge senza il voto dei deputati e senatori. Ma se ciò potrà anche servire ad approvare il nuovo bilancio, è chiaro che porterebbe allo scontro totale tra Assemblea ed esecutivo. Tant’è che i socialisti, più morbidi dei loro alleati riguardo a una possibile intesa con il governo, hanno chiesto a Bayrou proprio di non avvalersi di tale potere estremo.

Titoli di stato francesi attesi deboli anche nel 2025

Al di là della crisi contingente, non si può non notare che il debito della Francia fosse intorno al 65% fino al 2007 e che sia decollato negli anni successivi fino a sfiorare il 100% prima della pandemia. Le distanze con Paesi notoriamente indebitati come l’Italia si sono accorciate e questo fa sì che anche i rating siano sempre meno robusti. I rendimenti offerti dai titoli di stato francesi potrebbero impennarsi nei prossimi mesi con le eventuali dimissioni di Macron, che il sottoscritto ha escluso categoricamente, ma che gli analisti politici iniziano a considerare uno scenario contemplabile, visto il caos parigino. La Banca Centrale Europea nel frattempo sta cercando di sostenere i prezzi e contenere i rendimenti, potendo agire nell’ambito dei due programmi monetari, pur dismessi, ma calibrabili marginalmente. Per quanto durerà?

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