Il pasticcio dell’Europa sugli asset russi congelati è un segnale positivo per le criptovalute

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Forse, in questi giorni avrete sentito parlare degli asset russi “congelati” in Europa e rispetto ai quali la Banca Centrale Europea (BCE) si è rifiutata di erogare un prestito di 140 miliardi di euro e destinato all’Ucraina. Lo aveva richiesto l’Unione Europea per cercare di bypassare le questioni legali che stanno paralizzando le sue istituzioni e creando una impasse imbarazzante nel sostegno dei governi comunitari a Kiev. La vicenda è complicata e Bruxelles rischia di non venirne a capo.

Asset russi congelati con la guerra

Quando la Russia invase l’Ucraina nel febbraio del 2022, l’Occidente rispose comminando sanzioni finanziarie senza precedenti. Una reazione durissima che l’ex presidente americano Joe Biden aveva promesso prima dell’attacco di Mosca. Tra queste vi fu il “congelamento” di asset russi per circa 300 miliardi di dollari. Di cosa si tratta? Riserve valutarie della Banca di Russia. Per farla breve, la Federazione Russa esporta nel mondo petrolio e gas e poco altro. Per questo entrano nelle sue casse dollari, che investe all’estero con l’acquisto di asset fruttiferi.

Gli asset russi congelati ammontarono al tempo a quasi la metà delle intere riserve valutarie pre-belliche. Se facciamo riferimento al dato senza includere le tonnellate di oro possedute, scopriamo che incidevano per il 60% del totale. Questi asset risultavano investiti per 209 miliardi di euro nell’Unione Europea, di cui 185 miliardi presso Euroclear. Questa è una “clearing house” molto nota a chi è abituato ad investire sui mercati finanziari, magari anche a leva. Ha sede nel Belgio, particolare di cui discuteremo tra poco.

Questi asset russi non sono stati ad oggi “espropriati”, in quanto la Banca di Russia ne rimane titolare. Tuttavia, non ne ha la disponibilità materiale, per cui non può accedervi, vendere o compiere una qualsiasi altra operazione. In questi anni, l’Europa si è limitata a utilizzare i rendimenti degli investimenti per donarli all’Ucraina a titolo di sostegno contro la guerra d’invasione voluta dal presidente Vladimir Putin.

Svolta al G7 in Puglia

Perché si parla di asset russi in queste settimane? Il tema è caldo da mesi, se non anni. Già al G7 in Puglia del 2024 Europa, Giappone e Stati Uniti avevano concordato di destinare parte di queste risorse per finanziare l’Ucraina con un prestito da 45 miliardi. La Commissione si è portata più avanti, arrivando a studiare un prestito da 140 miliardi garantito proprio da tali riserve custodite presso l’Euroclear. Il primo ministro belga, Bart de Wever, si è opposto. Ha definito tale schema “del tutto sbagliato”. Per questo la Commissione ha immaginato che fossero i 27 governi comunitari a garantire l’emissione di un prestito da 140 miliardi per il tempo necessario a trovare una soluzione legalmente inappuntabile sugli asset russi.

Anche questa soluzione è risultata confusa e c’è stato il sentore che non avrebbe portato a nulla di concreto in tempi brevi. All’Ucraina i soldi servono in fretta, anche perché la situazione sul campo è grave. Gli attacchi russi s’intensificano, malgrado il piano di pace sottoposto dagli Stati Uniti a Putin. Come estrema ratio, la Commissione si era rivolta alla BCE per chiederle di erogare 140 miliardi ad Euroclear, che a sua volta li avrebbe girati all’Ucraina, avendo come garanzia sempre gli asset russi. L’istituto ha fornito l’unica risposta possibile: no, grazie! Il Tratto di Funzionamento dell’Unione Europea gli impedisce di finanziare direttamente gli stati, a tutela della stabilità dei prezzi e della credibilità della politica monetaria. Sarebbe stato un infrangimento di tale divieto.

Belgio contrario per ragioni legali

Ora la palla è nuovamente tutta nel campo di Bruxelles, dove il Belgio continua ad opporsi all’esproprio degli asset russi. Perché? Teme che la Russia possa adire le vie legali per chiedere la restituzione di tali risorse. A quel punto, Euroclear sarebbe costretta a pagare e il governo belga ad intervenire per salvarne i conti. Ecco perché il premier chiede che tutti i governi siano eventualmente favorevoli al sequestro e in modo definitivo e incondizionato. Altri stati come Italia, Francia e Germania hanno frenato fino ad ora. Il problema è di natura legale: l’UE non ha titolo per sequestrare gli asset russi. Sebbene tutti concordino sulla necessità che la Russia paghi le spese di riparazione per essere la responsabile di una guerra senza giustificazione, sul piano strettamente legale Bruxelles non può espropriarne gli investimenti sovrani. Oltre tutto, l’Ucraina neppure fa parte dell’UE.

Rischio reputazionale per l’Europa

La questione è più ampia. L’UE rischia di essere percepita un’area rischiosa per gli investitori provenienti da aree del pianeta in potenziale conflitto geopolitico con essa. E la conseguenza sarebbe che gli afflussi di capitali verso il nostro continente si arresterebbero. Smetteremmo di attirare risorse dal resto del mondo e questo sarebbe un problema immenso per un’economia che per definizione si basa sui capitali. Il nostro vantaggio competitivo svanirebbe. Non è un caso che la BCE, prima ancora del rifiuto di questi giorni, si fosse espressa contro una simile ipotesi, intravedendo una minaccia per l’ambizione dell’euro di assurgere allo status di valuta di riferimento per gli scambi e le riserve valutarie globali.

Questa situazione accende i fari sui rischi che si corrono ovunque nel mondo investendo nel posto sbagliato al momento sbagliato. Poiché non è possibile prevedere anzitempo ogni tipo di frizione tra i governi, magari scaturita da eventi improvvisi, tutti i capitali sono soggetti all’incertezza, in relazione agli asset manipolabili e controllabili da organismi istituzionali o persino finanziari. Non è così per le criptovalute, che nascono come asset decentralizzato proprio per sganciare il mercato dalla dipendenza di governi, banche centrali e finanza tradizionale. Nessuno potrebbe sequestrare gli investimenti in Bitcoin, Ethereum, ecc. L’anonimato garantito ai possessori contribuisce a rendere più sicuro questo genere di operazioni.

Asset russi esempio di rischio geopolitico negli investimenti

Mai come oggi, investire in criptovalute può significare l’azzeramento del rischio geopolitico. Può sembrare un paradosso, dato che in queste settimane le tensioni stanno colpendo le quotazioni dei token digitali. Questo si deve al fatto che la propensione al rischio tra gli investitori è andata scemando e questo asset è considerato rischioso. La situazione potrebbe mutare in un orizzonte temporale medio-lungo. Man mano che il mercato acquisirà maggiore familiarità, le criptovalute diventeranno destinazione dei capitali proprio nelle fasi più tese per sfuggire a possibili sanzioni e rappresaglie reciproche tra governi. Il caso degli asset russi dimostra che se Mosca avesse investito i suddetti 300 miliardi di dollari in Bitcoin, ad esempio, oggi ne avrebbe la piena disponibilità, anziché dovere sperare che il “nemico” proceda con l’esproprio dopo anni di “congelamento”.

 

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