Argento ai massimi dal 2012, possibile un nuovo boom con il “silver squeeze”

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Mentre l’attenzione di media e analisti si concentra sull’oro, che ha segnato il suo ennesimo record storico oggi a quasi 2.760 dollari l’oncia, l’argento inizia anch’esso ad offrire soddisfazioni agli investitori. Nelle ultimissime sedute, ha posto fine a una frustrazione che va avanti dallo scorso mese di maggio, da quando le quotazioni hanno iniziato ad oscillare senza direzione attorno ai 30 dollari l’oncia. Oggi, il metallo ha sfiorato i 34,80 dollari, salendo ai massimi dal 2012. I 48 dollari del 2011 restano lontani, anche se si è appena diffuso un clima di ottimismo sul futuro a breve dei prezzi.

Argento ancora sottovalutato

Sono diverse le ragioni di questo improvviso boom. Anzitutto, l’oro funge da driver primario. Il rapporto tra i prezzi dei due metalli è monitorato al fine di capire se uno dei due sia sotto- o sopravvalutato. E nello specifico, alla chiusura delle quotazioni di venerdì scorso, servivano quasi 81 once di argento per acquistarne una di oro. L’andamento storico negli ultimi venti anni ha visto tale rapporto attestarsi in media a 68. Questo implicherebbe una certa sottovalutazione per l’argento. Sarebbe un segnale “bullish”, vale a dire di acquisto.

I fondamentali stessi depongono a favore dell’argento. Il 2024 si sta chiudendo per il quarto anno di seguito con un deficit di offerta sul mercato. Le estrazioni sono ormai strutturalmente inferiori alla domanda. La carenza delle prime per quest’anno è attesa nell’ordine delle 6.103 tonnellate, il secondo dato più alto negli ultimi venti anni. A differenza dell’oro, infatti, l’argento ha un impiego diffuso nei processi industriali, tra cui per la produzione di componenti elettronici e pannelli fotovoltaici. La svolta green ne sostiene la domanda e anche per questo il suo futuro nei prossimi mesi e anni è in buona parte legato all’esito delle elezioni presidenziali americane.

Possibile effetto Trump

Donald Trump non è favorevole alla transizione energetica. Se tornasse alla Casa Bianca, egli punterebbe sul potenziamento delle estrazioni di idrocarburi, a discapito ovviamente delle alternative green. Questa politica ridurrebbe la domanda di argento, la quale verrebbe anche colpita da una probabile guerra dei dazi scatenata da Washington nei confronti della Cina e che coinvolgerebbe la stessa Europa. Tutto ciò che può minacciare la crescita economica mondiale è da considerarsi negativo per l’argento, mentre può sostenere gli acquisti di oro in qualità di bene rifugio.

Occhio al silver squeeze

Ci sarebbe anche un fattore tecnico a sostegno dell’argento. L’analista Jesse Colombo ha notato come le posizioni corte o ribassiste nette sul metallo siano salite ai massimi da otto anni: 38.832 contratti per 194,43 milioni di once o 5.512 tonnellate. Stiamo parlando di qualcosa come il 23% della produzione annuale. Questo stato delle cose porterebbe a un cosiddetto “silver squeeze”. In cosa consiste il fenomeno? Coloro che hanno scommesso sul ribasso delle quotazioni, quando queste vanno nella direzione opposta iniziano ad allarmarsi. Le perdite possono essere ingenti e, in teoria, infinite. Per questo, ad un certo punto, anche facendo ricorso ai “loss stop”, gli shortisti sono costretti a “ricoprirsi”, acquistando l’asset sul mercato.

Quando ciò avviene, nei fatti contribuiscono a far accelerare i guadagni del titolo o materia prima contro cui avevano scommesso. E per l’analista questo sarebbe uno di quei casi. L’argento è salito così tanto e ai massimi da dodici anni da far scattare la corsa agli acquisti tra gli “shortisti”, innescando lo squeeze di cui sopra.

Pessimismo sui mercati

Come dicevamo sopra, ai prezzi di venerdì scorso il rapporto tra oro e argento era di 81. Se dovesse tendere alla media ventennale, ci sarebbero tre scenari possibili: o il metallo giallo crolla di quasi il 20% o il grigio s’impenna di un altro quasi 20% o si verifica una situazione mista, per cui il primo scende un po’ e il secondo sale anch’esso un po’.

Da notare che il rapporto tra oro e argento segnala il clima di relativo ottimismo sui mercati. Quando è troppo alto, significa che gli investitori cercano riparo da crisi e tensioni o semplicemente da paure diffuse. Quando è troppo basso, evidentemente non hanno paura e c’è alta domanda a fini produttivi. Dunque, l’economia mondiale andrebbe bene ed è percepita in positivo anche nel prossimo futuro. Nella fase attuale, abbiamo prezzi relativamente elevati per entrambi i metalli, ma con un rapporto ancora molto sbilanciato a favore dell’oro. Dunque, c’è pessimismo sui mercati.

Bene rifugio a metà

Certo, in sé si tratterebbe di un segnale rialzista per l’argento, che in fondo è anch’esso un bene rifugio, pur meno autorevole dell’oro. Ma c’è un grosso limite “fisico” a questa sua natura. Date le quotazioni, investire in oro un certo capitale comporta l’acquisto di una quantità di gran lunga maggiore di metallo. Se volessi mettere in salvo 1 milione di euro, mi basterebbe mettere in cassaforte neppure 11,30 chili di oro. Ma ci vorrebbero quasi 894 chili di argento per perseguire il medesimo obiettivo. Comprensibile come il mercato opti per la prima opzione. Oltre a problemi di spazio, se ne avrebbero altri legati alla sicurezza e ai costi per la custodia.

Dunque, questo argento è destinato a salire ulteriormente nel breve termine o a fare possibilmente marcia indietro? Al netto di ogni altra considerazione, fino a quando l’oro si apprezzerà, essendo le sue quotazioni legate ad esso, è verosimile che continui a registrare una performance positiva. E tra gli analisti c’è quasi un’unanimità di vedute circa il fatto che l’oro nei prossimi mesi salga ancora, specie in un contesto geopolitico teso e con le banche centrali che stanno quasi tutte tagliando i tassi per adeguarsi ai minori livelli di inflazione. Il taglio dei tassi è alla base da tempo anche del boom delle criptovalute, i cui prezzi potrebbero esplodere nel caso di vittoria di Trump.

Argento verso 50 dollari?

Tra gli esperti c’è chi si avventura a prevedere una risalita ai massimi di sempre di 50 dollari, toccati brevemente nel 1980. Se accadesse, bisogna ammettere che si tratterebbe di quotazioni soltanto nominalmente uguali a quelle di quasi 45 anni fa. Tutti comprendiamo che un dollaro al tempo valesse di più di un dollaro di oggi. Per l’esattezza, negli Stati Uniti l’inflazione in tutto questo tempo ha toccato il 284%. In pratica, sarebbe come dire che il prezzo odierno dell’argento corrisponda ad appena 9 dollari del 1980 e quello dell’oro a 720 dollari. Anche di questo dobbiamo tenere conto quando parliamo in maniera roboante di massimi storici. I dati depurati dalla perdita del potere di acquisto raccontano una storia in parte differente.

 

 

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