Questa settimana, è accaduto qualcosa di clamoroso sui mercati finanziari. Per la prima volta dalla nascita dell’euro, i rendimenti decennali dei bond francesi sono saliti sopra i livelli italiani. Per poco, salvo scendere appena al di sotto subito dopo. Ad ogni modo, è stata l’ufficializzazione della crisi fiscale e politica che sta travolgendo Parigi. Nella serata di domani, l’agenzia di rating Fitch è probabile che ridurrà il suo giudizio sul debito pubblico transalpino da AA- con outlook “negativo”. E’ lo stesso assegnato da S&P e di Moody’s (Aa3), sebbene quest’ultima abbia ancora prospettive “stabili”.
Bond francesi giù con la caduta del governo Bayrou
Ad avere aggravato la crisi dei bond francesi c’è stata la caduta del governo Bayrou di lunedì sera. La sfiducia da parte dell’Assemblea Nazionale ha portato alle dimissioni l’ex primo ministro centrista, mentre al suo posto è stato nominato il suo ministro della Difesa, Sébastien Lecornu. E’ il quinto primo ministro dagli inizi del 2024, il terzo dalle elezioni anticipate del giugno scorso, quando il presidente Emmanuel Macron sciolse a sorpresa l’Assemblea per reagire alla dura sconfitta rimediata dal suo partito alle elezioni europee.
Conti pubblici francesi allo sbaraglio
Il “sell off” ai danni dei bond francesi si è accentuato proprio da quel momento in avanti. Lo rivela lo spread italiano, che è passato dagli oltre 80 punti base (0,80%) a zero in poco più di un anno. I mercati guardano con preoccupazione all’incapacità della politica francese di dare risposte sui conti pubblici. Il deficit si è attestato al 5,8% nel 2024 e per quest’anno è atteso intorno al 5,5%. Il precedente governo avrebbe voluto tagliarlo al 4,6% per il 2026, come da accordo con la Commissione europea. Ricordiamo che la Francia si trova sotto procedura d’infrazione insieme a numerosi altri stati comunitari, tra cui l’Italia, per deficit eccessivo. Il debito pubblico stesso potrebbe salire al 125% nel 2029 dal 113% dello scorso anno.
La differenza sta nel fatto che già l’anno scorso l’Italia riusciva a tagliare il deficit al 3,4% e a tornare all’avanzo primario per lo 0,4%. Al netto della spesa per interessi, i nostri conti pubblici esitano un saldo attivo come fino alla pandemia. Per cercare di risanare le finanze statali, François Bayrou aveva proposto un pacchetto di misure da 44 miliardi di euro tra tagli alla spesa pubblica e aumenti delle imposte. Le opposizioni, che sono maggioranza tra i deputati, non hanno appoggiato questa linea.
La situazione è così grave che l’ex ministro dell’Economia, Eric Lombard, ha adombrato un possibile salvataggio del Fondo Monetario Internazionale. I bond francesi non sono gli unici sotto pressione. Soffrono anche i Gilt emessi dal Tesoro britannico e gli stessi titoli del debito americano non se la passano bene. Il Treasury a 30 anni la scorsa settimana è arrivato ad offrire il 5%. In Giappone, malgrado tassi di interesse ancora quasi azzerati, il trentennale è salito ai massimi storici in termini di rendimento.
Lo scudo BCE contro lo spread
Difficile che Lecornu possa riuscire là dove i predecessori hanno fallito. Le elezioni presidenziali in programma nella primavera del 2027 spingono i partiti a non sostenere politiche di austerità fiscale impopolari. Che cosa potrà accadere ai bond francesi se l’instabilità politica degenerasse, trascinando negli abissi la fiducia verso Parigi? La Banca Centrale Europea ha smentito oggi di avere discusso di un particolare strumento, varato nel luglio del 2022 e rivolto allora all’Italia. Si chiama Transmission Protection Instrument (TPI), più volgarmente noto ai giornali come “scudo anti-spread”. L’istituto ha mantenuto i tassi di interesse invariati, prevedendo un’inflazione più alta nel medio termine e una crescita dell’economia nell’Eurozona più robusta.
Il TPI può dare una mano ai bond francesi? Per prima cosa, dobbiamo capire di cosa si tratta. Questo salvagente può essere richiesto dal governo che riscontra difficoltà a rifinanziarsi sui mercati. Può essere attivato quando lo spread sale pericolosamente e senza una giustificazione di fondo. Esso consiste in acquisti di titoli a medio-lungo termine, subordinatamente all’impegno sottoscritto dal governo di realizzare le riforme richieste. Inoltre, il Paese che emette i titoli oggetto di acquisto non deve trovarsi sotto procedura d’infrazione. Tali acquisti non possono essere illimitati, in quanto non devono minacciare gli obiettivi della politica monetaria. In pratica, il TPI non deve mettere a repentaglio il target d’inflazione al 2%.
Rischi per inflazione europea
Questo scudo non è attivabile automaticamente, è condizionato e limitato. In teoria, date le attuali condizioni di mercato, la BCE avrebbe scarsi margini di manovra per acquistare i bond francesi senza infrangere il suo impegno a centrare l’obiettivo della stabilità dei prezzi. Già in agosto questi sono cresciuti in media del 2,1% nell’Eurozona, appena sopra il target di riferimento. Per non parlare del fatto che la Francia, proprio perché sotto procedura d’infrazione da Bruxelles, non potrebbe accedere al programma. E, soprattutto, quale governo sottoscriverebbe riforme che non avrebbe modo di varare, data l’assenza di una maggioranza parlamentare?
A rigore, i bond francesi non possono confidare più di tanto nel sostegno della nostra banca centrale. Questo vale come ragionamento teorico. In gioco c’è la sopravvivenza dell’euro e dell’Unione Europea. La BCE non poteva permettersi in passato di perdere l’Italia, meno che mai ora può permettersi di fare a meno della seconda economia dell’area. Poiché i paletti di cui sopra esistono, la soluzione che si prospetterebbe per superarli sarebbe di infrangere l’obiettivo sull’inflazione al 2%. Come già teorizzato negli anni passati, Francoforte potrebbe sempre accampare come scusa che la cattiva trasmissione della politica monetaria rappresenta una minaccia al raggiungimento della stabilità dei prezzi nell’Eurozona.
Impatto sui mercati dei bond francesi
Come dicevamo, la situazione è grave. Anche se fosse vero quanto appena evidenziato, resterebbe il fatto che i bond francesi rischino di fare una brutta fine. Proprio perché i mercati fiutano un simile scenario, stanno pretendendo rendimenti a lungo termine più alti. Tra debiti che aumentano per finanziare il riarmo e un’inflazione che potrebbe rialzare la testa per la necessità delle principali banche centrali di salvare i conti pubblici dei rispettivi governi, il premio si è alzato per le scadenze più lunghe. Prendiamo gli stessi Bund: a 30 anni offrono oggi lo 0,60% in più della scadenza a 10 anni. Prima delle elezioni federali di febbraio, tale premio ammontava solamente allo 0,25%.
Queste preoccupazioni spiegano il boom dell’oro, schizzato nelle ultime sedute fin sopra i 3.650 dollari l’oncia. E per comprare Bitcoin bisogna spendere oggi sui 114.500 dollari, sempre in prossimità dei massimi di agosto e in rialzo di oltre il 22% quest’anno. Il terremoto che sta scuotendo i bond francesi è destinato a durare, a causa dello scenario politico poco confortante. I rischi per il momento appaiono più orientati al rialzo. Al netto di ogni altra considerazione di natura geopolitica ed economica europea.