Se siete investitori sul mercato obbligazionario, vi sarà capitato di sentire parlare di “curva dei tassi” o anche “curva delle scadenze”. Sappiamo tutti che un bond è un titolo del debito che può avere una scadenza breve, media o lunga. Più questa si allontana nel tempo, più alto il rendimento generalmente richiesto dal mercato. In altre parole, i rendimenti a lungo termine tendono a risultare più alti dei rendimenti a breve termine. Ci sono diverse ragioni per questo dato di fatto. Una delle principali è che con l’allungarsi dell’orizzonte temporale, il mio investimento diventa meno sicuro a causa delle incertezze specifiche e generali. Se compro il titolo di stato emesso dagli USA, oggi unica superpotenza mondiale, sono pressappoco sicuro che mi verrà rimborsato tra 3, 4 o 10 anni. Ma se la scadenza è di 30 anni, già inizia ad esserci qualche dubbio. Chi lo sa quali saranno le condizioni degli USA tra diversi decenni?
Rendimenti a lungo termine, quali sono
Per rendimenti a lungo termine s’intendono di solito quelli di durata superiore ai 10 anni. E’ una convenzione, non un dato scolpito sulla roccia. I rendimenti a breve termine sono quelli a 1-2 anni, mentre sopra tale durata si parla più propriamente di periodo medio-breve fino ai 5 anni. Dai 5 anni in avanti fino ai 10, invece, siamo in presenza di rendimenti medio-lunghi. Prendete con le pinze queste definizioni per niente formali.
Negli ultimi tempi stiamo assistendo a un fenomeno che sciocca molti investitori retail, mentre i più esperti e quelli istituzionali ne comprendono perfettamente le cause. I rendimenti a lungo termine stanno o rimanendo alti o tornano da alcuni mesi a risalire. Non è quanto vorresti vedere con i tassi di interesse in calo, tagliati dalle grandi banche centrali con l’eccezione della Banca del Giappone che li ha rialzati. Siamo portati a credere che i prezzi dei bond si muovano verso l’alto quando i tassi scendono. Ed è generalmente così. Il costo del denaro fissato dalle banche centrali influenza i rendimenti, che a loro volta si muovono nella direzione opposta ai prezzi. Quello che molti ignorano è che questa relazione diretta esiste perlopiù con i rendimenti a breve termine.
Tassi in calo e inflazione USA in ripresa
La Federal Reserve, che funge da banca centrale negli Stati Uniti, iniziò a tagliare i tassi nel settembre dello scorso anno e lo fece per tre volte per complessivi 100 punti base, corrispondenti all’1%. I tassi americani sono scesi dal 5,50% al 4,50% attuale. E sapete cos’è successo ai rendimenti a lungo termine? Anziché scendere anch’essi, hanno ripreso a salire. Il Treasury a 30 anni offriva meno del 4% alla vigilia del primo taglio e oggi si aggira a poco meno del 4,90%. Com’è possibile? Come abbiamo anticipato, i tassi influenzano soprattutto le scadenze brevi, almeno direttamente. In questo caso, però, neanche il Treasury a 2 anni ha seguito il trend ribassista: rendeva il 3,55% e oggi quasi il 3,95%. E’ il segnale che il mercato si aspetta che i tassi risaliranno nel medio termine, a causa di un’inflazione in ripresa.
In generale, i rendimenti a breve termine scontano il livello dei tassi. Invece, i rendimenti a lungo termine prezzano l’inflazione attesa e le incertezze relative alle condizioni geopolitiche e di natura fiscale del Paese debitore. In Europa, pur in misura meno marcata, sta succedendo la stessa cosa. La nostra Banca Centrale Europea ha iniziato a tagliare i tassi nel giugno dello scorso anno, portandoli dal 4% sui depositi bancari al 2%. Il Bund a 30 anni è passato dall’offrire il 2,75% a quasi il 3,20% attuale. Facciamo riferimento ai titoli di stato della Germania, in quanto benchmark per l’intero mercato dell’Eurozona.
L’Europa imbraccia il fucile
A influire è stato in maniera particolare l’annuncio sul riarmo varato dall’Unione Europea per aumentare la capacità di difesa degli stati membri. Questi potranno fare deficit allo scopo fino all’1,5% del PIL senza che venga conteggiato ai fini del Patto di stabilità. La sola Germania ha fatto presente che stanzierà 500 miliardi per la difesa in 10 anni e altri 500 miliardi per migliorare le proprie infrastrutture. I rendimenti a lungo termine tedeschi risalgono per scontare maggiore debito e anche inflazione. I dazi americani preludono a un depotenziamento della globalizzazione. I mercati saranno più chiusi e le relazioni commerciali meno intense. Ciò comporterà un aumento dei costi di produzione con annessi effetti sui prezzi al consumo.
Pressioni sulla Federal Reserve
La risalita dei rendimenti a lungo termine sta preoccupando i governi. Già il Giappone ha annunciato che taglierà le emissioni di debito con scadenze lunghe per cercare di contenere l’aumento della spesa per interessi. Nelle altre principali economie non ci sono piani espliciti in tal senso, tranne che negli USA. Qui, il segretario del Tesoro, Scott Bessent, ha proposto qualcosa di simile. In più, ha annunciato l’allentamento delle regole bancarie, in modo da consentire agli istituti di credito di acquistare più titoli di stato senza dover accantonare capitale a copertura del rischio, come se fossero titoli “spazzatura”. Una distorsione effetto di una legge del 2009 – la Supplementary Leverage Ratio – nata con l’intento di rafforzare patrimonialmente le banche per evitarne una nuova crisi dopo quella devastante del 2008. Grazie a tale revisione, si calcola che ci saranno maggiori margini per acquistare titoli del Tesoro americano fino a 7.200 miliardi di dollari, un quarto dell’intero stock in circolazione.
Il governo di Donald Trump sta facendo forti ed esplicite pressioni sulla Federal Reserve per abbassare i tassi e ottenere così la riduzione dei rendimenti a lungo termine, che influenzano non solo il costo del debito pubblico, ma anche le rate di mutui e prestiti nel settore privato. Proprio ieri, il presidente reagiva stizzito al mantenimento dei tassi al 4,50%, definendo il governatore Jerome Powell “troppo in ritardo”. Per quanto abbiamo spiegato, però, questa strategia rischia di rivelarsi fallimentare. Il taglio dei tassi non avrebbe un impatto diretto sulle scadenze lunghe, anzi può accentuare la loro crisi sul mercato stimolando aspettative d’inflazione più alte e accrescendo i timori sulla tenuta fiscale di Washington.
I rendimenti a lungo termine non scoraggiano gli investimenti in criptovalute
La risalita dei rendimenti a lungo termine rischia di porre fine a una lunga era durata circa 40 anni, durante la quale i governi hanno consolidato i rispettivi debiti. Essi hanno, cioè, allungato la durata media delle scadenze, riducendo la dipendenza dei conti pubblici dalla volatilità dei mercati. Addirittura, nei prossimi anni potranno trovarsi costretti ad accorciare la durata media, un fatto che mal si concilia con l’aumento delle emissioni di debito. L’incertezza globale aumenterebbe al punto da trasmettersi anche alle scadenze più brevi. Le banche centrali si troveranno a fronteggiare una situazione senza precedenti nella storia moderna. E anche per questo la ripresa del dollaro nelle ultime sedute non sta intaccando la voglia del mercato di comprare Bitcoin e altre criptovalute. C’è la sensazione diffusa che arriveranno presto grossi guai per i governi se non porranno rimedio agli squilibri fiscali.