Criptovalute: definizione, funzionamento e opportunità d’investimento

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Criptovalute: Come nascono? Come funzionano e che opportunità offrono sia al grande investitore che al comune utente privato?

Ogni tanto è molto importante fare un passo indietro, e raccontare la storia effettivamente dall’inizio, per capire — e far capire a un numero crescente di persone — l’importanza di questa straordinaria “scoperta”, che ovviamente non nasce dal nulla, ma deriva da studi, dibattiti, correnti e implementazioni tecnologiche risalenti a decine di anni fa.

Criptovalute agli albori: informazione e moneta

Le criptovalute rappresentano una delle innovazioni finanziarie più significative del XXI secolo. Sono valute digitali che utilizzano la crittografia — da cui deriva evidentemente il loro nome — per garantire e verificare le transazioni, nonché per controllare la creazione di nuove unità. Si tratta di informazione pura trasformata in valore economico e monetario!

L’origine delle criptovalute, ovvero, più precisamente, della prima e più importante crypto che risulta essere sia storicamente che logicamente Bitcoin, risale però a teorie sorte molto prima, addirittura nella metà degli anni Ottanta.

All’epoca, negli Stati Uniti, in un clima di crescente diffusione delle tecnologie informatiche e crittografiche, la cui componente telematica era ancora affidata a tecnologie analogico-digitali, andò diffondendosi una corrente piuttosto sotterranea di pensatori, economisti, informatici e crittografi, che teorizzò la nascita di una Grande Rete di elaboratori interconnessi in modalità decentralizzate.

Queste reti venivano immaginate come protette da procedure crittografiche, in grado di trasmettere informazioni tra utenti senza incorrere nella censura di governi, multinazionali e “grandi fratelli” di varia natura, sia nazionali che sovranazionali.

Dai cypher-attivisti a Nakamoto

Tali movimenti, culminanti in quello che oggi conosciamo come “CypherPunk”, produssero vari scritti e manifesti tecnologico-politici, teorizzando la crescente importanza della cifratura dati e l’opportunità di creare addirittura una moneta costituita da sola informazione crittografica, che risultasse resiliente al controllo e compatibile coi nuovi standard che la società avrebbe reso necessari in materia di privacy.

Per arrivare alle moderne criptovalute dovevamo però necessariamente attendere che la tecnologia delle reti diventasse disponibile su vasta scala, con tecnologie di trasmissione dati efficienti, disponibili a basso costo e attraverso una cablatura globale del pianeta.

In altre parole, il Web della metà degli anni Novanta non era certamente ancora adatto a veicolare quelle che oggi chiamiamo criptovalute, in quanto non esisteva né l’infrastruttura necessaria per generare la quota minimale di desiderato effetto network (con relative economie di scala), né le condizioni per avere applicazioni in grado di funzionare su dispositivi adatti a supportare l’utente nella gestione e nel controllo di queste nuove e versatili monete elettroniche.

Il rilascio del protocollo di Satoshi Nakamoto è ufficialmente l’evento che a cavallo tra 2008 e 2009 raccoglie tutto l’esistente in materia di “scibile” su informatica, crittografia, economia e teoria delle reti, e indirizza lo sviluppo tecnologico ormai disponibile per realizzare Bitcoin.

Il costrutto informatico alla base di Bitcoin, nonché, mutatis mutandis, di tutti i progetti che, per quanto molto diversi tra loro, sono scaturiti in seguito alla sua rivoluzione, è la blockchain, un registro distribuito dove vengono registrate in senso univico — appunto a catena di blocchi, con rigidi criteri consequenziali di validazione — tutte le transazioni relative al transito da una locazione crittografica all’altra delle relative “coin”, la cui produzione viene gestita sulla base di impostazioni di specifiche impostazioni di protocollo.

Queste impostazioni stabiliscono i criteri di validazione (quindi la sicurezza, esattamente come per qualsiasi altro processo connesso al trasferimento di informazione in via digitale), le chiavi pubbliche e private (ossia i meccanismi che consentono a terzi di inviare moneta digitale ai rispettivi indirizzi, e ai detentori di questi ultimi di disporre dei fondi accumulati), i meccanismi per evitare manomissioni malevole delle reti, e in definitiva l’identikit della singola coin sottesa nello specifico progetto.

Oltre Bitcoin: blockchain e token economy

In seguito alla nascita di Ethereum, a partire dal 2013, e successivamente con l’avvento di altre progettualità dotate di peculiari caratteristiche di programmazione (Polkadot, Algorand, etc…) il mondo delle criptomonete a vario titolo derivanti da versioni modificate e rielaborate del protocollo Nakamoto si arricchisce di un ulteriore concetto, vale a dire quello di “tokenizzazione” di asset. Nel contempo, il mondo blockchain diventa anche il regno degli “smart contract”, ovvero una grande tessitura di macchine virtuali in grado non solo di veicolare valore intrinseco — come nel caso di Bitcoin, la cui struttura segue l’andamento a offerta limitata di un asset deflativo come l’oro — ma anche vere e proprie operazioni su una quantità esorbitante di informazioni.

Nasce dunque anche la “token economy”, vale a dire un sistema in cui il valore di un certo asset criptovalutario risulta connesso a una gamma potenzialmente infinita di altri asset riconducibili a informazioni in rete e relative fattispecie di riferimento, siano essere virtuali o reali.

In altre parole, il mondo della tecnologia e dell’automazione che incontra quello dell’economia globale, passando attraverso il concetto aureo della decentralizzazione.

Come funzionano le criptovalute?

Per quanto la base teorica e tecnologica delle crypto sia estremamente complessa, oltre che, come detto, frutto di una convergenza di tante discipline e tecnologie, il loro uso pratico dal lato utente è in realtà molto semplice:

  • le crypto vengono acquistate in opportuni portali detti “exchange” attraverso cambio da moneta fiat (euro, dollari, via bonifico o carta di credito/debito);
  • possono essere conservate sia in questi portali, laddove si desidera demandare agli stessi la custodia delle chiavi private crittografiche (per intenderci, come in una specie di home banking);
  • oppure, qualora si voglia effettuare la custodia da sé, lo si può fare attraverso applicazioni (dette wallet, ossia portafogli) che possono girare sia in un comune smartphone, sia in un computer, o addirittura in particolari device esterni.

Questi wallet possono essere usati per trasferire le crypto altrove, al fine di acquistare beni e servizi, o banalmente per inviare denaro ad amici e parenti (usufruendo di costi molto inferiori rispetto agli analoghi bancari), o per riceverle analogamente, oppure ancora per effettuare varie operazioni di natura finanziaria digitale a fronte dell’ottenimento di specifici vantaggi. Il tutto senza alcuna mediazione di terze parti.

Dal punto di vista dell’uso pratico, la componente decentralizzata più spinta è quella che garantisce particolari vantaggi, tra cui anonimato, privacy, inattaccabilità dei fondi e sicurezza.

Da ricordare anche una funzione fondamentale delle crypto: dare un conto corrente — ovvero la possibilità di effettuare pagamenti a distanza, e di proteggere il denaro frutto di lavoro e risparmi — a chi, per varie ragioni, non può averlo. Basti pensare alla questione dei cosiddetti unbanked in zone del terzo mondo, paesi in via di sviluppo, nonché luoghi interessati da dittature e regimi dispotici.

Soprattutto nel nostro Occidente, però, le crypto, anche in assenza di particolari fenomeni invece presenti altrove, come per esempio l’iper-inflazione (Nigeria, Venezuela, Argentina, etc…), sono diventate interessanti anche nel campo dell’investimento.

Opportunità di investimento “su” e “con” criptovalute

Dalla nascita di Bitcoin ad oggi, lungo tutta la storia delle innovazioni e dei progetti in campo blockchain, possiamo certamente dire che l’uso pratico delle criptomonete si accompagna anche a una miriade di opportunità di investimento, tanto varie quanto diverse sono le criptomonete stesse.

Tuttavia, una certa categorizzazione è non solo opportuna, in quanto l’idea stessa di un “investimento” come logico può avere mille connotazioni e sfumature, nonché altrettante caratteristiche in materia di rischio e redditività.

Investimento sul valore intrinseco

Bitcoin è certamente l’asset che più di ogni altro, anche dal punto di vista strettamente storico, si pone come arma per contrastare gli effetti naturalmente inflativi a medio e lungo termine delle monete fiat.

In questo senso, l’appellativo di “oro digitale” rimane più che opportuno. L’investimento in questo caso consiste evidentemente nel destinare una parte dei propri risparmi per effettuare quello che in gergo chiamiamo PAC (Piano di Accumulo Costante), ossia l’atto di comprare Bitcoin per mettere da parte — esattamente come si farebbe con oro o preziosi — il proprio potere d’acquisto.

Nel caso di acquisti di Bitcoin in formula unica, magari anche con elevati volumi, si parla spesso di procedure OTC (Over The Counter), ossia con prezzo finale proposto attraverso trattativa privata, svolta direttamente con dei consulenti.

Investimento sul valore estrinseco

Qui gli esempi possono diventare veramente numerosi ed eterogenei, visto che a rigore qualsiasi token ha sia un valore “di mercato”, sia un potenziale rapporto con altre grandezze, o progetti, o meccanismi, o mercati, o costrutti tecnologici che possono essere molto articolati e porgere un loro valore a prescindere (pensiamo solo ad architetture come Polkadot e OpenGov).

Una certa criptomoneta può essere anche emessa da un’azienda come rappresentazione del suo controvalore opportunamente parcellizzato; una prassi, questa, consolidata per esempio per molti exchange, o fornitori di servizi fintech come carte di debito prepagate e affini.

In altri termini, la modalità criptovalutaria permette in tal caso di ottenere una sorta di “mercato azionario semplificato” in cui l’asset unitario del valore aziendale risponde anche di una sua traduzione in tante unità base, ovviamente acquistate e detenute dal singolo utente investitore…

Investimenti che consentono contemporaneamente di capitalizzare l’azienda (il progetto, la startup, etc…) e di trasferirne una parte di valore attraverso un meccanismo molto più semplice di quello centralizzato del classico mercato azionario.

Oppure, sempre in questo caso, possiamo assistere alla concessione di privilegi destinati solo ai possessori di una certa quota di token in staking (fees più basse, cashback, sconti e via discorrendo).

Oppure ancora, una crypto può essere indice di vere e proprie operazioni atte a generare valore su un piano deterministico, fisico, rigorosamente misurabile: basti pensare all’acquisto di potenza di calcolo per minare Bitcoin attraverso opportuno token crittografico ad essa connesso. Una prassi, questa, che quindi rende disponibile un certo utile generato da tutt’altra attività attraverso la sua tokenizzazione.

Più comunemente, e in seguito al meccanismo oggi ben rappresentato dal ramo Ethereum e da tutti i suoi derivati più o meno indiretti, una forma di investimento è anche legata alla cosiddetta Proof of Stake, ossia alla prassi di mettere in sicurezza una rete di riferimento attraverso “blocco” di una certa quantità di crypto di riferimento, con un sacrificio (il deposito vincolato) che viene automaticamente premiato attraverso porzioni di commissioni generate dalla rete stessa.

L’investimento tramite crypto può anche assumere la forma, più classica e intuitiva, dell’acquisizione di un asset tokenizzato ritenuto a vario titolo pregevole per ragioni artistiche, o collezionistiche.

A meno di token emessi da personaggi famosi, in questo caso parliamo però quasi sostanzialmente di NFT (Non Funglble Token), ossia vere e proprie “opere uniche o in tiratura limitata” che riproducono nel mondo virtuale la stessa logica di investimento che abbiamo negli analoghi settori del mondo reale.

Trading

Che si tratti di crypto dotate di un valore intrinseco dovuto alla logica della loro stessa programmazione da protocollo, o che ci si riferisca a token che in varie modalità si riferiscono a progetti specifici, chiaramente contemplabili nel loro valore puntualmente mappato dal mercato, è abbastanza chiaro quanto ciascuna entità criptovalutaria possa essere comprata e venduta, realizzando un potenziale plusvalore.

Ormai praticamente tutti gli exchange, che permettono per loro primaria funzione di acquistare crypto, annettono una o più piattaforme in grado di veicolare queste forme di compravendita attraverso strumenti di supporto, che possono interessare tanto il lungo quanto il medio, breve o brevissimo periodo, anche in modalità automatizzate (stop loss, vendita su target, procedure miste, etc…).

Si tratta di procedure che, comunque, presentano un certo rischio, e quindi andrebbero consigliate all’utenza esperta.

Dettagli nella valutazione di un investimento in criptovalute

Come in qualsiasi azione che abbia a che fare con la parola stessa “investimento”, è importante rimarcare un fatto: le criptovalute sono tante, tantissime, e nascono ogni giorno anche in condizioni ben lontane da concetti che possiamo approssimare a quelli di validità, solidità e qualità. Questo significa che un qualsiasi investimento deve essere fatto con grande consapevolezza, e soprattutto evitando di seguire le indicazioni di fonti dubbie, estemporanee e poco chiare.

Se a questo aggiungiamo il fatto che anche le coin più solide sul piano strutturale — come Bitcoin, Ethereum e svariate altre che come ovvio in questa sede non possiamo nominare, visto che faremmo certamente un torto a quelle non nominate — nel brevissimo e breve periodo porgono comunque un andamento estremamente volatile e fluttuante, è chiaro che l’intera questione del trading a breve periodo deve essere posta all’insegna della più alta cautela e circospezione.

Conclusioni e consigli finali

Nel campo crypto è certamente possibile concludere buoni affari, sia che si tratti, più comunemente, di accumulare Bitcoin per avere nel medio e lungo termine un “gruzzolo” più consistente, sia che ci si voglia spingere un po’ più in là, diversificando il proprio portafoglio con asset alternativi.

In entrambi i casi, esistono due nemici principali da evitare con tutte le forze: il primo è la fretta, ovvero la volontà — quasi sempre frustrata — di realizzare alti guadagni in tempi rapidi; il secondo è la mancanza di corretta informazione su ciò che stiamo acquistando.

Se è vero che crypto sorte dal nulla, come le meme-coin e i tanti e troppi loro derivati, hanno in certi casi avuto delle impennate valoriali iniziali veramente sorprendenti, è anche vero che ogni alto guadagno corrisponde a un rischio altrettanto elevato di perdere tutto il capitale investito, cosa peraltro accaduta alla maggioranza di chi ha puntato tutto sulla base di dicerie e istinti del momento.

Molto più serio, piuttosto, seguire con fedeltà uno o più progetti “storicizzati”, cercando sempre di spendere esattamente quello che — vecchio e saggio adagio del trading — possiamo permetterci il lusso di perdere.

Per tutto il resto, esistono certamente dei campi in cui è possibile acquistare crypto a fronte di un ritorno calmierato e sicuro, che determinati soggetti, ovviamente conosciuti e regolamentati, consentono di sottoscrivere sulla base di regole chiare e modulistiche contrattuali altrettanto definite.

Di certo, in tali contesti, il consiglio è sempre quello di rivolgersi ad exchange che parlano la propria lingua, e che forniscono garanzie.

In tutte queste fattispecie, dalla più tranquilla alla più sfidante, buona regola è comunque quella di non fare mai scelte avventate, e di agire sempre attraverso il buonsenso e l’affidamento a professionisti qualificati.

Filippo Albertin

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