Taglio dei tassi “bullish” per criptovalute
Mercoledì sera, al termine della due giorni del Fomc, il suo braccio monetario, la Federal Reserve ha annunciato il primo taglio dei tassi di interesse dal 2020. Di fatto, è stato così concluso il ciclo monetario restrittivo avviato nella primavera del 2022. E questo ci pone di fronte all’interrogativo su quale possa essere l’impatto sul mercato delle criptovalute. Il costo del denaro negli Stati Uniti è stato abbassato dal range 5,25-5,50% al 4,75-5%. Mezzo punto percentuale in meno, oltre le previsioni del mercato, che puntavano perlopiù su un taglio nell’ordine di un quarto di punto percentuale. Il governatore Jerome Powell ci ha tenuto a precisare che l’istituto non ha alcuna fretta e che non può dichiarare ancora “la vittoria sull’inflazione”. Questa è scesa al 2,5% nel mese di agosto, restando sopra il target del 2%. Sta di fatto che i cosiddetti “dot-plots”, le previsioni degli stessi funzionari della Fed sui tassi nel breve e medio-lungo termine, adesso puntano ad un ulteriore abbassamento dei tassi dello 0,50% entro dicembre. Questo significa che la Fed taglierebbe dello 0,25% per i prossimi due appuntamenti di politica monetaria.
Bitcoin come reazione alle banche centrali
Per il mercato delle criptovalute, la notizia è da considerarsi nel complesso positiva, sebbene bisogna guardare alla situazione macroeconomica nel suo insieme. Non è un caso che ieri, subito dopo l’annuncio, la quotazione in dollari di Bitcoin ha corso ben sopra la soglia dei 60.000 dollari, arrivando ventiquattro ore più tardi a quasi 64.000, massimo da tre settimane. E non è un caso nemmeno che nei primi mesi dell’anno avesse toccato il nuovo record storico a più di 73.000 dollari, quando sembrava che il taglio globale dei tassi fosse imminente. L’allentamento monetario dovrebbe fare bene a questo mercato. Anzitutto, perché quando il costo del denaro si abbassa, il grado di liquidità aumenta. E sale parimenti anche la propensione al rischio tra gli investitori. Ciò premia proprio le criptovalute, che nella percezione comune restano asset rischiosi, alternativi a quelli proposti dalla finanza tradizionale (obbligazioni, azioni, quote di fondi, ecc.).
C’è un’altra ragione per la quale le criptovalute beneficerebbero del taglio dei tassi. Ricordatevi quando avvenne il debutto di Bitcoin, il token digitale più popolare e noto nel mondo. Era il gennaio del 2009 e i mercati erano alle prese con la gravissima crisi finanziaria globale. L’epicentro era stato negli Stati Uniti, ma il contagio fu immediato. Essa travolse più che altro l’Europa, dove sarebbe esplosa un anno più tardi la crisi dei debiti sovrani. In quel clima un personaggio ignoto, tale Satoshi Nakamoto, diede vita ai Bitcoin tra lo scetticismo, anzi il disinteresse generale. La ragione principale di quel gesto fu una sorta di reazione contro la finanza tradizionale, anzi contro l’operato delle banche centrali. Queste si erano trasformate in stamperie di monete fiat sempre più sconnesse dai fondamentali economici. Fiumi di liquidità inondarono i mercati, al fine di salvare stati, banche e imprese da un collasso finanziario altrimenti assai probabile. In altre parole, Bitcoin fu considerata dal suo ideatore un’alternativa alle politiche monetarie ultra-espansive di governatori sempre più onnipotenti e che minacciavano così la stabilità dei prezzi al consumo.
Quotazioni correlate negativamente ai rendimenti obbligazionari
Negli anni successivi, questa sensazione si diffuse. I tassi rimasero bassissimi e in aree come Europa e Giappone divennero persino negativi. Non era mai accaduto prima nella storia economica mondiale. I risparmiatori pagavano i debitori per prestare loro denaro. Un rovesciamento delle parti a dir poco sconcertante. In questo clima, le criptovalute sono man mano proliferate, acquisendo forza e attirando capitali dapprima dai piccoli investitori e negli ultimi tempi anche dagli investitori istituzionali. Tuttavia, dopo avere toccato un picco nel novembre del 2021, per oltre un anno abbiamo assistito a un ripiegamento di questo mercato. Come mai? I tassi globali erano tornati a risalire dopo oltre un decennio. Per alcuni avrebbe significato la morte di Bitcoin e dei suoi fratelli minori. In realtà, non appena si è iniziato a intravedere un possibile stop al ciclo monetario restrittivo, le quotazioni sono tornate a salire in fretta fino a toccare nuovi record. Oggi, la capitalizzazione complessiva vale quasi 2.200 miliardi di dollari.
Si conferma la tesi che le criptovalute siano correlate negativamente al livello globale dei tassi di interesse. Oltretutto, quando i rendimenti obbligazionari sono elevati, la concorrenza sul fronte degli investimenti cresce. Se ci fate caso, i token digitali sono investimenti senza cedole. Offrono valore all’investitore, ma esso si può monetizzare solo con il disinvestimento. Esattamente come accade per l’oro. Non è un caso che qualcuno abbia definito impropriamente i Bitcoin come “oro digitale”. Per queste ragioni diremmo che l’annuncio della Fed sia “bullish” per questi asset. D’altra parte sarebbe bene non giungere a conclusioni affrettate. Se l’istituto ha tagliato i tassi oltre le previsioni, sarebbe perché teme che l’economia americana possa entrare presto in recessione. E se questo accadesse, sarebbe un evento tendenzialmente “bearish” per le criptovalute. In effetti, il clima sui mercati tornerebbe “risk-off”, cioè avverso al rischio. I capitali si dirigerebbero verso i Treasuries, il dollaro e l’oro.
Criptovalute al test delle elezioni Usa
Da qui alle prossime settimane regnerà l’incertezza attorno alle criptovalute, in attesa di conoscere il prossimo inquilino alla Casa Bianca. L’ex presidente e candidato repubblicano
Donald Trump ha adottato un approccio estremamente favorevole a questo business, lanciando nei giorni scorsi persino una
piattaforma tutta propria che consente di tradare senza intermediari. Tuttavia, al fine di attirarsi le simpatie e i finanziamenti dell’industria crypto, anche l’avversaria democratica e attuale vicepresidente
Kamala Harris ha abbandonato certe pregiudiziali del suo partito contro le criptovalute. Va da sé che l’eventuale vittoria di Trump sarebbe considerata maggiormente “bullish”. Anche in questo caso, però, trarre conclusioni affrettate può risultare dannoso. Serve capire quale sarebbe l’impatto sulla politica monetaria della vittoria dell’uno o dell’altra. Molti analisti e investitori ritengono che il tycoon, tra approccio pro-business e dazi anti-cinesi, rischi di tenere l’inflazione più alta dello scenario di base. E questo comporterebbe tassi più alti, colpendo indirettamente le criptovalute. Esse troverebbero sostegno, comunque, in una politica di maggiore accettazione dei Bitcoin, in particolare. L’unica apparente certezza risiede nel fatto che il taglio dei tassi Fed in formato “maxi” sia nel breve una buona notizia per i token digitali. A patto che non venga percepito eccessivamente come la conseguenza di un forte rallentamento del Pil nella prima economia mondiale.