DeepSeek: Cina e USA di nuovo faccia a faccia, tra innovazione, collaborazione e competizione lungo la via tecnologica…
Una piccola startup cinese fino a pochissimi giorni fa praticamente sconosciuta ha appena costretto le più grandi aziende tecnologiche americane a ripensare all’intero comparto costruttivo in materia di intelligenza artificiale, esattamente a ridosso dell’investitura di Donald Trump e delle sue promesse a base tecnologica.
Tempistica del tutto casuale o perfetto ingranaggio a orologeria per marcare il territorio e riproporre quello che ormai dovrebbe essere evidente al mondo intero, ovvero la grande partita giocata tra USA e Cina per il primato sulle grandi variabili del futuro?
Il tema è chiaramente complesso, in quanto, a ben vedere, ripropone in un contesto del tutto rinnovato i grandi dilemmi che furono tipici della Guerra Fredda: in sostanza due “modelli di sviluppo” che, ben lungi dall’essere entrambi perfetti, a suo tempo si sfidarono su medaglie sportive e conquiste dello spazio, e ora si sfidano al medesimo duello per porgere ciascuno la sua via all’ottimizzazione, alla performance, all’efficacia e in ultima istanza al dominio del settore high tech in tutte le sue sfaccettature.
In questo articolo cercheremo di fare chiarezza sull’entrata in gioco di questo nuovo competitor AI-based, sulla sfida a cielo aperto che ne sta derivando, sui rapporti tra intelligenza artificiale e cryptosfera e sui possili scenari che tale configurazione andrà a produrre anche nel campo delle criptovalute.
DeepSeek: new king in town…
Il rilascio del modello R1 di DeepSeek, che apparentemente corrisponde o addirittura supera le capacità dei sistemi di IA costruiti negli Stati Uniti, il tutto a una frazione del costo, ha scatenato come largamente prevedibile una vendita massiccia di azioni tecnologiche, cancellando quasi 600 miliardi di dollari dal valore di mercato di Nvidia, il tutto senza alcun aiuto esterno o cordata.
Le onde d’urto hanno colpito il settore tecnologico statunitense al cuore, con i leader del settore che si affrettano ad analizzare come DeepSeek abbia ottenuto tali risultati.
Ora, se consideriamo quanto tali eventi si vadano praticamente a sovrapporre all’insediamento di Donald Trump, ovvero a un pacchetto di promesse tecnologiche che, grazie anche alla “spalla” Elon Musk, sono state percepite dagli elettori e dal mercato come una sorta di rinascimento americano dai toni quasi fantascientifici, è chiaro che l’entrata in gioco della Cina a gamba tesa proprio nei settori chiave di tale precostituita promessa di innovazione e rivoluzione rischia di mandare all’aria molti piani.
Anche se ci sono ancora domande aperte, dopo aver analizzato il codice open-source, il consenso, per ora, è su una realtà praticamente inoppugnabile: gli sviluppatori cinesi si sono rivelati sensibilmente migliori nella costruzione di modelli ad alta efficienza (e, come detto, a basso costo).
Nel mentre, i titani della tecnologia dell’AI hanno osservato la cosa quasi con soddisfazione, e guardato immancabilmente al lato positivo, abbracciando cioè l’idea che qualsiasi progresso nell’AI fosse positivo per l’industria.
Lo stesso guru Sam Altman di OpenAI ha riconosciuto l’impressionante performance del modello, promettendo immediatamente dopo di accelerare il rilascio di “modelli migliori”. Nel frattempo, addirittura il neo-presidente Donald Trump, che di certo si è sempre caratterizzato agli occhi del vasto pubblico come personaggio che non la manda a dire quando si tratta di attaccare questa o quella nazione, al cospetto della performance di DeepSeek ha snocciolato un commento che sembra veramente essere uscito dalla bocca di qualcun altro.
Ovvero, riassumendo, ha detto che questa tecnologia cinese è molto positiva per il mercato americano, in quanto fa capire che è possibile ottenere risultati di tale incredibile portata anche spendendo cifre molto esigue!
DeepSeek: open source VS. codice chiuso
La vicenda DeepSeek — ricordiamolo, software di natura totalmente open source — ripropone un tema ormai classico nella storia dell’informatica di massa: l’eterno conflitto tra codice chiuso e codice aperto, che è poi la stessa dinamica che oppone i fautori e utenti di Linux alle grandi compagnie come Apple e Microsoft.
Se tale tematica può superficialmente sembrare lontana da quella crypto, lasciando pure da parte le infinite connessioni tra AI e smart contract, nonché più in generale l’appartenenza della decentralizzazione finanziaria al grande insieme delle rivoluzioni tecnologiche degli ultimi tre lustri, basti ricordare al lettore attento quanto il codice del protocollo Bitcoin sia l’emblema stesso dell’open source che batte la centralizzazione, ovvero dell’efficacia e del primato di tale architettura algoritmica rispetto alle soluzioni proprietarie, chiuse e autoreferenziali.
Conseguentemente, si scopre che già ora diversi grandi attori del codice chiuso stanno già introducendo — come peraltro già avvenuto col già citato Linux — metodi di DeepSeek nei loro piani di sviluppo software. Ad esempio, Perplexity ha già implementato il modello nel suo motore di ricerca, e il “muskiano” Grok lo ha reso disponibile per incrementare la velocità e precisione del sistema.
La maggior parte dei grandi nomi nella scena dell’AI americana, incluso Meta, o si stanno adattando senza tanti mezzi termini a DeepSeek, o stanno comunque pensando a modalità per sfruttarne la tecnologia e inseguirne la pregevolezza.
Satya Nadella, CEO di Microsoft (ricordiamolo, il più grande investitore di OpenAI), ha detto espressamente: “Con l’AI che diventa più efficiente e accessibile, vedremo il suo utilizzo esplodere, trasformando l’intero settore in una merce di cui non potremo più averne abbastanza.”
Il Trump-pensiero sembra infatti essere diventato incredibilmente contagioso, visto che anche altri colossi tecnologici sembrano avere un’opinione molto ottimistica della faccenda. Nonostante abbia subito il calo giornaliero più significativo in termini di capitalizzazione di mercato a Wall Street, Nvidia vede il breakthrough di DeepSeek come un’opportunità. Il suo ricercatore capo, Jim Fan, ha infatti twittato lunedì: “La torta è appena diventata molto più grande, e più velocemente!”
In altre parole, se il Paradosso di Jevons si applica, la dimostrazione di DeepSeek che modelli di alta qualità di AI possono essere costruiti con risorse computazionali minime non significa che useremo meno GPU in totale. Al contrario, i grandi diventeranno ancora più grandi.
All’altra estremità dello spettro, mentre la barriera all’ingresso si abbassa, ci sarà un’ondata di nuovi sviluppatori e aziende che si lanceranno nello sviluppo dell’AI.
Senza entrare troppo nella diatriba sui microchip impiegati per i meccanismi dell’intelligenza artificiale, che vede lo scontro diretto tra Apple (ritenuta più efficiente sul piano energetico) e la citata Nvidia, c’è da dire che, se la barriera all’ingresso si abbassa, ci sarà un’ondata di nuovi sviluppatori e aziende che si lanceranno nello sviluppo dell’AI.
DeepSeek non sembra volersi porre come sfidante diretta di questo monopolio, ma è un fatto che la Cina sta già oggi lavorando sul comparto hardware per aumentare l’adozione della gamma di chip Huawei Ascend.
Anche il capo scienziato dell’AI di Meta, Yann LeCun, pare aver guardato al lato positivo di essere superati da una piccola startup in Cina. E ha affermato. “Non è la Cina che sta superando gli USA. Sono i modelli open-source che stanno superando quelli proprietari. Non siate sorpresi se Meta adotta i metodi di DeepSeek per migliorare i suoi. Il loro lavoro è pubblicato, e open-source, quindi tutti possono trarne profitto.”
Gli analisti del settore prevedono che la domanda di GPU aumenterà del 30% quest’anno e i costi globali di calcolo per l’AI potrebbero crescere di 10 volte nei prossimi cinque anni.
Insomma, sembra che questo sorpasso cinese piaccia veramente a tutti. Ma si tratta di dichiarazioni sincere, ovvero mediate dal proverbiale spirito comunitario tipico degli sviluppatori e degli addetti ai lavori del comparto computazionale e tecnologico, oppure la partita è molto più complessa e solo all’inizio?
Ma non solo. Visto che si parla di “disponibilità dell’informazione per le masse planetarie”, sul piano delle tecnologie blockchain e crypto a che punto siamo? Quali sono le differenze tra Cina e USA? Quali connessione esistono tra le due superpotenze, e tra i due temi nelle stesse?
La politica sulle criptovalute negli Stati Uniti e in Cina riflette approcci molto diversi, influenzati dalle rispettive priorità economiche, politiche e tecnologiche. Queste differenze sono anche legate alla competizione globale per il primato tecnologico, inclusa l’intelligenza artificiale
Ecco una panoramica del rapporto tra le politiche sulle criptovalute nei due Paesi e come queste si collegano alla corsa alla leadership tecnologica.
Crypto e AI
Gli Stati Uniti hanno un approccio relativamente aperto alle criptovalute, sebbene regolamentato. Le autorità statunitensi, come la Securities and Exchange Commission e la Commodity Futures Trading Commission, stanno peraltro lavorando — proprio in seguito ai cambiamenti in atto dopo l’insediamento Trump — per creare un quadro normativo che bilanci l’innovazione finanziaria con la protezione degli investitori e la stabilità del sistema finanziario, nell’ottica di una maggiore libertà e flessibilità.
Gli USA sono un hub globale per l’innovazione nel settore delle criptovalute, con molte aziende blockchain e fintech con sede nel Paese. Grandi aziende e istituzioni finanziarie tradizionali stanno investendo pesantemente in questa tecnologia.
Vedono le criptovalute e la blockchain come parte di un ecosistema tecnologico più ampio che include l’intelligenza artificiale. L’integrazione tra blockchain e AI è vista come un’opportunità per migliorare l’efficienza, la sicurezza e l’automazione in vari settori, soprattutto se si coglie un fatto fondamentale: la natura bidirezionale dell’informazione.
L’intelligenza artificiale è rapida nell’elaborare e confrontare i dati, ma tali dati devono essere attendibili. La blockchain, con le sue maglie strette in tema di validazione e certificazione, rappresenta una tecnologia letteralmente aurea per “filtrare a monte” i dati prima di conferirli all’elaborazione computazionale mediata da agenti di intlligenza artificiale.
Di contro, l’intelligenza artificiale è in grado di fornire dati interessantissimi per l’inserimento in blockchain sotto forma di output oracolari (andamenti, azioni, mercati, ma anche previsioni meteo, connessioni tra ambiente e sistema finanziario, etc…), nonché informazioni che sulla base di analisi comparative possono aumentare il valore di ciò che viene impresso indelebilmente lungo la catena di blocchi relativa a specifici progetti, che possono andare dalla notarizzazione di atti alla certificazione.
L’analisi congiunta, in serie e in parallelo, dei rapporti tra AI e blockchain, conduce quindi a un’interpretazione piuttosto palese: il dominio congiunto di questi due versanti tecnologici costituisce la chiave per il trattamento dei dati che sarà il futuro della computazione planetaria.
Invece, dal lato strettamente finanziario, la Cina ha adottato un approccio molto più restrittivo verso le criptovalute, vietando completamente le transazioni e le attività legate alle stesse già dalla fine del 2020. Tuttavia, il Paese sta investendo pesantemente nella tecnologia blockchain e nello sviluppo della sua valuta digitale, specie in ambito monetario nazionale ed economico: si pensi allo yuan digitale.
Nonostante la sua politica piuttosto restrittiva verso Bitcoin, la Cina sta promuovendo attivamente la tecnologia blockchain per applicazioni governative e aziendali. Il già citato yuan digitale è un pilastro della strategia cinese per modernizzare il sistema finanziario e ridurre la dipendenza dal dollaro USA.
Sul versante AI, la Cina vede la blockchain e l’intelligenza artificiale come tecnologie strategiche per il futuro. Il governo ha infatti investito miliardi di dollari in AI e blockchain, con l’obiettivo di diventare un leader globale in queste aree entro il 2030.
Quindi è assolutamente prevedibile che il primato di DeepSeek sia propedeutico a implementazioni che in breve tempo andranno a ricadere anche sul comparto crypto, in una corsa che potrebbe tranquillamente inseguire da vicino — e magari anche in questo caso superare, o affiancare — il gigante statunitense, soprattutto se consideriamo le sue velleità di diventare il punto di riferimento globale per la finanza decentralizzata e le nuove tecnologie.
Le politiche sulle criptovalute negli USA e in Cina riflettono una competizione più ampia per il dominio tecnologico ed economico. Ecco alcuni punti di connessione:
Sia gli USA che la Cina riconoscono l’importanza strategica della blockchain e delle criptovalute come parte di un ecosistema tecnologico più ampio che include l’intelligenza artificiale. La capacità di sviluppare e controllare queste tecnologie è vista come cruciale per il potere economico e geopolitico.
Conclusioni
DeepSeek, con le sue elevatissime performance a fronte di costi irrisori se confrontati con gli investimenti attivi altrove nel medesimo settore, dimostra chiaramente quanto le soluzioni open-source permettano uno sviluppo molto più rapido, e con livelli di output largamente migliori.
Se tale apporto è stato salutato anche dagli USA, per ora perdenti, come una svolta in grado di far progredire anche il comparto tecnologico americano, è anche vero che dietro questo successo c’è una superpotenza, la Cina, da tempo interessata a cogliere l’occasione per un sorpasso anche rispetto al sistema dollaro-centrico.
Se consideriamo la forte vicinanza tra i temi dell’intelligenza artificiale e della blockchain, e se leggiamo tale vicinanza alla luce delle volontà protezionistiche di entrambe le superpotenze in gioco, all’orizzonte appare molto probabile uno scontro diretto tra modello cinese e modello statunitense, che probabilmente andranno a immettere sul mercato nuovi prodotti con un profilo di costo inferiore, a parità di performance.
La vera domanda rimane dunque un’altra: vista l’aggressività finanziaria USA e la solidità tecnologica cinese, che approccio andrà a prevalere? Quello del puro scontro, con abbassamento ad libitum del costo a parità di qualità, oppure una sia pure sotterranea e impercettibile collaborazione, foriera di un mercato più vario e con soluzioni scalabili e altamente personalizzabili, con aumento della qualità e — si spera — degli usi più virtuosi?
Visto che i grandi temi del “merging” tra blockchain e AI rimangono quelli della tutela ambientale, della trasparenza nelle pubbliche amministrazioni, nella gestione equa della privacy del cittadino e dei suoi diritti digitali, della certificazione di processo e di prodotto, e in generale di usi “civici e civili” in grado di migliorare la vita delle persone, noi propendiamo certamente per la seconda ipotesi, e fortemente la caldeggiamo.
Filippo Albertin