Ecco il possibile impatto sui mercati delle elezioni in Giappone

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Domenica 20 luglio si sono tenute in Giappone le elezioni per il rinnovo di metà dei seggi al Senato, la Camera alta del Parlamento di Tokyo. E già dai primi exit poll è stata evidente la perdita della maggioranza assoluta da parte della coalizione al governo. Il Partito Liberal Democratico e gli alleati hanno conquistato tra 32 e 51 dei 125 seggi in palio sui 248 in totale (uno si deve alle elezioni suppletive per rimpiazzare un senatore). Gliene servirebbero 50 per mantenere la maggioranza. Ricordiamo che nell’autunno scorso il premier Shigeru Ishiba, appena arrivato alla guida del governo, aveva sciolto la Camera bassa per ritrovarsi anche in quel caso senza maggioranza assoluta dei seggi. Di fatto, guida un esecutivo di minoranza. E dopo i risultati di queste ore sarà ancora più difficile governare.

Elezioni in Giappone, inflazione tema dominante

L’impatto che avranno le elezioni in Giappone sui mercati finanziari globali può essere elevato. Anzitutto, dobbiamo partire dalle ragioni della sconfitta. Si chiama inflazione. A giugno risulta scesa al 3,3% annuale, il dato più basso dallo scorso mese di novembre. L’inflazione di fondo, che si calcola escludendo i generi alimentari e i prodotti energetici, ha subito una lieve accelerazione al 3,4%. Bisogna tenere conto che l’indice dei prezzi al consumo nel Sol Levante è salito molto meno rapidamente che in Europa in questi anni, anche se l’accelerazione rispetto a decenni di inflazione nulla o persino negativa è stata percepita nella sua pienezza. All’origine del malcontento, tuttavia, c’è stata ultimamente una particolare inflazione: quella del riso.
Come sappiamo tutti, il riso è una pietanza tipica della cucina giapponese. Un po’ come la pasta in Italia, le salsicce in Germania o gli hamburger negli Stati Uniti. Il prezzo per una confezione da 5 kg è arrivato ad esplodere nel maggio scorso fino a 5.000 yen, qualcosa come 30 euro al tasso di cambio di allora. Su base annua parliamo di un incremento del 100%. In sostanza, il prezzo del riso è raddoppiato. Nelle ultime settimane la situazione è andata migliorando. I prezzi hanno smesso di salire e, invece, sono diminuiti. Ma restano molto più alti rispetto a quelli dell’anno scorso e il calo si deve in buona parte all’utilizzo delle scorte da parte del governo e all’apertura di questi alle importazioni, quasi un tabù da queste parti. Il boom è stato causato da due fattori specifici. Due anni fa, c’è stata un’annata particolarmente calda con effetti negativi sui raccolti dello scorso anno. Inoltre, il numero di turisti stranieri che visita il Giappone aumenta di anno in anno e accresce la domanda di riso. Tutto questo ha portato da un lato al calo dell’offerta e dall’altro all’aumento della domanda.

Rendimenti dei titoli di stato in forte risalita

Il malcontento è arrivato alle elezioni del Giappone delle scorse ore. I cittadini hanno mandato un segnale ben preciso al premier e al suo governo. Sono insoddisfatti per la perdita del potere di acquisto, specialmente se riguarda un prodotto basilare per la cucina e l’identità stessa del popolo. Quanto è accaduto, può avere grossi riflessi sui mercati finanziari. Da mesi c’è tensione a Tokyo. I rendimenti dei titoli di stato restano bassi nel confronto internazionale, ma stanno risalendo drasticamente. Pensate, tanto per fare un esempio, che la scadenza a 30 anni offre ancora oggi un rendimento inferiore al 3,10% contro il 4,40% dell’Italia. Ma è arrivato al massimo storico del 3,20% ed è tenuto a bada dalla banca centrale, che resta un grosso acquirente di titoli domestici. Considerate che nell’estate del 2022 ancora il trentennale nipponico rendeva poco più dell’1%.
Perché sta accadendo tutto questo? I rendimenti stanno scontando l’atteso aumento dei tassi di interessi da parte della Banca del Giappone. Fino al marzo dello scorso anno questi erano fissati a livelli negativi, al -0,10%. Ora sono saliti allo 0,50% e un nuovo aumento dello 0,25% dovrebbe arrivare entro breve per frenare l’inflazione, che da anni si trova sopra l’obiettivo del 2%. Inoltre, poiché Tokyo ha tenuto i tassi a livelli bassissimi mentre le altre banche centrali li hanno alzati ai massimi dai primi anni Duemila, il cambio è collassato. Per un dollaro servono oggi circa 149 yen. Un anno fa erano arrivati a servirne più di 160, mai così tanti dal 1998. Prima del Covid il cambio stava a 105. Lo yen più debole rende più costose le importazioni e impatta negativamente sull’inflazione. Alzando i tassi, la Banca del Giappone può far rientrare molti capitali domestici finora investiti all’estero, rafforzando il cambio e riducendo l’inflazione.

Conti pubblici allo sbando

Il problema sta nel debito pubblico, che è schizzato sopra il 250% del PIL. Se a Tokyo i tassi salissero in fretta, il governo si ritroverebbe a pagare molti più interessi e il deficit di bilancio aumenterebbe ulteriormente, anziché diminuire. La situazione fiscale rischia di sfuggire di mano. Ecco spiegata l’estrema cautela del governatore Kazuo Ueda nel gestire la politica monetaria. E le preoccupazioni per i conti pubblici hanno lambito il dibattito per queste elezioni in Giappone. Il premier ha promesso il taglio delle tasse, ma ha ribadito che non lo farà in deficit, bensì trovando le dovute coperture di bilancio. Le opposizioni di sinistra hanno promesso di aumentare la spesa pubblica e allo stesso tempo di abbassare la pressione fiscale, ma facendo ulteriori debiti.
Un governo più debole non gioca a favore di previsioni rassicuranti sulla traiettoria del debito pubblico. C’è il forte rischio che i conti pubblici peggiorino. Lo stato dovrà emettere ancora più titoli del debito per andare incontro alle preoccupazioni dell’elettorato. Questa impostazione porterebbe ad aumentare i rendimenti sul mercato, dato che la Banca del Giappone sta ritraendosi progressivamente dagli acquisti per iniettare minore liquidità e cercare dal canto suo di contrastare il carovita. Dopo le elezioni in Giappone gli investitori probabilmente sconteranno un allentamento della politica fiscale e/o un maggiore accomodamento monetario. E questo avrebbe effetti dirompenti sui mercati: la curva delle scadenze diverrebbe più ripida, con i bond a breve termine a stabilizzarsi in termini di rendimenti e i bond a lungo termine ad offrire ancora di più.
Rischi per Nord America ed Europa
Tutto questo non resterebbe senza conseguenze per il resto del mondo. Gran parte dei capitali nipponici risulta investito a Wall Street. Un loro rimpatrio per approfittare dei maggiori rendimenti casalinghi porterebbe a una caduta degli indici azionari americani. E la stessa cosa si verificherebbe sul mercato obbligazionario europeo. Rendimenti più alti in Giappone farebbero maggiore concorrenza ai nostri, i quali sarebbero costretti a salire per compensare il prevedibile calo della domanda. Per non parlare del fatto che gli investitori potrebbero convincersi che la gestione dei conti pubblici stia sfuggendo di mano un po’ dappertutto. L’America di Trump taglia le tasse in deficit con un debito già sopra il 120% del PIL, mentre l’Europa parla di riarmo con un target di spesa militare al 5% del PIL. Se ci si mette il già spendaccione Giappone, rischia di saltare la fiducia verso la sostenibilità fiscale nel mondo ricco.
Elezioni in Giappone nuova occasione di acquisto per criptovalute
Potrebbe essere un’altra buona occasione per investire in Bitcoin, già ai massimi storici. L’asset è percepito da tempo come un’alternativa al lassismo fiscale dei governi, supportato da banche centrali compiacenti. Il mix tra aumento del deficit e taglio dei tassi può spingere un numero crescente di investitori anche istituzionali a cercare riparo nelle criptovalute per sfuggire al prevedibile collasso degli asset finanziari tradizionali nel caso in cui gli eventi degenerassero. Le elezioni in Giappone sono l’ennesimo tassello di una costruzione globale che si presenta ogni giorno più fragile tra guerre commerciali o combattute armi in mano, aumento dei debiti e prezzi al consumo meno stabili del recente passato.

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