Eurobond, cosa sono e perché se ne parla per aumentare le spese militari

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Nelle ultime settimane si torna a parlare con insistenza di eurobond, che anzi in questi giorni vengono considerati un’opzione sempre più probabile. Di questo tema se ne discute, pur quasi sempre sotto traccia, da una quindicina di anni a questa parte. I riscontri concreti sono stati nulli, a causa delle profonde divisioni tra Nord e Sud Europa. Rappresenta un’eccezione il Next Generation EU, un piano dall’Unione Europea da 800 miliardi di euro, varato nel 2020 in piena pandemia e che ad oggi rappresenta l’unico ad avere comportato l’emissione di debito comune.

Cosa sono gli eurobond

Che sono sono gli eurobond e perché se ne parla in questo frangente? Quando esplose la crisi dei debiti sovrani nel 2010, l’Italia fu il primo tra gli stati comunitari ad avere lanciato con l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, l’idea che Bruxelles emettesse debito per conto degli stati membri. Qual era l’obiettivo? Sgravare i bilanci nazionali e finanziarli con emissioni di titoli del debito, i quali godevano e godono anche oggi di valutazioni elevatissimi (la tripla A, il massimo assegnato dalle agenzie di rating internazionali) e, pertanto, attirano abbondanti capitali a basso costo.

Il Nord Europa si è sempre opposto a questa idea. Due sono state e continuano ad essere le ragioni di tale avversione. In primis, si tratta di stati che non hanno alcun bisogno di ricorrere ad emissioni sovranazionali, avendo livelli di indebitamento relativamente bassi e riuscendo così a spuntare sui mercati rendimenti assai bassi. Per questo, temono che alla fine si ritroverebbero a pagare costi più elevati per ri-finanziare i rispettivi debiti, dato che i costi degli eurobond risulterebbero essere in buona sostanza una media ponderata tra i livelli dei vari stati membri. Ad avvantaggiarsene sarebbero particolarmente gli stati più indebitati e che sono gravati da costi di emissione relativamente più elevati, i quali risparmierebbero in termini di spesa per interessi.

Aggiungiamo anche che il Nord Europa, capeggiato dalla Germania, non ritiene utile condividere i rischi sovrani con stati che adottano storicamente una politica fiscale poco prudente, tra cui Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e la stessa Francia. Queste sono in estrema sintesi le ragioni per le quali gli eurobond restano ad oggi un’opzione sulla carta. Sul piano tecnico non mancano le perplessità. Formalmente, l’emittente sarebbe la Commissione europea, che è un’entità sprovvista di entrate proprie, dipendendo dagli stanziamenti nazionali. In altre parole, non c’è un Tesoro comune responsabile del debito comunitario. Ciononostante, in una fase di emergenza come il Covid, la UE reagì con emissioni comuni spalmante in sei anni, pur incidendo per una percentuale assai minoritaria rispetto al PIL.

Scenario stravolto dalla guerra in Ucraina

Il quadro si è evoluto velocemente in questi anni. Nel febbraio del 2022 la Russia invadeva l’Ucraina, dando inizio ad una guerra che dura ancora oggi. Nel novembre scorso, Donald Trump rivinceva le elezioni americane, conquistando un secondo mandato non consecutivo. La sua visione di politica estera è stata chiara sin dalla campagna elettorale: niente più assistenza militare agli alleati della NATO che non rispettano gli obiettivi di spesa fissati ormai molti anni fa. In particolare, il presidente americano ha minacciato di non difendere più l’Europa neanche in caso di attacco esterno, qualora i suoi stati membri dell’Alleanza Atlantica avessero livelli di spesa militare inferiore al 2% del PIL. Di recente, ha rincarato la dose, valutando nel 5% del PIL il contributo minimo necessario.

Per quanto Trump sia noto per le provocazioni, su una cosa sembra fermamente convinto: l’Europa non potrà godere più della sicurezza americana gratuitamente. E lo ha fatto notare in questi giorni con l’esclusione degli stati comunitari dal tavolo delle trattative per la pace in Ucraina. I capi di stato e di governo della UE si trovano spiazzati dal cambio di paradigma, perché coltivavano la convinzione fino a poche settimane fa che la nuova amministrazione quasi bluffasse su questo tema. Adesso, l’aumento delle spese militari è diventato un obbligo per evitare di rimanere sprovvisti della sicurezza militare americana e inermi dinnanzi a possibili attacchi esterni.

UE al bivio sulla sicurezza

Pur essendo la UE meno indebitata degli Stati Uniti d’America con un rapporto inferiore all’85% contro uno superiore al 120%, i suoi margini di manovra fiscale sono molto risicati. Il fatto è che la UE non è uno stato, bensì la somma di 27 stati con bilanci tra di loro anche profondamente differenti. Ad esempio, Italia e Francia oggi non potrebbero permettersi di aumentare la spesa militare, a meno di tagliare altre voci di spesa o di aumentare le entrate. Entrambe sarebbero opzioni impopolari e politicamente poco sostenibili. Paesi come la Germania e l’Olanda dispongono di ampi margini, sebbene si mostrino riluttanti ad usarli. Ne consegue che ci sarebbe il rischio che solo alcuni stati riuscirebbero a centrare gli obiettivi NATO, mentre altri no. E per la credibilità sia dell’Alleanza Atlantica che della stessa Europa, non è cosa che ci si può permettere.

Ecco che rispuntano gli eurobond “per la difesa”. L’idea che sta prendendo piede in queste settimane sarebbe di emissioni di debito comune al posto di incrementi di debito nazionali. Esse servirebbero a finanziare l’aumento delle spese militari degli stati in base a un elenco di voci ammesse. L’alternativa consisterebbe nell’attivare la clausola di salvaguardia, grazie alla quale le maggiori spese militari verrebbero scorporate dal computo del deficit ai fini del Patto di stabilità. In pratica, l’Unione Europea non le inserirebbe nel disavanzo complessivo e ciò consentirebbe ai governi di indebitarsi senza infrangere formalmente le regole fiscali.

Eurobond non sono pasto gratis

Tuttavia, questa alternativa non convince. Se è vero che i governi avrebbero mani libere da parte della Commissione, ugualmente farebbero i conti con il mercato. I loro debiti crescerebbero e ciò rischierebbe di alimentare la sfiducia degli investitori per gli stati già considerati meno sicuri, tra cui l’Italia. C’è da dire che gli stessi eurobond non sarebbero un pasto gratis. Le loro emissioni aumenterebbero l’offerta di debito europeo, attirando capitali a discapito delle emissioni nazionali per via della loro maggiore qualità percepita. C’è il rischio, quindi, che il debito comune finisca per trasformare gli stessi Bund in titoli semi-core e gli altri in periferici a tutti gli effetti. Ciò implicherebbe un aumento dei costi di emissione per i singoli stati, seppure è verosimile attendersi che il beneficio risulti superiore. Comunque, una soluzione apparentemente migliore delle altre. Resta la contrarietà del Nord Europa, sebbene la minaccia russa alle frontiere stia smuovendo le posizioni di stati come Finlandia e i baltici. La Germania dirà definitivamente la sua dopo le elezioni federali di domenica prossima.

 

 

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