Quando operiamo sui mercati finanziari, c’è un concetto che inizialmente a molti di noi può sfuggire e di cui apprendiamo, magari a nostre spese, l’importanza: la liquidità. Avremmo sentito dire o letto in qualche caso che un mercato sia poco liquido e non ci siamo mai chiesti fino in fondo cosa significasse. E’ arrivato il momento di fare chiarezza su questo punto assai importante.
Concetto di liquidità sui mercati
Per liquidità s’intende la facilità con cui un asset può essere monetizzato, ossia scambiato con denaro contante. Può trattarsi di un’azione, un’obbligazione, la quota di un fondo, una materia prima, ecc. Come vedremo di seguito, ad esempio, c’è un asset illiquido per eccellenza: l’immobile. E in un nostro precedente articolo vi abbiamo spiegato quanto pesi la liquidità nel distinguere il mercato dei diamanti dall’oro. Le stesse criptovalute come Bitcoin sono accusate spesso di essere poco liquide e, pertanto, di comportare grossi rischi a carico dell’investitore.
In altre parole, la liquidità è la possibilità per un investitore di convertire un asset in moneta fiat (euro, dollari, sterline, ecc.), ma anche viceversa. Essa è determinata, in pratica, dall’incontro relativamente immediato tra domanda e offerta. Chi possiede un titolo finanziario, infatti, tende a credere di poterlo rivendere in qualsiasi momento e ai prezzi di mercato dati. Non è sempre così. Potrebbe scoprire a sue spese che non vi sia un acquirente immediatamente pronto a comprare. A quel punto, dovrà attendere prima di farlo e magari dovrà abbassare la propria pretesa. Quando ciò accade, il prezzo diventa volatile e sono possibili anche grosse perdite a carico di chi vende.
Lo stesso problema si pone per chi volesse entrare sul mercato. Pensiamo che con un clic siamo sempre in grado in un attimo di comprare un asset. Ma può capitare che non vi sia in quel preciso momento un venditore. Questo allunga i tempi della transazione e può spingerci a dover pagare di più, pur di entrare in possesso del titolo che desideriamo. Per quanto abbiamo appena detto, una misura molto gettonata del grado di liquidità di un asset si ricava con il famoso spread denaro-lettera o anche “bid-ask”. Esso segnala la differenza tra il prezzo più alto che un acquirente è disposto a pagare e il prezzo più basso che un venditore è disposto ad accettare.
Esempi di asset poco liquido
Quando il mercato di un asset è poco liquido, lo spread denaro-lettera tende ad essere elevato. Significa che le due parti del mercato si trovano su posizioni distanti e, pertanto, la transazione si verifica con maggiore difficoltà. Immaginiamo, ad esempio, di avere acquistato 1.000 azioni della società X e che vogliamo rivenderle alla quotazione di mercato di 10 euro. Immettiamo il nostro ordine sulla piattaforma di trading, ma troviamo potenziali acquirenti disposti solamente a spendere 8 euro. Non siamo intenzionati a vendere a quella cifra, anche perché per ipotesi eravamo entrati sul mercato a 8,50 euro. Dunque, aspettiamo. Il tempo scorre e magari si affaccia qualche acquirente disposto a spendere 8,50 euro. Ancora troppo pochi. Intanto, aspettiamo ancora. Finalmente qualcuno è disposto a pagarci 9 euro. A quel punto, abbassiamo la nostra pretesa pur di vendere e realizzare quella minima plusvalenza, anche se molto inferiore a quella teoricamente possibile quando abbiamo ordinato la vendita.
Un altro indicatore della liquidità di un asset è dato dal volume giornaliero degli scambi. Esso è il rapporto tra il controvalore delle transazioni effettuate rispetto alla capitalizzazione complessiva. Ad esempio, nell’arco di una seduta sono stati realizzati 1.000 scambi per un importo complessivo di 1.500.000 euro. E la capitalizzazione della società, cioè l’insieme dei titoli azionari moltiplicati per il valore di mercato, ammonta a 1 miliardo di euro. Questo significa che in una giornata è passato di mano appena lo 0,15% del totale degli asset.
Dimensioni del mercato
Finora abbiamo appreso che la liquidità di un titolo sia importante per avere maggiore facilità nella sua compravendita. E cosa la determina? I fattori possono essere diversi e alcuni hanno natura strutturale, mentre altri possono essere legati al momento. Per prima cosa, quando acquistiamo un asset dobbiamo capire quali siano le sue dimensioni massime. Acquistare il titolo azionario di una grossa società come Apple è cosa assai diversa dall’investire nelle azioni di una minuscola società anonima e quotata in borsa. Il primo risulterà assai più liquido, in quanto maggiori sono nell’unità di tempo i potenziali venditori e acquirenti.
Nel campo delle obbligazioni, prestiamo attenzione all’entità delle emissioni. Spesso sentiamo che una società o persino uno stato abbia emesso un bond con cedola molto appetibile, mentre in pochi guardiamo a quale sia la dimensione dell’emissione. Entità private o pubbliche di piccole dimensioni e/o con scarsa solidità finanziaria alle spalle si limitano a raccogliere perlopiù capitali scarni. Tant’è che in gergo si definisce un’emissione quale “benchmark” se è di almeno 500 milioni di dollari. Sarà molto complicato acquistare o vendere un bond di un’emissione molto limitata, mentre il massimo della liquidità sul mercato obbligazionario globale è offerto dai Treasuries americani. Sono assimilati al dollaro vero e proprio, specie per le brevi scadenze, grazie all’estrema facilità con cui si riesce ad accedervi per l’acquisto e a venderli in ogni momento di una seduta.
Conta il luogo delle negoziazioni
Altro fattore che incide sulla liquidità è anche il mercato in cui un asset è quotato. Una nota dolente per noi italiani, perché Piazza Affari è una borsa relativamente poco liquida, date le sue ridotte dimensioni. Vi siete chiesti perché molte aziende italiane preferiscano quotarsi all’estero, specie in Olanda o a New York? Il problema è proprio la scarsa liquidità degli scambi a Milano, che rende più difficoltoso fissare un prezzo efficiente, cioè al quale domanda e offerta s’incontrano in maniera stabile. Caratteristica degli asset poco liquidi è, infatti, la volatilità dei loro prezzi. La ragione è semplice: essendo pochi gli scambi, basta un ordine di vendita o di acquisto di grosse dimensioni per impattare in maniera enorme sul prezzo.
Altri fattori che incidono sugli scambi
E anche il tipo di azionariato incide sulla liquidità del titolo. Se una società quotata in borsa è controllata per la stragrande maggioranza da uno o più azionisti stabili, la quantità di azioni che circolano seduta dopo seduta tende ad essere necessariamente bassa. Tant’è che le borse impongono alle società una percentuale minima di “flottante libero” nel momento in cui le ammettono alla quotazione. Un modo per garantire al mercato una certa disponibilità del titolo per gli scambi.
La liquidità è anche spesso legata alle fasce orarie in cui avviene la transazione. Negli ultimi anni è sempre più frequente il fenomeno dei crash in borsa dovuto al cosiddetto “fat finger”, nota in italiano come la sindrome delle dita grosse. Di cosa si tratta? Grazie all’automatizzazione degli scambi per mezzo della tecnologia, ormai tutti siamo in grado di fare trading notte e giorno senza il bisogno di restare davanti allo schermo di un PC o portatile. Basta impostare le condizioni a cui vorremmo vendere o acquistare e le perdite massime (stop loss) disposti a sostenere. Ma il problema è che di notte gli scambi sono pur sempre ridotti rispetto al giorno. Se per coincidenza tanti investitori hanno impostato ordini di vendita o di acquisto in un orario in cui le transazioni sono basse, questi avranno un impatto rilevante sui prezzi, i quali oscilleranno anche tantissimo. E ciò porta a volte a improvvisi crolli di interi indici azionari, ma anche a boom apparentemente non giustificati.
Anche la regolamentazione e l’imposizione fiscale hanno un impatto sulla liquidità dei mercati finanziari. Dal 2013 è in vigore in Italia la cosiddetta “Tobin tax”, cioè una tassa sulle transazioni finanziarie. Essa puntava a ridurre il grado di speculazione e ad aumentare il gettito fiscale. Nelle casse dello stato sono entrati spiccioli e il volume giornaliero degli scambi si è abbassato, allontanando gli investimenti dalla Borsa di Milano e creando maggiori rischi a carico del mercato. Tutto ciò che riduce la liquidità va sempre a discapito degli investitori.
Liquidità legata alla natura dell’asset
Infine, un asset poco liquido per eccellenza è l’immobile. Comprare casa non è mai come comprare un titolo finanziario. Per quanto vivace possa essere il mercato in una data area, molto difficile che lo si riesca a comprare o vendere all’istante. A parte la burocrazia che sta dietro una transazione del genere, ci sono da mettere in conto le preferenze della controparte e le diverse valutazione sul prezzo. Tanto per fare un esempio, per me un attico con vista sul Duomo di Milano può valere una fortuna, ma chi lo compra può non pensarla allo stesso modo se lo stabile non ha un ascensore e si tratta di una persona anziana o disabile o che semplicemente non ritiene saggio doversi fare 4-5 rampe di scale a piedi. Questo è un caso di scarsa liquidità connaturata alle caratteristiche del bene in cui s’investe.