Il 2025 sembra essere un vero anno di svolta per il mercato delle crypto, perché l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca fa presagire l’avvio di una nuova era. In scia all’ottimismo i Bitcoin, che sono il token digitale più popolare al mondo, sono saliti fin sopra i 100.000 dollari e capitalizzano ormai intorno ai 2.000 miliardi. Ma in Italia i cambiamenti tardano ad arrivare, come conferma la nuova tassazione sulle criptovalute.
Tassazione criptovalute, annuncio-choc
Facciamo un passo indietro. Siamo alla fine di ottobre e il settore viene minacciato da un annuncio choc del governo: le plusvalenze realizzate tramite le cripto-attività saranno sottoposte a tassazione del 42% dal 2025. Un’impennata rispetto al 26% sino ad allora previsto. Le imprese del settore si fecero sentire sin da subito, facendo notare come vi fossero persino profili di incostituzionalità. In effetti, senza una motivazione valida si sanciva la differenziazione tra i guadagni realizzati tramite questi asset relativamente nuovi e tutti gli altri aventi natura finanziaria.
Altro grande problema: l’aumento della tassazione sulle criptovalute si sarebbe potuto aggirare investendo tramite ETF, ETC ed ETN. Sarebbe accaduto che la stangata avrebbe colpito duramente le piattaforme exchange nazionali, favorendo in maniera del tutto suicida le grandi realtà internazionali come BlackRock, che dallo scorso anno hanno dato vita a veicoli appositi per consentire ai clienti di investire in Bitcoin. Le lamentele hanno fatto breccia tra i partiti della maggioranza e lo stesso ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, è stato costretto al passo indietro.
Modifiche a legge di Bilancio 2025
Arriviamo alla fine di dicembre. La legge di Bilancio 2025 è stata definitivamente approvata da Camera e Senato, per cui può entrare in vigore dall’1 gennaio. Vediamo quali novità sono state effettivamente introdotte a proposito di tassazione delle criptovalute. Il timore più grande non si è materializzato. L’aliquota sulle plusvalenze realizzate resta al 26%. Ma non gioite troppo presto. E’ stata prevista una sua lievitazione al 33% dall’1 gennaio del 2026. Tra un anno, quindi, la stangata ci sarà, pur in misura inferiore rispetto a quella ventilata per l’immediato da questo mese. Si tratterebbe di una sorta di compromesso tra chi voleva colpire i token e chi voleva che le cose restassero come erano. In effetti, l’aliquota aumenterà a metà strada tra il 26% e il 43% inizialmente fissato.
La speranza è che da qui a dicembre ci sarà un intero anno per fare capire al governo che questa misura sia non solo inutile – il gettito fiscale atteso è nell’ordine di pochi milioni (milioni, noccioline per il bilancio dello stato) di euro – ma anche controproducente. Se gli operatori del mercato non riusciranno nell’intento, probabile che saranno le prime azioni del prossimo governo americano a far cambiare opinione a Roma. Quando si accorgeranno che si è già scatenata una corsa ad attirare i capitali in favore delle crypto, qualcuno dovrà rimangiarsi la malsana idea di tartassarne il business.
Sparisce soglia dei 2.000 euro
In ogni caso, la tassazione sulle criptovalute aumenterà lo stesso anche nel 2025. Chi ha investito in questi asset, sa probabilmente già che con la legge di Bilancio 2024 era stata introdotta una soglia di 2.000 euro entro la quale le plusvalenze non erano tassate. Soglia e non franchigia. Non è una questione formale, ma molto sostanziale. Infatti, con una plusvalenza di 2.001 euro l’investitore fino al 31 dicembre scorso era tenuto a pagare il 26% dell’intera somma, cioè 520 euro sui primi 2.000 euro e il 26% sulla parte eccedente. Da quest’anno le plusvalenze sono tassabili senza soglie di esenzione.
Per quanto la notizia sia da considerarsi spiacevole, può diventare un buon compromesso in vista dell’obiettivo di evitare che dall’anno prossimo il governo proceda alla vera stangata temuta dal settore. In effetti, la tassazione delle criptovalute era fino a pochi giorni fa più favorevole di quella applicata sugli altri asset di natura finanziaria. Ad esempio, se acquisto titoli azionari per 10.000 euro e li rivendo per 11.000 euro, pagherò il 26% sui 1.000 euro di plusvalenza realizzata, non essendovi soglie di esenzione.
Prevista imposta sostitutiva
Le novità non sono finite. L’investitore ha facoltà di decidere se fissare come prezzo di carico per le crypto detenute il loro valore di mercato in data 1 gennaio 2025. In quel caso, dovrà versare allo stato un’imposta sostitutiva pari al 18% dell’intero valore. Fate attenzione a questo concetto. Se possedete un Bitcoin e volete fissarne il prezzo di carico all’1 gennaio scorso, dovete pagare il 18% del suo valore in quella data, che grosso modo si aggirava intorno ai 90.000 euro. Dunque, dovrete versare allo stato 16.200 euro entro il 30 novembre 2025. Ma vi sarà offerta la possibilità di pagare in tre rate annuali di pari importo, anche se sulle rate successive alla prima dovrete riconoscere al Fisco un tasso di interesse del 3%.
Per quale ragione dovreste avvalervi dell’imposta sostitutiva? I motivi potrebbero essere sostanzialmente due. Il primo è che non siete in grado di risalire agevolmente ad un prezzo di carico dimostrabile, magari perché possedete asset acquistati in date remote senza documentazione certa. Un altro può riguardare la necessità di abbattere la pressione fiscale. Pensate a un Bitcoin acquistato anche solo pochi anni fa, quando viaggiava a poche migliaia di euro sul mercato. Significherebbe, nel caso di rivendita, dover pagare il 26% su un valore elevatissimo. Meglio fissare il prezzo di carico ai valori alti di inizio anno, così da pagare l’aliquota complessivamente più bassa del 18%. E’ bene, tuttavia, farsi due conti prima di decidere o meno di esercitare tale opzione. Oltre a quanto detto, sugli asset sui quali ci si è avvalsi dell’imposta sostitutiva non si possono portare in detrazione eventuali minusvalenze.
Tassazione criptovalute, quando scatta
La tassazione delle criptovalute interviene nel momento in cui le plusvalenze vengono effettivamente realizzate, cioè quando l’investitore rivende a prezzi superiori a quelli di acquisto. Se alla fine di quest’anno doveste registrare un guadagno virtuale, in quanto una o più crypto prezzasse a livelli superiori al costo di acquisto, non paghereste nulla al Fisco fino al momento in cui esso verrà realizzato con la rivendita. Infine, l’imposizione scatta nel momento in cui avviene la conversione da crypto a moneta fiat (euro, dollaro, sterlina, ecc.). Pertanto, essa non è dovuta nel caso in cui si abbia una conversione da crypto a crypto, come nel caso in cui scambio Bitcoin per Ethereum, ecc.
Sembra molto probabile che la tassazione sulle criptovalute al 42% sarà evitata anche l’anno prossimo. Ciò avrebbe reso l’Italia uno degli stati al mondo maggiormente punitivi per questo mercato. E lo è già oggi, a seconda dei punti di vista. Ad esempio, in Germania i primi 600 euro di plusvalenze non sono sottoposti a tassazione, mentre per valori superiori l’aliquota che si paga è quella del proprio reddito e può arrivare al 45%. Diciamo che neanche all’estero ci vanno in alcuni casi leggeri, ma si cerca di attutire il carico fiscale per gli importi minori, che sono anche di gran lunga i più frequenti tra i contribuenti. Il 42% minacciato fino a poche settimane fa dal governo sarebbe risultato appena inferiore al 43%, l’aliquota IRPEF più alta sinora prevista dal nostro ordinamento e che scatta per redditi lordi sopra i 50.000 euro.