Tassi BCE, cosa succede sui mercati dopo il taglio di giovedì scorso

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Giovedì 5 giugno la Banca Centrale Europea (BCE) ha comunicato di avere tagliato i tassi di interesse per l’ottava volta in un anno e sempre dello 0,25%. Il tasso di riferimento per i prestiti principali scende al 2,15%, mentre sui depositi bancari al 2%. Infine, è passato al 2,25% sui prestiti marginali. La mossa è stata in linea con le aspettative del mercato. In conferenza stampa, la governatrice Christine Lagarde ha spiegato che la decisione è avvenuta “quasi all’unanimità” e per essere più precisi con il solo voto contrario di un componente del Consiglio dei Governatori o board. Gli indizi portano a pensare che sia stato l’austriaco Robert Holzmann, che già alla vigilia si era espresso con scetticismo circa la necessità di continuare a tagliare il costo del denaro. D’altra parte, l’inflazione nell’Eurozona è scesa in media all’1,9% a maggio, appena sotto il tasso-obiettivo del 2% per il medio termine. Tuttavia, in Austria, così come in diversi stati dell’unione monetaria, è rimasta ben sopra tale livello. A Vienna i prezzi al consumo sono aumentati del 3% rispetto all’anno precedente. Si capisce la cautela di Holzmann.

Cautela alla BCE su nuovi tagli dei tassi

Il dibattito vero e proprio, sui giornali come al board, ha riguardato la necessità o meno di prendersi una pausa per i prossimi mesi, in modo da capire se i dati macroeconomici possano giustificare ulteriori interventi successivi o meno. Nel comunicato finale sui tassi, la stessa BCE ha mostrato cautela. Ha rivisto al ribasso le aspettative d’inflazione per il 2025 e 2026 dello 0,3% ciascuno, portandole rispettivamente al 2% e 1,6%. Nel 2027 risalirebbe al 2%, come già previsto dalle stime di marzo. Quanto al PIL, limatura per l’anno prossimo dal +1,2% al +1,1%. Se in conferenza stampa Lagarde ha ribadito l’approccio “data dependent”, vale a dire che l’istituto assumerà anche in futuro le decisioni in base ai dati macro e non secondo un percorso predeterminato (cosiddetta “forward guidance” nell’era Draghi), alcune dichiarazioni arrivate nelle ore successive hanno schiarito il quadro.
Sempre con riferimento ai dati macro, la BCE ha precisato che esistono due scenari possibili per il medio termine: un aumento dello scontro sui dazi tra Unione Europea e USA o un allentamento delle tensioni. Nel primo caso, l’inflazione sarebbe attesa in aumento e nel secondo in calo. Quanto al PIL, la resilienza mostrata nella prima parte dell’anno è stata superiore alle attese e l’istituto crede che un minimo sostegno possa arrivare dal riarmo europeo già in corso.

Il mercato sconta un altro taglio entro l’anno

Alcuni esponenti del board sono intervenuti pubblicamente per fare capire ai mercati che la BCE starebbe andando verso una pausa riguardo al taglio dei tassi di interesse. Uno di questi è stato il governatore lettone Martins Kazaks, secondo cui ci sarebbe “valore” nel mantenere un margine di manovra politico. Il collega greco Yannis Stournaras esprime la convinzione che bisogna sospendere almeno momentaneamente l’allentamento monetario. Sono segnali, attraverso i quali Francoforte prepara i mercati alla molto probabile pausa di luglio. E gli investitori stanno scontando un altro taglio dei tassi BCE entro l’anno, ma verosimilmente proprio verso la fine del 2024. Lo suggeriscono i contratti futures sull’Euribor a 3 mesi, un tasso di mercato che segue l’andamento del costo del denaro fissato dall’Eurotower sui depositi bancari.

Rendimenti a lungo termine e spread

Cos’è accaduto sui mercati dopo l’annunciato taglio dei tassi BCE? Il rendimento del Bund a 10 anni ha chiuso venerdì in rialzo dello 0,05% rispetto a prima dell’annuncio, al 2,56%. Ancora peggio ha fatto il rendimento a 2 anni, salito dall’1,79% all’1,86%. Il secondo tende anch’esso a scontare il tasso sui depositi bancari della BCE, per cui il segnale sarebbe che il mercato si aspetti nel medio periodo un costo del denaro appena più alto rispetto alla vigilia della riunione passata. Infine, il rendimento a 30 anni è sceso dello 0,03%. Dobbiamo considerare che più le scadenze sono lunghe e minore l’influenza della politica monetaria. I rendimenti a lungo termine captano più che altro le aspettative d’inflazione e le previsioni sull’andamento del debito pubblico.
Se è vero che i titoli di stato tedeschi fungono da riferimento per l’intera Eurozona, d’altra parte abbiamo assistito nelle ultime sedute a un ulteriore restringimento dello spread tra BTP e Bund. Per la scadenza a 10 anni siamo passati da 100 a circa 95 punti base. E’ un segnale promettente per i nostri titoli di stato. In pratica, il fatto che la BCE possa tagliare i tassi più lentamente per i prossimi mesi o persino che possa non tagliarli più, non ha accresciuto la percezione del rischio sovrano italiano. Anzi, questo sta riducendosi per effetto dei migliorati giudizi delle agenzie di rating. Da ultimo c’è stata Moody’s, che ha mantenuto di recente il suo voto Baa3, ma alzando le prospettive da “stabili” a “positive”. Un upgrade entro i prossimi mesi sembra probabile, cosa che allontanerebbe definitivamente il debito pubblico italiano dall’area più a rischio, quella “junk”. Il governo Meloni sta portando avanti una politica fiscale improntata alla prudenza, mostrandosi tendenzialmente contrario a ricorrere all’indebitamento per finanziare l’aumento delle spese militari. Una posizione che gli sta valendo il plauso dei mercati e che si esprime nell’abbassamento dello spread lungo la curva delle scadenze.
Scenario incerto sui dazi
Quindi, la BCE ha quasi smesso di tagliare i tassi? L’ipotesi più accreditata è che possa farlo un’altra volta dopo l’estate, a meno che l’inflazione nell’Eurozona rialzi la testa. Viceversa, se collassasse insieme al PIL, essa interverrebbe alla prima occasione utile per segnalare la prosecuzione dell’allentamento monetario. Molto dipenderà dall’esito delle trattative già in corso tra Bruxelles e Washington sulle relazioni commerciali. Un accordo andrebbe trovato entro 30 giorni, salvo proroghe da parte della Casa Bianca. Il rischio peggiore sarebbe che l’amministrazione Trump attivasse i dazi al 20% sulle esportazioni di merci europee. Lo scenario migliore contemplerebbe non solo che i dazi non venissero aumentati, ma che fossero persino ridotti sotto i livelli precedenti e l’ingresso delle merci sui due mercati sarebbe reciprocamente reso più libero.
Un accordo di libero scambio abbasserebbe le aspettative d’inflazione per il medio-lungo termine nell’Eurozona,offrendo alla BCE anche la possibilità di tagliare i tassi se occorresse per sostenere l’economia nell’area. Al contrario, dazi più alti porterebbero a scontare tassi d’inflazione maggiori per i prossimi anni. Tuttavia, il problema sarebbe come affrontare al meglio l’impatto di tali misure. La stessa BCE ha espresso preoccupazione nel board di aprile per il possibile “dirottamento delle merci” non esportate sul mercato europeo. Ciò farebbe aumentare l’offerta complessiva e abbasserebbe i prezzi. In pratica, l’effetto immediato e paradossale dei dazi sarebbe un calo dell’inflazione e possibilmente anche un periodo di deflazione. In teoria, la BCE dovrebbe tagliare i tassi. In verità, essa è tenuta a guardare ad un periodo di 12-18 mesi. Il rischio per Francoforte sarebbe, però, il disancoraggio delle aspettative d’inflazione. I consumatori e le imprese, vedendo i prezzi in calo o in crescita contenuta, potrebbero scommettere su un prosieguo di tale andamento anche per il medio-lungo periodo, finendo con l’abbassare davvero l’inflazione.
Tassi BCE e costi di emissione

Per il momento, comunque, i rendimenti a lungo termine non segnalano grande ottimismo su inflazione e debiti. Il Bund a 30 anni offre lo 0,30% in più rispetto a quando la BCE iniziò a tagliare i tassi nel giugno dello scorso anno. E’ il segnale più evidente di come le banche centrali non riescano a controllare l’intera curva delle scadenze. Pertanto, reclamare il taglio dei tassi nella speranza di abbassare i costi di emissione dei debiti, può rivelarsi del tutto insensato. Anzi, se il mercato fiutasse che ciò aumenti l’inflazione nel medio-lungo periodo, i rendimenti a lungo termine potrebbero continuare a salire. Per non parlare del fatto che sarebbe carburante per il mercato delle criptovalute. La paura per il ritorno alle stamperie monetarie spingerebbe gli investitori a comprare Bitcoin e altri token digitali, specie adesso che l’America sta regolamentando questo mercato e anch’essa ha un debito pubblico che scricchiola.

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