Si sono diffusi a ritmi impressionanti negli ultimi 10-15 anni e ancora oggi molti stessi piccoli investitori non hanno idea di cosa siano nel concreto. Gli Exchange-trade fund, noti perlopiù con l’acronimo Etf, fanno discutere di loro. Alla fine del luglio scorso, si stimavano investimenti globali in questi strumenti per 13.610 miliardi di dollari, in crescita di 947 miliardi solo da inizio anno. Erano a quota 1.000 miliardi nel 2006 e ancora nel 2011 ammontavano a 4.000 miliardi. Ma cosa sono esattamente? Gli Etf sono fondi d’investimento che si differenziano da quelli ordinari per la caratteristica essenziale che non puntano a battere il rendimento “benchmark” del mercato, bensì a limitarsi di replicarlo.
Etf, gestione passiva e facilmente comprensibile
In altre parole, gli Etf si caratterizzano per una gestione “passiva”. Cosa significa? Semplicemente, replicano l’andamento di un indice sottostante. Questo può riguardare asset finanziari (azioni, obbligazioni) o materie prime (oro, argento, petrolio, ecc.). In questo secondo caso, si parla più propriamente di Exchange-traded commodity (Etc). Dall’inizio di quest’anno sono stati autorizzati negli Stati Uniti i primi Etf in Bitcoin, vale a dire strumenti che replicano l’andamento della principale “criptovaluta”. Ciò ne ha sostenuto il rally delle quotazioni, aprendo di fatto a questo nuovo mercato le porte della finanza tradizionale. In sostanza, ora possiamo comprare Bitcoin anche indirettamente.
Nel concreto, quando acquisti la quota di un Etf, stai investendo nell’indice sottostante senza alcuna pretesa di batterne il rendimento. Ad esempio, se punti su un Etf legato all’indice S&P 500, principale mercato azionario nel mondo, stai seguendone l’andamento. Com’è possibile? Lo strumento non fa altro che acquistare i titoli azionari che compongono il paniere dell’S&P 500 nelle stesse proporzioni. In questo modo, se l’indice aumenta o decresce per ipotesi del 5% nel lasso di tempo di un mese, l’Etf farà lo stesso.
Principali vantaggi
Perché questi strumenti d’investimento si sono diffusi così velocemente? E quali vantaggi comportano? Esistono anche possibili rischi? Diciamo che gli Etf si prestano certamente per coloro che dispongono scarse disponibilità finanziarie. Un piccolo investitore ha generalmente un problema: da un lato ha la necessità di differenziare l’investimento per abbassare il rischio e dall’altro non possiede una somma tale da rendere l’operazione granché possibile. Con l’Etf si possono raggiungere entrambi gli obiettivi. Acquistandone una quota, può puntare indirettamente su un paniere composito di titoli finanziari o materie prime. E, cosa non meno importante, non si espone direttamente al rischio di emittente. Esso si ha nel caso in cui una società fallisce e il valore delle sue azioni e/o obbligazioni nei fatti quasi si azzera. Le perdite possono essere definitive e persino totali.
Rischi
Grazie al fatto che gli Etf non abbiano alcuna gestione attiva, i costi gestionali risultano molto contenuti. E questo consente di caricare sull’investitore commissioni relativamente molto basse. Un altro vantaggio per chi impiega i capitali, specie per importi non elevati. Tutto ciò spiega la ragione per cui si siano diffusi massicciamente nell’ultimo decennio e continuino a diffondersi sul mercato. Ma esistono anche rischi connessi all’investimento in Etf? Negli ultimi tempi, diversi analisti iniziano ad avanzare critiche esplicite a questo strumento. Le dimensioni assunte portano a farsi venire qualche dubbio.
Abbiamo detto che gli Etf si distinguono dai fondi d’investimento ordinari per una gestione passiva. Questo ha l’indubbio vantaggio di eliminare ogni costo legato all’analisi tecnica e macroeconomica di ogni singolo titolo inserito in portafoglio. D’altra parte, ci si affida un po’ alla sorte. Se l’indice sottostante sale, l’Etf sale anch’esso. Se l’indice scende, l’Etf scende. Le minori commissioni pagate sono espressione dell’assenza di analisi da parte dei gestori del fondo. Essi si limitano ad acquistare i titoli presenti nel paniere che compone l’indice di riferimento. Non importa se questi siano considerati rischiosi, destinati a deprezzarsi, scarsamente remunerativi. A tutte queste domande risponde la gestione attiva, che non è propria di un Etf.
Liquidità automatica per componenti degli indici
Diversi analisti si chiedono, tuttavia, dove andremmo a finire se nel tempo gli Etf prendessero il posto dei fondi d’investimento ordinari. Sparirebbe qualche analisi del singolo titolo e gli acquisti diverrebbero potenzialmente persino slegati dai fondamentali. In effetti, negli ultimi anni sta accadendo sempre più proprio questo. Molte società o stessi governi fanno di tutto per rientrare all’interno di un indice, consapevoli che beneficeranno automaticamente dell’enorme liquidità derivante proprio dagli Etf. Far parte dell’S&P 500 sembra ormai quasi l’unica condizione necessaria per assistere al boom di un titolo azionario in borsa. Lo stesso dicasi per gli altri indici azionari minori o legati alle materie prime.
Di recente, ci si è chiesti se l’esplosione dei titoli tecnologici della Silicon Valley non sia “drogata” dagli Etf, se questi non stiano alimentando una bolla finanziaria dalle dimensioni terrificanti e potenzialmente nocive per l’intero mercato. Per rispondere a tali dubbi, stanno diffondendosi di recente anche gli Etf dalla gestione “attiva”. Può apparire un controsenso, visto che verrebbe meno la loro principale caratteristica. In effetti, lo è. Non si tratta di strumenti assimilabili del tutto ai fondi ordinari, anche perché le commissioni applicate alla clientela si confermano più basse. Mettono insieme i vantaggi dei due modelli contrapposti. Al termine del luglio scorso, il controvalore globale dei loro investimenti ammontava a 974,29 miliardi di dollari.
Etf ad accumulazione o distribuzione
Tornando agli Etf classici o attivi, esistono quelli ad accumulazione e a distribuzione. I primi staccano periodicamente dividendi e cedole all’investitore. I secondi non lo fanno, per cui dividendi o cedole vengono reinvestiti e aumentano il rendimento secondo il principio dell’interesse composto. I primi sono più adatti a quanti investono un capitale per ricevere nel tempo un flusso di reddito. I secondi si rivelano più idonei per quanti puntino a massimizzare il rendimento in un dato orizzonte temporale.
Tirando le somme, Etf o fondo attivo? Una risposta corretta (per tutti) non esiste. Assistiamo quasi costantemente alla critica aprioristica contro i primi, che arriva da quanti si occupano di gestione finanziaria. La ragione è comprensibile: si tratta di professionisti che devono per lavoro vendere i loro prodotti al cliente. Non possono sponsorizzare in alcun modo gli Etf, altrimenti segherebbero l’albero su cui stanno seduti. Fatta questa premessa, è altrettanto indubbio che una strategia legata esclusivamente a questi strumenti non sarebbe sempre idonea. Chi dispone di capitali più elevati, può permettersi di differenziare l’investimento e di selezionare, tramite un fondo o consulente finanziario, gli asset con prospettive per sé più favorevoli all’interno di un paniere. In parole povere, alcuni investitori possono puntare esplicitamente a “battere il benchmark”, ossia a cercare di fare meglio del mercato.