Bitcoin Core: solidità di governance e decentralizzazione

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Bitcoin core: come funziona e perché è così apprezzato?

La governance del protocollo Bitcoin è affidata a uno schema partecipativo unico nel suo genere, estremamente rigido nel distribuire il potere decisionale e di ratifica, che se da un lato rende lo strato basico piuttosto resistente ai cambiamenti in termini soprattutto di scalabilità, ma anche di barriera all’ingresso soprattutto in termini di configurazione tecnica, dall’altro lato assicura una grandissima stabilità e affidabilità, valore riconosciuto dall’intera comunità di supporto – nonché dall’utenza – come tra i più preziosi.

Il modello generale segue un’architettura completamente informale e distribuita, forse la più effettivamente decentralizzata del settore.

Non esiste alcuna autorità centrale che possa far valere le sue decisioni sugli attori che usufruiscono e fatto operativamente funzionare l’intero network. Le modifiche possono avvenire solo sulla base di un consenso chiaramente espresso dalla comunità, attraverso un’interazione “pesata” tra sviluppatori, miners, utenti e business adottanti.

Ma come funziona l’intero processo? Da un punto di vista storico, come si è evoluto il sistema monetario ideato da Satoshi Nakamoto, e con quali implicazioni? Cosa cambia, cosa è cambiato, ma soprattutto cosa è rimasto assolutamente identico all’interno di Bitcoin, e perché questo aspetto è uno dei grandi meriti di questo protocollo?

In questo articolo vedremo di rispondere a tutte queste domande, cercando di capire in modo più approfondito in cosa consiste il sistema di governance di Bitcoin, e perché è sempre stato così affidabile nell’interpretare i bisogni di una tanto diffusa comunità di utilizzatori.

Bitcoin core: cos’è il BIP?

Il processo di modifica previsto nel protocollo Bitcoin si basa su una sorta di “unità atomica” di proposta, che viene detta BIP (acronimo per Bitcoin Improvement Proposal).

I BIP vengono elaborati, proposti, sintetizzati e sottoposti a discussione “tra pari” attraverso varie fasi intermedie, tutte estremamente lunghe e condivise, che hanno come obiettivo il raggiungimento di un “consenso approssimativo” propedeutico a qualsivoglia cambiamento si intenda implementare.

Tale consenso si raggiunge quando la maggioranza risulta soddisfatta circa il fatto che le obiezioni alla proposta risultino infondate.

Dopo questa prima fase di confronto si passa a un livello più operativo e tecnico, che vede necessariamente come protagonista il lavoro sul codice da parte del team di sviluppo. Si procede dunque a integrazione del BIP in quello che si costituisce come Bitcoin Core, ossia il software client caratterizzante le operazioni fondamentali per il funzionamento di tutto l’apparato Bitcoin.

Nello specifico, questa procedura è confinata per sua natura all’azione dello sviluppatore che ha libero accesso al “commit”, ossia alla repository del codice caricabile su piattaforma pubblica riconoscibile dall’intera comunità.

L’attivazione effettiva dell’eventuale integrazione avviene però solo e unicamente quando un livello minimo di nodi “adotta” la medesima attraverso sua istallazione. Superata questa soglia si può considerare “attivato” il BIT.

Il protocollo Bitcoin prevede in questo senso una soglia di attivazione estremamente alta. Per esempio, uno dei più celebri BIT è quello noto col suo nome in codice SegWit, e ha richiesto almeno il 95% dei miner come segnalatori dell’avvenuto aggiornamento nei primi 14 giorni di test.

Già a questo livello è possibile notare una notevole differenza rispetto ad altre procedure vigenti nel mondo crypto e in paralleli progetti blockchain, dove le soglie di consenso non sono certo quelle di una “sostanziale unanimità”, come appunto avviene in Bitcoin.

La politica di gestione dei fork

Un presupposto fondamentale a qualsiasi BIP è dato dall’assoluta compatibilità con le versioni precedenti del protocollo. Ovvero, in prima battuta qualsiasi nodo adottante la novità introdotta deve comunque risultare in grado di operare in correlazione e connessione a nodi che hanno al contrario mantenuto la versione precedente.

A questa particolare forma di evoluzione basata su aggiornamenti comunque compatibili con le versioni pregresse viene dato il nome di “soft fork”, una biforcazione che dunque non compromette in alcun modo l’unità del progetto originario e delle sue linee guida fondamentali.

Soft fork

Storicamente, la sopraccitata implementazione di ciò che oggi chiamiamo SegWit ha assunto proprio la forma di un soft fork, più precisamente denotato con l’acronimo UASF, ossia User Activated Soft Fork.

Prendendo per un attimo in prestito le parole di Giacomo Zucco, storico e riconosciuto sviluppatore Bitcoin, nonché suo divulgatore tra i più noti e apprezzati, l’intera architettura del protocollo somiglia a un comune edificio.

Le fondamenta non vengono praticamente mai toccate, e un’ipotetica “ristrutturazione” è talmente remota da poter essere considerata praticamente una fattispecie puramente teorica.

Ciò che viene messo in relativa discussione è quello che avviene al di sopra delle fondamenta, con necessarie manutenzioni che via via, passando dai muri portanti ai piani superiori, dalle strutture idrauliche (acqua, gas) e infotelematiche (linea telefonica, internet, etc…) e dai piani superiori alle singole stanze, e dalle stanze alle aggiunte successive – dai divisori in cartongesso per ottenere nuovi vani fino alla mobilia – possono andare a intensificarsi lungo periodi temporali sempre più ravvicinati, senza però mai toccare le fondamenta.

Riassumendo: Bitcoin tende a preservare con atteggiamento estremamente “conservatore” la sua base funzionale, confinando alla periferia le implementazioni che possono renderla sempre più dinamica e fruibile (basti pensare a layer secondari come Liquid o Lightning Network).

Si tratta di una modalità di governance che differisce notevolmente dagli altri standard presenti nel mondo crypto, laddove i vari cambiamenti seguono una imposizione sostanzialmente forzata da parte della comunità sovraordinata degli sviluppatori e dei miner relativi a una certa criptovaluta, ovvero progetto blockchain.

Nel caso di Bitcoin, unica valuta crittografica a non avere alcun consiglio di amministrazione o unità decisionale centralizzata, il coinvolgimento è assolutamente orizzontale e appunto improntato su una filosofia di assoluta condivisione tra soggetti impegnati a sostenere il protocollo da più fronti: sviluppare codice per Bitcoin, minare Bitcoin, utilizzare Bitcoin.

L’intera comunità di nodi è chiamata a dare infatti segnalazione dell’avvenuta adozione, in un meccanismo che è stato chiamato UASF (User Activated Soft Fork).

In tutta la storia di Bitcoin la più importante UASF è stata implementata nel 2017 con la BIP 148, che mirava a inaugurare l’adozione della modalità Segregated Witness (SegWit), un aggiornamento del protocollo che aumentava il limite superiore di dimensione dei blocchi su una blockchain, rimuovendo i dati relativi alle firme dalle transazioni.

Il meccanismo è stato paragonabile, nella sua azione effettiva, a una sorta di effetto domino, in quanto l’implementazione del BIP 148 da parte di un’iniziale maggioranza di nodi ha di fatto esercitato una pressione indiretta di progressivo convincimento sui miner residui e riluttanti, che alla fine hanno superato ogni resistenza, allineandosi all’uso di SegWit.

Potremmo tranquillamente definire tale dinamica un’implementazione “dal basso”, che ha parallelamente dimostrato nei fatti l’efficacia operativa del modello di governance.

Hard fork

Se una proposta assume invece la forma di un costrutto algoritmico che non può essere applicato in concomitanza rispetto alla versione pregressa del protocollo, ci si trova di fronte a una fattispecie diversa: il cosiddetto “hard fork”, che necessariamente impone una biforcazione e un trattamento diverso e più “drastico” da parte del complesso sistema di regole basiche.

Quando una BIP non è tecnicamente compatibile con le versioni precedenti, l’unico modo per introdurla è attraverso quello che è noto come “hard fork” del protocollo. La compatibilità diventa infatti valida solo tra i nodi che adottano il cambiamento, e se una parte dei nodi non è d’accordo la sola via è quella di una radicale biforcazione, che nella sostanza avvia un vero e proprio progetto parallelo, con regole che potrebbero anche allontanarsi di molto da quelle originarie.

Le due catene nodali, quindi, non comunicano più, e si arriva alla definizione di un altro progetto, con caratteristiche evidentemente non più miscibili con quello originario e unitario. Cosa effettivamente accaduta…

Dal punto di vista storico, il più grande hard fork nella storia di Bitcoin è quello che ha dato vita alla crypto Bitcoin Cash, partita nell’agosto 2017 dopo che la comunità non era riuscita a trovare un compromesso sulle modalità di provvedere a un sistema più scalabile.

Bitcoin Cash (BCH) nasce da un’accesa disputa sulla scalabilità della rete. I principali sviluppatori Roger Ver e Jihan Wu sostenevano che Bitcoin dovesse mantenere bassi i costi delle transazioni e alta la velocità, aumentando le dimensioni dei blocchi.

Il 2017 e il 2018 sono state annate piuttosto cariche di hard fork relative al protocollo Bitcoin, in quanto hanno originato i seguenti progetti paralleli e indipendenti.

In Bitcoin Gold (BTG), fork datato ottobre 2017, la proposta di cambiamento mirava a rendere il mining più accessibile attraverso una dotazione hardware alternativa rispetto allo standard ASIC, oggettivamente più costoso e dunque privilegiante miner originariamente più capitalizzati e spesso identificati in soggetti aziendali e istituzionali.

Per quello che riguarda Bitcoin SV (BSV), la divergenza andava a riguardare principalmente il dato dimensionale sui blocchi. Secondo lo storico sviluppatore Craig Wright, e logicamente secondo i suoi sostenitori, la necessità di scalare l’intero sistema imponeva una dimensione di blocco sensibilmente maggiore.

Quanto a Bitcoin Diamond (BCD), la cui fuoriuscita risale al novembre 2017, ancora una volta la contesa riguardava la grandezza dei blocchi, nonché alcune questioni legate sia alla privacy che alla regolazione dell’ammontare di monete disponibili, il tutto con l’intento parallelo di diminuire le barriere all’ingresso.

Alla prova dei fatti, dunque, il protocollo “core” di Bitcoin ha dato prova di essere assolutamente resiliente e orientato a forme assolutamente orizzontali e democratiche di governance. Se è vero infatti che il Bitcoin Core è rappresentato da sviluppatori ufficiali, che non superano il centinaio e in astratto potrebbero imporre un loro potere di traino, dall’altro lato è anche vero che esiste un eloquente contrappeso a tale dinamica, e che solo la comunità di nodi ha effettivamente l’ultima parola sull’adozione o meno di una certa tecnologia o cambiamento di funzionamento del protocollo.

Infine, gli stessi utenti, ossia la base della piramide formata da decine di milioni di unità, che liberamente possono scegliere un software wallet rispetto ad un altro, e dunque censurare indirettamente sul piano del mercato dell’adozione qualsiasi scelta ritenuta avventata o poco sostenibile, risultano parte in causa dotata di incredibile potere.

Sussiste dunque un rapporto di pesi e contrappesi che include tutti gli attori del sistema, sviluppatori, nodi, miners e utenti finali immersi nel mercato, in un complesso sistema progettato per essere in grado di auto-disciplinarsi in modalità totalmente decentralizzata.

Conclusioni

Il sistema di governance di Bitcoin, basato su BIT a lunghissima articolazione sia temporale che procedurale, rappresenta una delle realizzazioni “comunitarie” più decentralizzate, democratiche e orizzontali nella storia dei progetti ad alta tecnologia.

I soft fork di Bitcoin sono stati di fatto implementati attraverso processi dal basso che si sono risolti in un miglioramento del sistema, deliberato praticamente all’unanimità, anche attraverso dinamiche di progressivo convincimento della rete attraverso processi naturali, mai forzati da entità esterne e centralizzate.

Dal lato hard fork, Bitcoin ha dato vita a progetti paralleli che – per quanto in frontale e spesso aspra polemica con la componente pregressa – hanno generato altcoin del tutto autonome, senza minimamente inquinare o mettere in discussione il protocollo Bitcoin classico.

In materia di solidità e sicurezza, Bitcoin porge una governance assolutamente inattaccabile, in quanto legata a processi decisionali che riguardano una comunità vastissima formata da poteri e contropoteri assolutamente equilibrati: sviluppatori e miners da un lato, utilizzatori dall’altro.

Proprio per questa convergenza di fattori tecnici e filosofici, Bitcoin non rappresenta solamente una moneta decentralizzata di natura deflativa, ma anche un vero e proprio esperimento sociale di carattere corale e collettivo, che ad oggi registra un clamoroso successo.

Filippo Albertin

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