Bitcoin riserva strategica: l’annuncio e le conseguenze di una manovra che cambia drasticamente le carte sul tavolo dell’economia globale.
Lo aveva annunciato, e noi stessi ne avevamo dato conto in un recentissimo articolo. Ma ora quella che sembrava una voce di corridoio, per quanto suffragata da ufficiale dichiarazione su Truth Social, è diventata una solida realtà. Il presidente USA Donald Trump ha firmato il definitivo via libera per la “riserva strategica statale” in Bitcoin di cui tanto si parlava.
L’ordine esecutivo, ossia non prorogabile, né tanto meno annullabile, il 6 marzo 2025 è comparso nero su bianco sul bollettino ufficiale della Casa Bianca…
Pertanto, da qui in poi, nulla sarà come prima, visto che tutti i paesi dovranno prima o poi confrontarsi con questa misura che ha del rivoluzionario, e che — come appunto anticipavamo nell’articolo sopraccitato — di fatto introduce un ritorno di politiche monetarie a base deflativa che ricordano in modo innegabile, sia pure in modalità digitale, il regime del gold standard vigente fino all’estate del 1971.
Bitcoin come riserva strategica: i passi della politica
Donald Trump istituisce dunque una Riserva Federale in Bitcoin, dando pieno seguito all’annuncio avvenuto ben poco tempo prima su Truth Social.
Le prime informazioni in materia sono state riportate da David Sacks, che sarà alla guida del Crypto Summit, evento ormai attesissimo che svelerà i dettagli di questa misura e delle motivazioni che l’hanno ispirata fino a concretizzazione operativa.
Stando alla descrizione che è stata fornita, questa riserva statale sarà costituita da fondi che non comporteranno nuovi acquisti, bensì conversione e trasferimento di asset già custoditi dal governo federale. Parliamo dunque di beni digitali già frutto di confische nell’ambito di corposi procedimenti sia civili che penali.
Questo significa che l’accumulo in riserva strategica non andrà a costituire una voce di bilancio da finanziare attraverso ulteriori imposte a carico del contribuente medio.
La riserva sarà infatti da subito creata a partire dai circa 198.109 Bitcoin posseduti già dal Governo, per un controvalore che attualmente si attesta attorno ai 17,50 miliardi di dollari.
Sacks da questo punto di vista si esprime con estrema chiarezza: “I segretari del Tesoro e del commercio potranno sviluppare strategie per acquisire BTC aggiuntivi sulla base di programmi integrativi di acquisto. Ma tali programmi dovranno sempre essere proposti lungo la direttrice della piena neutralità, ossia non gravare mai sui contribuenti.”
Lo stesso Sacks prosegue affermando che comunque la riserva non sarà costituita solo da BTC, ma potrà includere anche altri asset di interesse strategico, sempre sulla basse della stessa logica: utilizzo di beni confiscati e procedure che non prevedano l’innalzamento del tetto imposte.
Per avere un’idea sia pure molto generale e qualitativa della “composizione di portafoglio” più somigliante a quella immaginata per questa riserva strategica, molto utile è fare riferimento al servizio di intelligence nazionale costituito dall’agenzia Arkham, che appunto detiene e tiene traccia di tali asset.
Esprimendo il conteggio in dollari statunitensi, si parla di circa 122 milioni in ETH, altrettanti in USDT, 66 milioni in BTC wrapped, 37 milioni in BNB (di cui 13 milioni wrapped) e 24 milioni di USDC, più una serie di crypto rappresentate da cifre assolutamente residuali.
Significato della manovra
Il passaggio da “asset confiscato” ad “asset strategico” potrebbe sembrare un sofismo di poco conto, ma non lo è. L’assunto logico assolutamente rivoluzionario, che come detto crea un precedente dopo decenni di assoluto dominio del dollaro “fiat”, stampato senza alcun tipo di connessione con una qualche forma di limite “naturale”, storicamente affidato alle riserve auree, si sostanzia nel riconoscimento di un ruolo strategico (in primis) a Bitcoin.
In altri termini, invece di una monetizzazione in comuni vendite e aste, come di consueto nell’ambito della gestione di patrimoni a vario titolo confiscati in seguito a reati di varia natura, l’amministrazione Trump ha dato corso a una procedura di “riconoscimento” diretto e senza mediazioni della natura valoriale degli asset in possesso.
Nessuna vendita, dunque, ma un utilizzo diretto, che sulla base delle chiare ed eloquenti dichiarazioni in materia di “neutralità fiscale” realizza pienamente il disegno che sulla carta era stato largamente pubblicizzato e sbandierato: trasformare gli Stati Uniti nella capitale planetaria delle crypto, con specifico riferimento alla moneta di Satoshi Nakamoto.
Da qui in poi, infatti, ci possiamo solo aspettare un insieme di politiche largamente favorevoli a tutte le prassi connesse all’impiego legale di tale asset, dal minare Bitcoin all’utilizzo pratico come strumento di pagamento e risparmio.
Sulla scorta di questa apertura oramai sancita da atti definitivi e non revocabili, si pone in maniera ancora più urgente la tematica della regolamentazione; una tematica che, in ragione di questa innegabile accelerazione statunitense, dovrà necessariamente diffondersi anche altrove, con specifico riferimento a uno scenario europeo, che ancora fatica a digerire l’innovazione portata dalle criptovalute e ha per ora dato prova di muoversi lungo direttrici reazionarie, scettiche e improntate su una timidezza ormai insensata.
Conseguenze specifiche per l’Europa
In primis, quanto accaduto andrà a intensificare la pressione competitiva, peraltro già acuita dalla nota questione dei dazi statunitensi.
L’Europa potrebbe quindi sentirsi spinta a rivalutare la propria posizione sulle criptovalute, accelerando lo sviluppo di regolamentazioni chiare e favorevoli all’innovazione nel settore. La creazione di una riserva strategica di Bitcoin da parte degli Stati Uniti potrebbe inoltre spingere l’Unione Europea nella sua totalità a considerare l’adozione di strategie simili per non rimanere indietro nella corsa alla digitalizzazione finanziaria.
Ma sussistono anche dirette conseguenze per l’euro come moneta globale. L’adozione del Bitcoin come riserva strategica da parte di una potenza economica come gli Stati Uniti potrebbe infatti mettere in discussione il ruolo dell’euro come valuta di riserva, inducendo spostamenti verso altre valute. Ciò potrebbe portare a una maggiore volatilità dei mercati valutari e a una rivalutazione delle strategie di diversificazione delle riserve da parte delle banche centrali europee.
Ma, come anticipato, la grande partita è quella sulla regolamentazione e sulla sua portata reazionaria o rivoluzionaria. L’Europa dovrà trovare un equilibrio tra la necessità di regolamentare il settore delle crypto per proteggere i consumatori e prevenire (come giusto) il riciclaggio di denaro, e la volontà di favorire l’innovazione e la crescita economica. L’ordine esecutivo di Trump potrebbe quindi stimolare un dibattito più ampio sulla necessità di una regolamentazione armonizzata a livello globale.
Conclusioni e possibili effetti globali
Come abbiamo visto, la decisione degli Stati Uniti potrebbe accelerare l’adozione del Bitcoin e di altre criptovalute da parte di altri paesi, in particolare quelli che cercano alternative al dollaro come valuta di riserva. I paesi emergenti — che, lo ricordiamo, hanno già abbondantemente utilizzato Bitcoin come strumento di resilienza — potrebbero vedere nelle criptovalute un’opportunità per rafforzare la propria indipendenza finanziaria e ridurre la dipendenza dal sistema finanziario tradizionale.
In ragione di ciò, la competizione tra Stati Uniti e altri paesi per il controllo del settore delle criptovalute potrebbe intensificarsi, con implicazioni per la sicurezza nazionale e la stabilità finanziaria globale. La creazione di riserve strategiche di Bitcoin potrebbe infatti diventare un elemento chiave delle strategie geopolitiche delle principali potenze mondiali.
Non da ultimo, la corsa all’innovazione tecnologica. Una dinamica del genere, vale a dire l’inseguimento di posizioni di primato in materia crypto, potrebbe stimolare la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie legate alle criptovalute, come la blockchain in quanto tale, con applicazioni in diversi settori, dalla finanza alla logistica.
In sintesi, la decisione di Trump potrebbe avere un impatto ben oltre la semplice politica di immagine, e una significativa ricaduta sul futuro del sistema finanziario globale, accelerando la transizione verso un’economia digitale e, si spera, anche multipolare.
Filippo Albertin