Bitcoin: può diventare sul serio riserva strategica, con specifico riferimento alle politiche monetarie di paesi e superpotenze?
Donald Trump, durante la sua campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti nel 2024 e successivamente alla sua elezione, ha espresso come ormai ben sappiamo un forte sostegno all’idea di sostenere il mercato crypto in generale, ventilando anche l’idea di creare una “riserva strategica” di Bitcoin e altre criptovalute.
Oltre a rappresentare un cambiamento significativo rispetto alla sua posizione precedente, quando durante il suo pregresso mandato definì le criptovalute, incluso Bitcoin, una “truffa” e un “disastro potenziale”, questa svolta segna come ovvio una rivoluzione storica, visto che dal punto di vista macroeconomico una scelta del genere – specie se condotta nel sistema del dollaro statunitense – sarebbe l’equivalente di un ritorno al meccanismo deflativo del gold standard, per non parlare del significato in termini di endorsement e conseguente sviluppo del mercato e dell’adozione globale degli asset digitali.
Il suo interesse attuale sembra motivato sia da ragioni economiche che geopolitiche, oltre che da un tentativo di attrarre il sostegno di investitori e sostenitori del settore crypto. Ma in seguito alle ultime dichiarazioni, sembra che la cosa sia tutt’altro che uno scherzo.
Bitcoin come riserva strategica: gli esordi e gli sviluppi
Trump ha iniziato a promuovere l’idea di una riserva strategica di Bitcoin durante un discorso al Bitcoin 2024 Conference a Nashville, nel luglio 2024, promettendo di fare degli Stati Uniti la “capitale crypto del mondo”, sicuramente in netta controtendenza rispetto al suo predecessore.
Dopo la sua rielezione, il 3 marzo 2025 ha rilanciato la proposta in modo ben più perentorio ed eloquente, annunciando tramite Truth Social la creazione di una “Crypto Strategic Reserve” che includerebbe Bitcoin (BTC), Ethereum (ETH), XRP, Solana (SOL) e Cardano (ADA).
Ha specificato inoltre che questa riserva sarebbe parte di un ordine esecutivo sui beni digitali emesso a gennaio 2025, con l’obiettivo di contrastare le politiche “corrotte” dell’amministrazione Biden, che secondo lui avrebbero ostacolato l’industria crypto. Insomma, una presa di posizione che (come peraltro ci aspettavamo) permane nella sua essenza di frontale messaggio politico.
Non è ancora chiaro come questa riserva verrebbe finanziata o gestita. Gli Stati Uniti detengono già circa 200.000 BTC (valore approssimativo di 17-21 miliardi di dollari a marzo 2025), confiscati principalmente tramite operazioni di polizia contro attività illecite o presunte tali, come il caso Silk Road (verso il quale Trump si era già mosso, concedendo la grazia e l’immediata scarcerazione dell’imprenditore digitale Ross Ulbricht, creatore del grande emporio online).
Trump ha suggerito di utilizzare questi fondi come base per la riserva, ma non ha escluso acquisti diretti sul mercato aperto. La senatrice repubblicana Cynthia Lummis, una delle principali sostenitrici dell’iniziativa, ha rilanciato ulteriormente l’idea proponendo il “Bitcoin Act of 2024”, che prevede l’acquisto di 200.000 BTC all’anno per cinque anni, fino a raggiungere 1 milione di BTC (circa il 5% dell’offerta totale di Bitcoin).
Il nuovo presidente USA e i suoi alleati, tra cui Lummis, sostengono che una riserva di Bitcoin potrebbe servire come protezione contro l’inflazione, rafforzare il dollaro statunitense e ridurre il debito nazionale, sfruttando l’apprezzamento a lungo termine del valore di Bitcoin. Inoltre, Trump ha sottolineato l’importanza di mantenere gli Stati Uniti competitivi rispetto a paesi come la Cina nel dominio del mercato crypto.
Sfide, critiche e situazione in altri paesi
Gli economisti hanno espresso in materia un certo scetticismo. Alcuni, come l’ex segretario al Tesoro Larry Summers, hanno definito l’idea “folle”, sostenendo che non abbia senso economico se non per favorire gli investitori crypto che hanno finanziato la campagna di Trump. Altri, come il professore di Cornell Eswar Prasad, avvertono che il governo potrebbe diventare un attore dominante nel mercato, influenzando i prezzi e rischiando perdite significative in caso di vendite massicce o crolli di valore.
L’idea di Trump h tuttavia largamente ispirato discussioni globali, con diversi paesi che stanno esplorando o hanno già implementato riserve strategiche di Bitcoin o altre criptovalute. Ecco una sintetica panoramica:
El Salvador: È stato il pioniere nell’adozione di Bitcoin come riserva statale. Sotto la guida del presidente Nayib Bukele, El Salvador ha reso Bitcoin moneta legale e ha iniziato ad accumularne come riserva. A marzo 2025, il paese detiene circa 6.088 BTC (valore stimato di 558 milioni di dollari), acquistati gradualmente. Bukele ha dichiarato di voler mantenere Bitcoin a lungo termine, considerandolo una protezione contro l’inflazione del dollaro statunitense, su cui il paese dipende. (In materia di nuove politiche pro-Bitcoin in El Salvador consigliamo di leggere la nostra intervista all’avvocato Lars Schlichting.)
Bhutan: Il regno himalayano ha adottato una politica innovativa attraverso la Gelephu Mindfulness City, iniziata nel gennaio 2025, che prevede di detenere criptovalute, incluso Bitcoin, come riserva strategica. Bhutan possiede circa 11.000 BTC (valore di 1,1 miliardi di dollari), accumulati principalmente tramite operazioni di mining che sfruttano l’energia idroelettrica abbondante del paese, gestite dalla conglomerata statale Druk Holdings.
Svizzera: Anche in seguito al noto progetto PlanB, largamente sponsorizzato dal colosso Tether, la Svizzera sta valutando l’inclusione di Bitcoin nelle sue riserve attraverso un referendum pubblico proposto per il 2025. La Banca Nazionale Svizzera (SNB) considera questa mossa in linea con la sua tradizione di neutralità e innovazione finanziaria, potenzialmente affiancando Bitcoin all’oro come riserva. Nessuna decisione è stata ancora presa, ma l’idea si è fatta strada e ha indubbiamente guadagnato supporto tra i cittadini e le istituzioni finanziarie.
Cina: Sebbene abbia vietato le transazioni crypto con svariate mosse, la Cina detiene circa 194.000 BTC (valore di 16,2 miliardi di dollari a marzo 2025), confiscati da schemi ponzi come PlusToken e affini (situazione appunto simile a quella statunitense). Non c’è un piano ufficiale per una riserva strategica, ma si vocifera che il governo stia accumulando Bitcoin in previsione di un possibile cambiamento di politica, o per contrastare l’influenza degli Stati Uniti nel settore.
Russia: Dopo aver legalizzato i pagamenti internazionali in criptovalute nel 2024, la Russia sta considerando una riserva strategica di Bitcoin per ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense. Rapporti dei media suggeriscono che il paese stia accumulando Bitcoin, ma non ci sono dati ufficiali sulla quantità detenuta. Di certo le transazioni in BTC costituiscono uno strumento ottimo per contrastare politiche monetarie e finanziarie avverse, come quelle messe in atto dalle celebri sanzioni economiche imposte dalla compagine europea.
Altri paesi: Germania, Brasile, Hong Kong e Polonia stanno esplorando l’idea di riserve di Bitcoin per motivi economici e geopolitici, come diversificazione delle riserve e protezione dall’inflazione. Ad esempio, in Germania, l’ex ministro delle finanze Christian Lindner ha suggerito che la Bundesbank consideri Bitcoin per ridurre la dipendenza dal dollaro.
Ultime dichiarazioni e conclusioni
L’iniziativa di Trump, che in seguito alle sue ultime ed eloquenti dichiarazioni è diventata a dir poco virale nel Web, potrebbe innescare una sorta di “corsa agli armamenti” crypto, con nazioni che accumulano Bitcoin per non rimanere indietro.
Questo fenomeno è stato paragonato alla competizione per l’oro o il petrolio in epoche passate, e il confronto non è certo campato in aria. Inoltre, la quantità limitata di Bitcoin (21 milioni totali) potrebbe intensificare la competizione e spingere i prezzi a livelli estremi se più governi entrassero nel mercato: in questo senso si aprono scenari di investimento e speculazione a dir poco incredibili, che vedono nel trading di BTC, così come nel minare Bitcoin, attività potenzialmente segnate da una leva finanziaria in accrescimento.
In sintesi, la volontà di Trump di creare una riserva statale di Bitcoin resta un progetto ambizioso, ma controverso e ancora in fase di definizione, soprattutto se rimarchiamo quella che a tutti gli effetti sembra essere una sua valenza squisitamente politica e di rottura. Parallelamente, paesi come El Salvador e Bhutan stanno già agendo, mentre altri come Svizzera e Russia si stanno preparando, suggerendo che il 2025 potrebbe segnare un punto di svolta per l’adozione di Bitcoin come asset strategico a livello globale.
Una cosa è certa: di Bitcoin e crypto in genere sentiremo sempre più parlare, in quanto il dibattito planetario sulla loro adozione è ormai un dato di fatto, che andrà a coinvolgere direttamente istituzioni, aziende, utenti e investitori sempre più dilaganti. Ovvero, per dirla con una battuta: indietro non si torna…
Filippo Albertin