Da quindici anni a questa parte c’è in Italia un termine che si aggira sui media quasi ossessivamente e che passa di bocca in bocca, non sempre con cognizione di causa: “spread”. In inglese significa letteralmente “divario”, “differenza”, ma può essere usato anche come verbo nel senso di “spalmare” o anche “diffondere”. E’ diventato lo spauracchio di qualsiasi governo in carica dal 2010 in avanti, non solo in Italia. La crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona portò all’esplosione dei rendimenti tra i cosiddetti Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) rispetto a quelli “core” tedeschi. L’evento fu una molla determinante per fare attecchire le “criptovalute” inizialmente tra gli “smanettoni” del web e successivamente tra un pubblico sempre più vasto. Lo spread misura la differenza tra i rendimenti di due titoli di uguale durata, di cui uno funge da cosiddetto “benchmark”. Per convenzione è espresso in punti base, laddove 1 punto base equivale allo 0,01%. Quindi, 100 punti base corrispondono all’1%.
Cos’è lo spread
Lo spread a cui ci riferiamo in Italia quasi sempre è quello tra Btp e Bund, entrambi con scadenza di 10 anni. Il primo è il titolo di stato italiano, il secondo tedesco. Perché questo confronto? I titoli di stato tedeschi fungono da riferimento per tutta l’Eurozona, in quanto sono considerati dagli investitori massimamente sicuri, anche detti beni rifugio. Le agenzie di rating li classificano con giudizi tutti ai massimi livelli: AAA. E sappiamo che più un titolo è percepito come sicuro e minore è il suo rendimento.
Il confronto tra Btp, Bonos, Oat, bond portoghesi, greci, ecc., con i Bund deriva proprio dalla caratteristica di questi ultimi. Cosa segnala lo spread? Il grado di rischio che il mercato percepisce a proposito di un bond. Più è alto, maggiore il premio richiesto per acquistare il titolo al posto di quello tedesco. Se ci fate caso, non converrebbe praticamente mai a nessuno comprare titoli di stato della Germania, visto che rendono meno di tutti gli altri nell’Eurozona. Tuttavia, sono sicuri e gli altri non così tanto. La sicurezza deriva dall’estrema solidità dei conti pubblici tedeschi, nonché da un’economia robusta, diversificata e resiliente.
Bond sicuri meno volatili
Gli investitori istituzionali hanno bisogno di tenere in portafoglio titoli di elevata qualità per ragioni sia regolamentari che statutarie. Inoltre, i titoli sicuri sono soggetti a minore volatilità nei periodi avversi sui mercati finanziari. Tornando allo spread, bisogna capire che quando esso sale, sta aumentando la percezione del rischio dell’asset in questione. Viceversa, quando scende. Le agenzie di rating possono influenzarne l’andamento aggiornando periodicamente i loro giudizi sui bond. A loro volta, però, guardano proprio lo spread per capire come il mercato veda tali titoli, al fine di valutare la capacità di rifinanziamento dei debiti degli emittenti.
Confronto anche tra obbligazioni private
Sin qui abbiamo parlato di spread solo a proposito di titoli di stato. In realtà, il termine è in voga anche per quanto riguarda le obbligazioni private o “corporate”. Il confronto può avvenire tra queste e i titoli di stato nel Paese di emissione o tra diversi comparti obbligazionari. In questo secondo caso, si guardano come riferimento i bond con rating AAA, considerati massimamente affidabili. In genere, l’altra categoria è quella con rating BBB. Infine, ci sono i titoli “non investment grade”, definiti anche “spazzatura” con rating da BB+ in giù.
Quando c’è fiducia sui mercati circa le prospettive macroeconomiche di un Paese o quelle specifiche di un’azienda o banca, i rendimenti di questa tendono a stringere rispetto a quelli dei bond con rating AAA. Quando sui mercati attecchisce, invece, un clima di avversione al rischio, gli investitori cercano riparo nei “safe asset” e tendono a liberarsi dei titoli meno sicuri, a partire da quelli “spazzatura”. Dunque, assistiamo a un restringimento degli spread nei momenti positivi e di una loro divaricazione in quelli negativi.
Spread e rendimenti, andamento non necessariamente univoco
Vale la pena sottolineare un dato non a tutti chiaro. Spread e rendimenti non sono sinonimi. Dire che aumenta lo spread non implica necessariamente che facciano altrettanto i rendimenti. E lo stesso quando parliamo di un calo. Può accadere che il differenziale si restringa, mentre i rendimenti del bond non benchmark salgano. E viceversa. Questo avviene per un motivo banale: se i rendimenti del bond benchmark diminuiscono/salgono in misura inferiore/superiore a quelli dell’altro bond, lo spread diminuisce. Viceversa, se i rendimenti benchmark salgono/scendono in misura inferiore/superiore, il differenziale si allarga.
Facciamo un esempio pratico: se il Btp a 10 anni rende il 3% e il Bund il 2%, abbiamo uno spread di 100 punti base, vale a dire dell’1% (3 – 2). Se il rendimento del Btp sale al 3,20% e quello del Bund al 2,30%, la differenza scende a 90 punti base (0,90%). Eppure si è registrato un aumento del nostro rendimento. Viceversa, se il rendimento del Btp scende al 2,50% e quello del Bund all’1,30%, lo spread sale a 120 punti base (1,20%), malgrado un calo del rendimento italiano.
Perché si guarda ai 10 anni
Per quale ragione si prende in considerazione la scadenza a 10 anni? Si tratta di una convenzione mediatica, che deriva dal fatto che un bond decennale abbia una durata sufficiente per captare le aspettative del mercato di lungo periodo. Ma ciò non toglie che lo spread si possa misurare su qualsiasi tratto della curva delle scadenze. In genere, esso tende a salire con l’aumentare di queste ultime. Ciò riflette l’aumento del rischio di credito man mano che passano gli anni, a meno che non si abbiano timori su un default imminente, come nel caso di diverse economie emergenti alle prese con problemi fiscali o di instabilità finanziaria.
Spread con bond in valute differenti
E’ possibile misurare lo spread tra bond denominati in valute differenti? Senz’altro, anche se il dato riflette qualcosa di diverso dell’avversione al rischio per un dato bond rispetto ad un altro. Un caso tipico si ha confrontando i rendimenti americani e quelli tedeschi. I primi sono naturalmente denominati in dollari, i secondi in euro. Entrambi sono massimamente affidabili sul piano creditizio, anche se a rigore i titoli di stato USA (Treasuries) non godono più dei rating AAA sin dall’agosto del 2011, quando subirono il primo storico declassamento ad opera di Moody’s, seguito nell’agosto del 2023 da quello di Fitch.
Lo spread tra Treasuries e Bund non ci dice nulla sul grado di rischio degli uni rispetto agli altri. Da anni, infatti, i bond americani offrono rendimenti più alti di quelli tedeschi lungo la curva. Questo avviene in conseguenza di una politica monetaria differente, con la Federal Reserve costretta a tenere i tassi di interesse più alti della Banca Centrale Europea, in virtù di condizioni macroeconomiche migliori negli USA rispetto all’Eurozona. E allora perché un investitore dovrebbe acquistare titoli tedeschi, se ha la possibilità di guadagnare di più grazie ai maggiori rendimenti dei titoli americani? Il discorso è inficiato dal rischio di cambio. Più il bond in una valuta rende di più rispetto all’altro espresso in un’altra valuta e maggiore sarebbe, in teoria, l’aspettativa del mercato per il deprezzamento della prima nei confronti della seconda.
In pratica, se il bond USA decennale offre il 2% in più del bond tedesco, significa che grosso modo il mercato si attende che il dollaro perda terreno contro l’euro al ritmo del 2% all’anno per i prossimi 10 anni. Sappiamo che, a posteriori, le previsioni risultano spesso anche del tutto sbagliate, specialmente se l’orizzonte temporale di riferimento è lungo. In questo senso, lo spread più che a dirci qualcosa sulla possibile evoluzione dei tassi di cambio, ci offre uno spaccato più legato alle diverse condizioni macro (inflazione, crescita economica, ecc.) e di politica monetaria.