Cosa succede alla tassazione sulle criptovalute in Italia?

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Le homepage dei giornali online e le prime pagine cartacee sono piene della notizia sul maxi-aumento della tassazione sulle criptovalute. Lo prevede la legge di Bilancio per il 2025, appena varata dal Consiglio dei ministri. Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, lo ha fatto presente nelle ore successive e ha lasciato di stucco il settore e milioni di piccoli investitori italiani. L’imposta sulle plusvalenze, ha spiegato, passerà dal 26% al 42%. Una stangata che gli esperti fiscali ritengono ingiusta, fortemente punitiva e persino incostituzionale.

Aumento tassazione criptovalute dannosa per investimenti italiani

Non si capisce ancora quale sia la ratio di questa decisione. E’ chiaro che servano risorse per finanziare le numerose misure che ogni anno contiene sempre la manovra di bilancio. Tuttavia, difficilmente lo stato incasserà molti più quattrini di prima. Anzi, corre il rischio opposto di ritrovarsi con casse più vuote. Lo spiegheremo di seguito. C’è un dato che vale la pena citare prima di ogni altro. All’inizio di quest’anno, l’Organismo Agenti e Mediatori, che collabora con Banca d’Italia e Consob, stimava in 2,7 miliardi di euro le detenzioni di “criptoattività” da parte circa 1,3 milioni di italiani. Facendo una media, si ottiene che ciascuno possederebbe qualcosa come circa 2.000 euro in Bitcoin, Ethereum, ecc.

Se anche l’intero importo fosse costituito da plusvalenza, saremmo di fronte a spiccioli rispetto a un bilancio dello stato. Ma la misura rischia di allontanare gli investimenti in Italia in un settore che si prevede assumerà dimensioni gigantesche nel prossimo futuro. E parliamo non di anni o decenni, ma davvero di pochi mesi e qualche anno al massimo. Dopo un tentennamento iniziale, diversi governi di tutto il mondo stanno abbandonando l’approccio restrittivo e punitivo per cercare di attirare capitali, nonché startup, know-how e un indotto parecchio appetibile, interessando il settore fintech e informatico. L’aumento della tassazione sulle criptovalute rischia di tenere l’Italia ai margini di tutto ciò. E sui mercati vince sempre chi arriva prima.

Cambiamento legislativo nel 2023

Cosa intendiamo per criptovalute? Si tratta di monete digitali, decentralizzate e che possono essere in teoria utilizzate come mezzo di pagamento per realizzare scambi di beni e servizi, ma anche come riserva di valore. La seconda funzione sta attecchendo tra i piccoli investitori e persino tra la grande finanza internazionale, mentre la prima resta quasi un tabù. Questo asset è percepito anche come altamente volatile e quasi nessuno nel mondo desidera riceverlo in pagamento, perché teme sia un suo deprezzamento che la sua messa fuori legge da parte dei governi. Fino a tutto il 2023 in Italia non esisteva una vera legislazione sulla tassazione delle criptovalute. Faceva testo la Risoluzione 02/09/2016 n.72 dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui gli scambi di “moneta virtuale” erano esenti da Iva. Esse erano assimilate alle valute straniere e le plusvalenze venivano tassate solo nel caso in cui il possesso durasse almeno 7 giorni lavorativi e per la somma di 51.645,69 euro.

Il legislatore ha fatto chiarezza solamente con la legge di Bilancio per il 2024. Ha previsto un’imposizione del 26% sulle plusvalenze realizzate tramite “criptoattività”, assoggettandole alla stessa aliquota prevista in via generale per i redditi di natura finanziaria. Sappiamo che fanno eccezione i titoli di stato (compresi quelli esteri rientranti nella “white list”), i cui rendimenti sono sottoposti alla minore aliquota del 12,50%. Tale assoggettamento scatta da quest’anno solamente nel momento in cui le plusvalenze vengono realizzate mediante conversione in euro. Tanto per capirci, gli scambi tra una criptovaluta e l’altra non è soggetta a imposizione fiscale.

Le minusvalenze, cioè le perdite accusate dalle operazioni di compravendita, possono essere compensate ai fini della tassazione delle criptovalute e fino al quarto periodo dì imposta successivo alla loro realizzazione. Ad esempio, se ho maturato una plusvalenza di 5.000 euro dalla vendita di Bitcoin e al contempo minusvalenze per 7.000 euro su altri Bitcoin o altri token, poiché la somma mi esita un saldo negativo per 2.000 euro, non sarò tenuto a versare alcunché al fisco.

Soglia, non franchigia di 2.000 euro

C’è stata un’altra previsione interessante: la plusvalenza diventa imponibile solo se supera la somma di 2.000 euro, data dal complesso delle operazioni sulle criptovalute nell’arco dell’anno solare. Ad esempio, se da un’operazione di compravendita di Bitcoin maturo una plusvalenza di 1.500 euro, non pago nulla. Se nello stesso anno maturo un’altra plusvalenza di 700 euro da una o più operazioni di compravendita di Ethereum, essendo superato il limite dei 2.000 euro, scatta la tassazione sulle criptovalute.

Come si determina la plusvalenza? Essa è data dalla differenza tra il prezzo di vendita e il previo prezzo di acquisto di una crypto. Qualora il contribuente non fosse nelle condizioni di dimostrare il prezzo di acquisto, si presume che la plusvalenza sia pari all’intero importo scaturito dalla cessione. Il legislatore ha offerto altresì la possibilità di determinare quale costo di acquisto per gli anni precedenti al 2023 il valore di mercato all’1 gennaio del 2023, versando un’imposta sostitutiva sull’intero importo del 14%.

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito con la Circolare 30/E del 27 ottobre 2023 che i 2.000 euro di cui sopra vanno considerati “soglia” e non “franchigia”. Questo significa che l’investitore sarà assoggettato all’imposta sulla plusvalenza sull’intero importo, qualora eccedente i 2.000 euro. In pratica, non verso nulla fino a 1.999 euro, ma se maturo una plusvalenza di 2.001 euro, pagherò il 26% (42% dal prossimo anno?) sull’intera somma, dunque 520,26 euro. Si tratta di una previsione legislativa altamente curiosa, ma tant’è.

Tassazione criptovalute, settore in subbuglio

Si fa presente che a partire da quest’anno è sufficiente segnalare il possesso di criptovalute nel nuovo Quadro W del Modello 730 ai fini della dichiarazione dei redditi. Fino al 2023, questa doveva essere integrata con l’invio separato del Quadro RW del modello Redditi PF. Stando così le cose, ci sarebbe una scappatoia legale per evitare l’aumento della tassazione sulle criptovalute: investire indirettamente tramite Etf, Etn ed Etp. Lo stato italiano corre anche il rischio che le detenzioni presso exchange straniere non vengano segnalate, perdendo più gettito di quanto presuma di ricavarne dalla stangata. Con ciò danneggerebbe exchange italiane al 100% come Cryptosmart, che svolgono un ruolo prezioso anche ai fini fiscali per lo stesso stato. Insomma, il settore è giustamente in subbuglio insieme a milioni di italiani che hanno il solo torto di voler puntare su un nuovo strumento di investimento. In questa previsione normativa sembra insito un giudizio etico, che non solo non ha fondamento, ma che non trova alcuna cittadinanza in uno stato di diritto.

 

 

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