Tutto ci saremmo aspettati, tranne che avremmo parlato di crisi delle criptovalute a poche settimane dall’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. I numeri parlano da sé. La capitalizzazione dell’intero mercato è scesa di oltre 800 miliardi di dollari nelle ultime settimane. La quotazione di Bitcoin si è portata sotto gli 85.000 dollari, ai minimi dalla vittoria dell’attuale presidente americano alle elezioni del 5 novembre scorso. Solamente alla fine di gennaio, pochi giorni dopo che questi giurava per il suo secondo mandato non consecutivo, la quotazione aveva toccato il record di sempre di 108.000 dollari.
Crisi delle criptovalute dopo il boom
Spesso, quando il mercato si muove in direzione opposta rispetto al verificarsi di un evento, si suole ricordare il motto tanto caro a Wall Street: “buy on rumor, sell on news”. Detto in maniera stringata, gli investitori tendono ad anticipare gli eventi e una volta che questi si verificano, si comportano in maniera opposta a quanto presumeremmo. E questo spiegherebbe effettivamente la crisi delle criptovalute in questa fase. Tutti ci aspettavamo che il ritorno di Trump alla Casa Bianca portasse il boom dei prezzi per i token digitali tra l’allentamento della regolamentazione e la promessa di costituire una riserva federale in Bitcoin. Ora che egli sta iniziando a mettere in atto le sue politiche – ha nominato Mark T. Uyeda a capo della Securities and Exchange Commission, un sostenitore di questo nuovo asset che prende il posto del dimissionario Gery Gensler, noto per la sua rigidità nei confronti di esso – si starebbe muovendo in direzione opposta.
Maxi-furto di Ethereum
Non possiamo escludere che questo consueto movimento dei mercati possa c’entrare, ma la crisi delle criptovalute di queste sedute si spiegherebbe soprattutto con altre motivazioni. In queste settimane, si sono verificati diversi episodi negativi per l’asset. Uno riguarda Ethereum, la seconda crypto più popolare al mondo dopo Bitcoin con una capitalizzazione attuale sui 280 miliardi. C’è stato il più grande furto di sempre ai danni di questo token presso la piattaforma Bybit, che ha sede negli Emirati Arabi Uniti. La refurtiva ammonta a 1,4 miliardi. Cos’è successo? Il gruppo di hacker informatici noto come “Lazarus” e dietro cui si celerebbe niente di meno che la Corea del Nord, ha agito sui documenti che gli utenti devono firmare online per autorizzare le transazioni. Questi sono stati falsificati e hanno indirizzato gli Ethereum verso numerosi account, dai quali sono stati subito scaricati per essere verosimilmente monetizzati.
Bybit ha subito un duro attacco, ma non ha fatto la fine di Mt. Gox, che a causa di un grosso attacco hacker nel 2014 fu costretta a chiudere battenti, nonostante fosse ai tempi la principale piattaforma exchange per criptovalute al mondo. E’ riuscita a garantire ai clienti la soddisfazione di tutte le richieste grazie a una copertura totale degli investimenti in Ethereum, tra l’altro potendo attingere al trasferimento di criptovaluta da parte di un’altra piattaforma: Bitget. Il sistema ha retto, ma è probabile che molti investitori abbiano optato per vendere, anche al fine di monetizzare i guadagni virtualmente realizzati negli ultimi mesi con la corsa del mercato.
Il caso Milei in Argentina
Un altro caso ha alimentato la crisi delle criptovalute, anche se forse in misura molto minore. Il presidente argentino Javier Milei è finito sotto indagine a Buenos Aires dopo che sul suo profilo social aveva sponsorizzato a metà febbraio $Libra, salvo cancellare il post alcune ore dopo. Nel frattempo, però, il token aveva accusato un collasso del 40%, infliggendo perdite a migliaia di risparmiatori domestici. Dietro ad esso si sarebbe celata una truffa internazionale. Rispetto al picco, vale adesso il 90% in meno.
Contrordine di El Salvador sui Bitcoin
Un altro episodio potenzialmente negativo sarebbe arrivato da El Salvador, patria delle crypto. Dal settembre del 2021, il presidente Nayib Bukele rese Bitcoin moneta a corso legale, imponendo di fatto l’accettazione tra privati e anche per il pagamento delle tasse. Su pressione del Fondo Monetario Internazionale, nelle scorse settimane ha dovuto compiere un passo indietro per vedersi erogato un prestito. L’accettazione non è più imposta per legge, né sarà possibile pagare le tasse in Bitcoin. Ad ogni modo, poco cambia nell’approccio dello stato dell’America Centrale, che continua ad accumulare riserve in crypto. Anzi, sta approfittando dei cali per accelerare l’iniziativa.
Pesa incertezza sull’inflazione
Questi accadimenti avranno pesato sulla crisi delle criptovalute in corso, ma la vera sostanza sarebbe un’altra. C’è grande incertezza sui mercati circa l’andamento dell’inflazione, che ultimamente sta risalendo un po’ ovunque, minacciando il taglio dei tassi di interesse da parte delle principali banche centrali. Questo sta rappresentando un problema per chi scommette sull’asset. Tassi fermi implicano una minore discesa dei rendimenti obbligazionari rispetto alle precedenti previsioni. Dunque, resta forte la concorrenza a Bitcoin, Ethereum, ecc. Tra l’altro c’è anche da dire che quando i tassi scendono, il grado di liquidità sui mercati aumenta e con esso anche la propensione al rischio. Viceversa, quando salgono.
Infatti, la crisi delle criptovalute fu enorme tra la fine del 2021 e gli inizi del 2023. Cosa era accaduto in quel periodo? Dopo avere toccato i massimi storici, con Bitcoin a 69.000 dollari nel novembre di tre anni fa, le banche centrali dovettero iniziare ad alzare i tassi per reagire a un’inflazione che non si era vista così alta in Europa e Nord America da circa quaranta anni. La risalita è avvenuta solo quando l’inflazione iniziava a scendere e si prospettava un calo dei tassi, con i rendimenti obbligazionari che in sostanza raggiungevano i massimi e di lì a breve avrebbero ingranato la retromarcia.
Crisi delle criptovalute, tempi di recupero incerti
L’incertezza sull’inflazione è aggravata dalla possibile guerra dei dazi tra grandi economie e scatenata dalle politiche di Trump. Essa avrebbe come diretta conseguenza la lievitazione dei prezzi al consumo in primis, dei costi di produzione successivamente per effetto della riduzione degli interscambi e, infine, la recessione globale. Fintantoché non si riuscirà a capire come finirà questa fase turbolenta sul piano geopolitico, la crisi delle criptovalute non cesserà. Detto questo, non cambia il quadro generale, che vede questo mercato in forte crescita nei prossimi mesi e anni. Le previsioni restano intonate molto positivamente, anche se si tratta di capire quali saranno i tempi del recupero. Le correzioni, anche brutali, sono una costante per le crypto e persino salutari, visto che attirano sempre nuovi capitali da parte di chi vuole entrare sul mercato a prezzi ritenuti più convenienti.