Quando ci costruiamo il nostro portafoglio d’investimento, l’obiettivo è chiaramente di ottenere un determinato guadagno entro un certo periodo di tempo. Non sempre va come vorremmo, ma alcune azioni possono aiutarci a “immunizzare” il portafoglio contro possibili rischi futuri. In questo articolo forniremo una spiegazione basilare su cosa siano i rendimenti delle obbligazioni, come si calcolano e il modo in cui si muovono sui mercati in base ad alcune variabili.
Rendimenti delle obbligazioni, cosa sono
Per prima cosa ci dobbiamo chiedere cosa intendiamo per rendimenti delle obbligazioni. Sembra una risposta scontata, ma non lo è del tutto. Ne esistono almeno di due tipi. C’è il rendimento corrente, che è dato dal rapporto tra la cedola annuale offerta dal titolo e la quotazione di mercato dello stesso. Ad esempio, se acquistiamo un bond decennale con cedola del 2% e ad un prezzo di 80 centesimi, il nostro rendimento corrente sarà di 2/80, cioè del 2,50%. Questo risultato ci fornisce un’indicazione spicciola su quanto guadagneremo fino alla scadenza grazie all’incasso delle cedole.
Per quanto possa sembrare un ragionamento esaustivo, gli investitori sanno benissimo che non lo è per nulla. I rendimenti delle obbligazioni si calcolano quasi sempre rispetto alla scadenza. Se seguite le cronache finanziarie, avrete forse letto la dicitura “yield to maturity”, riassunta anche dall’acronimo YTM. Essa è data dalla somma tra la rendimento corrente e guadagno o perdita (plus-minusvalenza) in conto capitale. Nell’esempio sopra indicato, abbiamo che il bond acquistato ci è costato l’80% del suo valore nominale o “facciale”. Significa che lo abbiamo acquistato a sconto rispetto a quello che l’emittente ci rimborserà alla scadenza indicata. In gergo, si dice che il bond quota “sotto la pari”. La pari è intesa come il 100% del valore nominale.
Esempio di investimento sotto la pari
Alla data del rimborso, quindi, realizzeremo un guadagno, che sarà dato dalla differenza tra la pari e il prezzo di acquisto. Nello specifico, 20 centesimi. Rispetto agli 80 investiti, il nostro profitto è del 25% (20/80). Per avere un’idea del dato annualizzato, dobbiamo suddividere per la durata dell’investimento, che nel nostro esempio è stato di 10 anni. Tuttavia, la semplice divisione sarebbe fuorviante, poiché non abbiamo incassato alcunché fino alla scadenza. Chi mastica di matematica finanziaria, sa che dobbiamo utilizzare il calcolo composto: 1,25^0,1 = 2,2565%. Abbiamo elevato la percentuale di guadagno (1,25 = 25%) a 0,1, in quanto bisogna elevarla all’unità fratto il numero di anno. Questo risultato si somma al rendimento corrente o cedolare sopra ottenuto e ci esita il rendimento alla scadenza del bond, che sarà del 4,7565%.
Nel caso in cui avessimo acquistato il titolo “sopra la pari”, alla scadenza avremmo realizzato una perdita. Questa sarebbe stata sottratta al rendimento corrente, esitando un rendimento alla scadenza inferiore. Ovviamente, sappiamo che un bond lo si può rivendere prima della scadenza, al prezzo di mercato corrente. Vale esattamente lo stesso ragionamento, semplicemente cambieranno i dati. Il raffronto sarà tra prezzo di cessione e prezzo di acquisto e la durata, sempre espressa in anni, andrà dalla data dell’investimento a quella del disinvestimento.
Relazione inversa con i prezzi
Una volta che abbiamo grosso modo chiaro cosa siano i rendimenti delle obbligazioni, dobbiamo compiere un passo avanti per capire come si muovano. Nell’esempio sopra indicato, abbiamo intuito qualcosa di importante: maggiore il prezzo di acquisto di un bond, minore il guadagno che realizzerò alla scadenza. Ma questo è persino banale. Se compro un’auto di seconda mano per 15.000 euro e la rivendo a 20.000 euro, il mio profitto sarà del 33%, cioè di 5.000/15.000. Se l’auto la compro a 18.000 euro e la rivendo sempre a 20.000, esso scende a circa l’11% (2.000/18.000). Lo stesso accade, com’è ovvio, con i bond.
L’impatto dell’inflazione
Da questo discorso consegue che i rendimenti delle obbligazioni si muovono in direzione opposta ai prezzi. Se questi scendono, i primi salgono; se salgono, i primi scendono. A questo punto, siamo in grado di approfondire il ragionamento. Immaginate che l’inflazione improvvisamente acceleri. I titoli a reddito fisso diventano meno convenienti. Voi li avete comprati con l’obiettivo di incassare un dato rendimento offerto dalle cedole, mentre adesso queste perdono valore. Un flusso di reddito pari al 5% all’anno è positivo per chi investe con un’inflazione di fondo al 2%. Ma se questa sale al 7%, ad esempio, non solo il capitale non mi sta rendendo più nulla, ma addirittura sto accusando una perdita.
Il mercato non sarà più disposto ad acquistare il bond al prezzo di prima. Pretenderà uno sconto, in modo da sommare alle cedole un guadagno in conto capitale. Quindi, il prezzo scende e i rendimenti delle obbligazioni salgono. Questo ci fa capire una cosa assai importante: con l’inflazione i bond si deprezzano. E’ un rischio che l’investitore deve mettere in conto prima di acquistare titoli a reddito fisso. Il problema non si pone granché se questi hanno scadenze corte. Al limite, basta attendere la scadenza per riappropriarsi del capitale e, volendo, reinvestirlo in altri titoli a reddito fisso con rendimenti di mercato nel frattempo cresciuti.
Concetto di duration
Il problema si pone quando abbiamo in portafoglio bond a lunga scadenza. In quel caso, il loro valore di mercato scende anche di molto e se volessimo rivenderli, accuseremmo perdite tendenzialmente elevate. Se li tenessimo nel cassetto, invece, ci dovremmo accontentare di rendimenti delle obbligazioni di gran lunga inferiori a quelli vigenti sul mercato. Sarebbe per noi ugualmente una perdita nel senso di rinuncia ad un rendimento maggiore. Questo ragionamento ci porta ad un’altra conclusione: quando i rendimenti delle obbligazioni salgono, le maggiori perdite si avranno per le scadenze più lunghe. In finanza, il discorso è noto con il concetto di “duration”. Essa ci offre la scadenza media dei flussi di reddito di un titolo, ponderata per i flussi scontati. In parole povere, ci indica in quanto tempo ci rifaremmo dell’investimento. Ma il suo risultato ci fornisce un’informazione altrettanto importante: la sensibilità della quotazione rispetto alla variazione del rendimento; in pratica, quanto salirebbe o scenderebbe la prima al variare del secondo dell’1% in basso o in alto.
Cosa possiamo avere imparato da questa lezione? Se i rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza sono bassi, meglio concentrarsi sulle scadenze più corte. C’è l’alto rischio che prima o poi salgano, per cui i prezzi scenderanno. Al contrario, se sono già alti, meglio concentrarsi sulle scadenze più lunghe. Ci sono buone probabilità che di lì a breve scendano e i prezzi risalgano anche velocemente. In questo secondo caso, il guadagno sarebbe elevato.
Rendimenti delle obbligazioni anche in funzione del rischio
I rendimenti delle obbligazioni si muovono in funzione di altre variabili, non certo della sola inflazione. Se il profilo di rischio dell’emittente o debitore si deteriora, essi salgono. Poiché il rischio di credito aumenta, il mercato pretenderà un guadagno più alto per acquistarne i titoli del debito. In gergo si afferma anche che gli “spread” si allargano. In un contesto di crescita economica, poi, gli investitori si mostrano più propensi al rischio e preferiscono puntare su asset come le azioni, che nel lungo termine tendono a rendere di più. Questo riduce i prezzi dei bond e ne aumenta i rendimenti. Viceversa, quando c’è aria di crisi, gli investitori si rifugiano nei titoli a reddito fisso, cercando di avere guadagni stabili, anche se minimi. Le “criptovalute” sono asset dall’andamento similare alle azioni, per cui beneficiano di un clima di propensione al rischio e tendenzialmente di bassi tassi di interesse.
giuseppe.timpone@investireoggi.it