Rivalutazione dell’oro e possibile impatto sulle criptovalute

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Se ne discute per il momento come un’ipotesi più scolastica che concreta, ma negli ultimi mesi qualcosa è cambiato: la rivalutazione dell’oro non è più considerato uno scenario così peregrino. Prima di capire di cosa stiamo parlando, dobbiamo spiegare a qualche oro ci stiamo riferendo. Parliamo delle riserve della Federal Reserve, la banca centrale americana. E’ ufficialmente l’istituto che possiede più lingotti al mondo: ben 8.133,46 tonnellate. A seguire, ma a lunga distanza, troviamo le 3.351,28 tonnellate della Germania e in terza posizione abbiamo l’Italia con 2.451,84 tonnellate. Trattasi di numeri ufficiali, perché come vedremo la situazione reale potrebbe essere un po’ diversa.

Rivalutazione dell’oro, ecco i numeri

Le riserve auree americane sono iscritte a bilancio a 42,22 dollari l’oncia, laddove ogni oncia equivale a 31,10 grammi. Questo è il valore a cui vennero fissate nel 1973, dopo che gli Stati Uniti avevano picconato l’Accordo di Bretton Woods, in base al quale le valute degli stati rientranti nella loro orbita, tra cui l’Italia, erano ancorate al dollaro da un cambio fisso. A sua volta, il dollaro era convertibile in oro secondo il rapporto di 35 dollari per ogni oncia. Ne è passata da allora di acqua sotto i ponti. Infatti, l’oro sul mercato scambia ormai sopra 3.300 dollari l’oncia, essendo arrivato a sfiorare nei mesi scorsi i 3.500 dollari. Tradotto: un grammo oggi si compra per circa 107 dollari.

Perché si parla di rivalutazione dell’oro? Il dibattito non è proprio nuovo. Tuttavia, negli ultimi anni ha preso sempre più importanza man mano che il prezzo del metallo saliva. La distanza tra il suo valore ufficiale e quello di mercato è diventato fin troppo abissale per non essere notata. In pratica, tutti i lingotti posseduti oggi dalla Federal Reserve valgono intorno agli 11 miliardi di dollari da oltre mezzo secolo. Tuttavia, il loro valore di mercato si aggira oggigiorno sopra gli 870 miliardi. C’è una differenza in positivo di 860 miliardi. Tanto “guadagnerebbe” con un tratto di penna la prima banca centrale nel caso di rivalutazione dell’oro.

Benefici e possibili effetti collaterali

Quali sarebbero i possibili vantaggi e gli effetti collaterali di questa misura? Il bilancio della Federal Reserve deve essere considerato alla stregua di quello di qualsiasi società. Ha da un lato attivi patrimoniali (assets) e dall’altro passività o debiti (liabilities). Le riserve auree sono chiaramente asset. Se l’istituto procedesse alla rivalutazione dell’oro, le sue attività improvvisamente aumenterebbero di quegli 860 miliardi sopra menzionati. E questo sarebbe senza dubbio un segnale importante per i creditori, che nel caso di una banca centrale sono i possessori della moneta emessa. In sostanza, famiglie, imprese, società finanziarie e istituzionali in possesso di dollari disporrebbero di maggiori garanzie.

Le cose, però, potrebbero non essere così positive come si pensa. E questo è forse uno dei motivi per cui la Federal Reserve si ostina a tenere a bilancio le riserve auree a prezzi chiaramente molto inferiori a quelli di mercato. L’oro è considerato a tutti gli effetti un bene rifugio a cui tutti nei millenni sono corsi per ripararsi da crisi, guerre e inflazione. E’ anche percepito come un’alternativa al dollaro. Non a caso, quando gli Stati Uniti nei decenni sono stati colpiti da eventi avversi come la sconfitta nella guerra del Vietnam e dal crac di Lehman Brothers, il metallo si è impennato sui mercati internazionali. La rivalutazione dell’oro equivarrebbe ad ammettere che il principale “nemico” del dollaro sia molto più forte. Il mercato potrebbe percepire tale mossa come la presa d’atto del declino della divisa americana, già nell’occhio del ciclone negli ultimi mesi.

Timori per azioni del governo USA

Non è tutto. La rivalutazione dell’oro può essere sfruttata dal governo americano per tamponare il deficit fiscale o utilizzarne i proventi scaturiti per operazioni di politica economica. Quegli 860 miliardi in più a bilancio potrebbero essere utilizzati per finanziare spese in deficit. Tant’è che subito dopo il suo reinsediamento, il presidente Donald Trump ha balenato l’ipotesi. In effetti, dal bilancio uscirebbero fuori risorse una tantum per svariate centinaia di miliardi. Il governo ne approfitterebbe per misure anche poco lungimiranti. Questo è il principale timore dell’establishment americano. Vero è che il peso del debito USA, ormai sopra i 36.000 miliardi, diverrebbe meno oppressivo con questa misura. Tuttavia, per uno stato che accumula disavanzi fiscali nell’ordine dei 2.000 miliardi all’anno, in pochi mesi il beneficio verrebbe dissipato.

Regalo ai nemici dell’America?

Un’altra ragione per cui andarci con i piedi di piombo è che i “nemici dell’America” come Cina e Russia da anni accumulano riserve di oro. Ufficialmente, Pechino ne detiene per 2.280 tonnellate e Mosca per 2.330. Si pensa, però, che le rispettive riserve siano ben superiori a quelle dichiarate. Questi accumuli hanno il senso di mostrarsi nel tempo sempre più credibili sul fronte valutario. Yuan e rublo sarebbero in misura crescente garantiti dall’oro, la cui rivalutazione avrebbe l’effetto paradossale di sostenerne ancora di più i corsi, finendo per accelerare il declino del dollaro. In uno scenario del genere, gli americani andrebbero incontro all‘inflazione per effetto del deprezzamento del cambio.

Impatto su criptovalute

Per non parlare della destabilizzazione finanziaria complessiva. Se il governo americano segnalasse con la rivalutazione dell’oro di credere in questo asset, anziché nella propria divisa, flussi di denaro immensi si dirigerebbero verso il primo e a discapito della seconda. Per aziende e banche americane sarebbero tempi duri. Il costo del denaro s’impennerebbe presso la prima economia mondiale. E per le criptovalute? Uno scenario del genere costituirebbe un nuovo tonificante. Una platea maggiore di investitori individuali e istituzionali si metterebbero a comprare Bitcoin e altri token digitali per reagire alla sfiducia verso gli asset finanziari tradizionali e anche per mettersi al riparo dalle previste conseguenze negative in termini di perdita del potere di acquisto e di instabilità persino politica.

Rivalutazione dell’oro non più improbabile

Non a caso la rivalutazione dell’oro c’è stata sempre in coincidenza con fatti storici traumatici per gli Stati Uniti. Nel 1934 eravamo all’indomani dall’inizio della Grande Depressione e subito dopo l’elezione di Franklin Delano Roosevelt a presidente. Nel 1973, come abbiamo spiegato sopra, dopo la fine dell’ordine monetario nato sulle ceneri del secondo conflitto mondiale. C’è da dire che anche oggi ci troviamo in una situazione di trauma per l’ordine globale concepito dopo la caduta dell’URSS. L’America vuole riscrivere le regole del gioco per contenere o almeno frenare l’avanzata di rivali come la Cina. Il ruolo del dollaro come valuta di riserva mondiale vacilla tra debiti e guerre commerciali. Forse le probabilità di un simile choc nell’immediato sono più alte di quanto immaginiamo.

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