Nella settimana in cui il Congresso degli Stati Uniti dibatte sulla regolamentazione delle stablecoins e, più in generale, apre al riconoscimento formale delle criptovalute come asset per gli investimenti, la principale banca d’affari americana cambia la propria posizione in materia. Dal 2026 JP Morgan erogherà prestiti garantiti da criptovalute come Bitcoin ed Ethereum. Questi fungeranno da collaterale. Si tratta di una rivoluzione stupefacente. Jamie Dimon, che è CEO della banca, nel 2017 definì Bitcoin una “truffa”. E ancora nel 2022 ribadì la chiusura nei confronti di questo tipo di asset. La svolta era già arrivata nel maggio di quest’anno, cioè poche settimane fa, quando egli dichiarò che, pur restando scettico sulle crypto, avrebbe consentito ai clienti di acquistarli. A tale fine fece un esempio illuminante: “posso non essere d’accordo con il fatto che fumi, ma mi batterò perché tu abbia il diritto di farlo”.
Prestiti garantiti da criptovalute
Con i prestiti garantiti da criptovalute JP Morgan è passata dalle parole ai fatti. Non solo garantisce ai clienti la possibilità di rischiare per conto conto investendo in un asset avversato fino a qualche mese fa; crea appositamente un prodotto finanziario, che può fare scuola tra le altre grandi banche americane e non solo. D’altra parte, Dimon sta dimostrando semplicemente di non poter restare fuori da un business diventato difficilissimo da ignorare. Le quotazioni di Bitcoin guadagnano quest’anno più del 26% e oltre il 75% in dodici mesi. L’intera capitalizzazione del mercato delle criptovalute vale quasi 3.900 miliardi di dollari, di cui il 60% fa riferimento al token digitale più popolare e diffuso al mondo.
Ormai, le crypto sono tra i principali asset su cui gli investitori impiegano i loro capitali nel mondo. Per dimensioni restano ben al di sotto dell’oro, il cui controvalore complessivo supererebbe i 20.000 miliardi. Tuttavia, stiamo effettuando il confronto con il bene rifugio millenario. Bitcoin nacque solamente agli inizi del 2009 e da allora hanno prodotto guadagni impensabili persino per coloro che vi avevano scommesso sin dal primo momento.
Margine a garanzia della banca
Cosa sarebbero questi prestiti garantiti da criptovalute? Il prodotto in sé non sarebbe nuovo, mentre lo è il collaterale di garanzia per l’appunto. Il mutuo ipotecario non è altro che un prestito garantito dall’immobile acquistato con il denaro che la banca eroga al cliente. Le garanzie possono essere di varia natura: beni fisici come gli immobili, beni mobili registrati (auto, barche, ecc.), preziosi e asset finanziari. E’ la prima volta, però, che una grande banca nel mondo annuncia di voler prestare denaro facendoselo garantire dalle criptovalute.
Come sempre capita, il prestito verrebbe erogato per un importo inferiore al valore di mercato dell’asset a garanzia nel momento in cui avviene la stipula del contratto. Ad esempio, se un immobile sul mercato è stimato a 200.000 euro, la banca può decidere di prestare al proprietario fino a 160.000 euro. Lo stesso si dica con altre forme di garanzia. Poniamo che un investitore possegga 3 Bitcoin, il cui controvalore risulta essere di circa 360.000 euro. JP Morgan gli presterebbe denaro per un importo massimo inferiore a tale valore, per ipotesi fino a 180.000 dollari. Probabile che si riserverà un margine più elevato rispetto ai prestiti garantiti da altri asset. Con ciò si metterebbe al riparo dall’elevata volatilità delle criptovalute.
Svolta per criptovalute
Perché questi prestiti garantiti da criptovalute segneranno una fase nuova per il mercato? Per la prima volta investire in Bitcoin non implicherebbe la necessità di attendere il disinvestimento per monetizzare. L’investitore riuscirebbe sin da subito ad ottenere denaro da una banca da impiegare per le ragioni che crede, magari anche per investire ancora e comprare ulteriori criptovalute. E nel frattempo rimarrebbe esposto all’investimento iniziale, potendo incrementare i guadagni virtuali fino alla rivendita. Questa arriverebbe inevitabilmente dopo avere estinto il prestito.
Se le condizioni contrattuali lo consentiranno, JP Morgan potrebbe anche accrescere l’erogazione in proporzione all’aumentato valore di mercato del sottostante. Pensate all’esempio di cui sopra e immaginate che Bitcoin salga da 120.000 a 200.000 dollari. Il collaterale salirebbe a un controvalore di 600.000 dollari. A quel punto, il prestito iniziale di 180.000 dollari risulta ampiamente garantito e la banca potrebbe decidere di innalzare a 300.000 dollari l’importo erogato, sempre a fronte di un margine del 50%. Questa è un’opzione molto diffusa negli Stati Uniti. Fu così, ad esempio, che venne alimentata la bolla dei mutui subprime prima del 2008. Poiché i prezzi degli immobili non facevano che salire di prezzo, i mutui concessi venivano adeguati su richiesta del cliente, il quale si esponeva per cifre sempre più elevate. Quando i valori immobiliari crollarono, molti clienti divennero insolventi.
Prestiti garantiti da criptovalute grazie a cambio di policy negli USA
Al di là dei tecnicismi, i prestiti garantiti da criptovalute segneranno il definitivo sdoganamento di queste tra i grandi attori della finanza internazionale. Molti potrebbero eccepirne l’ipocrisia dopo anni trascorsi a delegittimare questo nuovo strumento d’investimento. La realtà è molto più semplice: ormai non si può ignorare un mercato così grande e dalle potenzialità altrettanto elevate. Il cambio di policy del governo americano sta facendo il resto. Fino al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca c’era un forte ostracismo istituzionale nei confronti del mondo crypto. Adesso, neanche l’opposizione critica più questo asset dalle fondamenta, limitandosi a chiedere una regolamentazione più stringente.
Il solo fatto che gli Stati Uniti stiano ufficialmente legiferando sulle stablecoins (vedi il Genius Act), in particolare, ci dice che le criptovalute sono a tutti gli effetti riconosciuti come asset finanziario. Già dal gennaio dello scorso anno i grandi investitori hanno iniziato a buttarsi su questo mercato dopo che la Securities and Exchange Commission ha consentito a diversi ETF di investire sui Bitcoin. E’ stata un’apertura attesissima e allo stesso tempo rivoluzionaria del sistema finanziario americano. Da quel momento le quotazioni sono quasi triplicate. E nel marzo scorso Trump ha adempiuto alla promessa di creare una riserva federale in Bitcoin e altre principali criptovalute, firmando in tal senso un ordine esecutivo. E’ stato da allora che anche gli scettici come Dimon si sono convinti che resistere all’innovazione equivale a perdere opportunità di guadagno e/o clienti. Non si tratta di crederci, ma di sfruttare il trend a proprio favore.