E anche Moody’s ha declassato per la prima volta nella sua storia il rating degli USA, portandolo venerdì 16 maggio da Aaa ad Aa1. Non era mai successo fin da quando l’agenzia aveva assegnato al debito pubblico americano il suo primo giudizio nel lontano 1919. Secondo il comunicato ufficiale “diverse amministrazioni e Congressi non sono stati in grado di accordarsi su misure per invertire la tendenza sul deficit”. Viene fatto notare come il debito americano sia salito alla cifra di 37.000 miliardi di dollari, qualcosa come più del 120% del PIL.
Rating USA, amministrazione Trump all’attacco
La reazione dell’amministrazione Trump è stata furente. Il declassamento del rating USA è stato giudicato come un atto politicizzato di un oppositore dell’attuale presidente. E’ stato fatto esplicito riferimento alla presenza all’interno dell’agenzia di un economista anti-trumpiano di nome Mark Zandi. A rigore, va precisato, questi non si occupa dei rating. Il segretario al Tesoro, Scott Bessent, è intervenuto per chiarire che la bocciatura non sia relativa alla gestione dei conti pubblici da parte dell’attuale amministrazione, ma arriva dopo anni di “disastri” dell’amministrazione precedente di Joe Biden.
Conti pubblici fuori controllo
Moody’s, tuttavia, esprime preoccupazione anche sul taglio delle tasse che il presidente Donald Trump sta negoziando con il Congresso a maggioranza repubblicana e coperto solo in parte da tagli alla spesa pubblica. Resterebbero da coprire 3.300 miliardi in 10 anni. Questo significherebbe che la tendenza alla crescita del debito americano si accentuerebbe, anziché essere frenata in qualche modo. Il problema di questo trend sta nel fatto che la spesa per interessi sta esplodendo, sottraendo margini di manovra sul piano fiscale per il caso si presentasse una qualche crisi dell’economia da fronteggiare. Lo scorso anno, si attestò a 881 miliardi e nel 2025 è attesa salire a 925 miliardi. Nel 2021 era ancora di 352 miliardi. Ormai, gli USA spendono di più per servire il debito che per la difesa.
Se guardiamo alla sola spesa federale, nei 12 mesi all’aprile di quest’anno risultavano sborsati 579 miliardi contro i 203 dello stesso mese del 2021. In 4 anni c’è stata un’esplosione del 185% (quasi il triplo). E ciò contribuisce a tenere alto il deficit, che l’anno scorso è stato pari al 6,7% del PIL, nonostante l’economia americana sia cresciuta del 2,8%. Ed è proprio questo il punto: se il governo ormai spende 2.000 miliardi in più di quanto incassa con l’economia che cresce, cosa può succedere quando prima o poi le cose andranno male? D’altra parte, la crescita del PIL stesso è stata sostenuta negli ultimi anni a colpi di debito. Un numero lo dimostra sopra ogni altro: tra il 2007 e il 2024 il PIL è salito di circa 14.415 miliardi (+97,6%), mentre il debito è esploso di quasi 25.900 miliardi (+176%). Quest’ultimo è passato da meno del 65% al 121% del PIL.
Perdita definitiva della tripla A
Il declassamento del rating USA ad opera di Moody’s non è stato un fulmine al ciel sereno. E’ arrivato dopo che per mesi i riflettori dei mercati si erano accesi proprio sul debito americano, soprattutto con l’esplosione dei rendimenti a seguito dei dazi annunciati dall’amministrazione Trump. E non è stata una prima volta per Washington. Il vero choc avvenne nell’agosto del 2011, quando l’amministrazione Obama subì il primo declassamento della storia americana per mezzo di S&P. E due anni fa, sempre in agosto, era stata la volta di Fitch sotto l’amministrazione Biden. Ma Moody’s fino a venerdì sera teneva i titoli del debito USA con la tripla A. In pratica, da due giorni la superpotenza è caduta dal piedistallo. Non può più vantare neanche per una sola delle grandi agenzie il massimo giudizio.
Sono ad oggi 9 gli stati nel mondo a mantenere la tripla A per tutte le 3 più importanti agenzie e 7 di questi si trovano in Europa: Germania, Paesi Bassi, Svizzera, Svezia, Norvegia, Danimarca, Lussemburgo, Australia e Singapore. Cosa può accadere adesso ai titoli del debito americani dopo il declassamento del rating USA? Come sappiamo, il giudizio delle agenzie serve per orientare il mercato riguardo al grado di rischio corso nell’acquistare un bond. In teoria, dovremmo assistere dalla riapertura dei mercati di domani all’aumento dei rendimenti lungo la curva. Tuttavia, c’è da dire che la mossa di Moody’s era stata grosso modo scontata dagli investitori. Tutti sapevano e ragionavano come se il debito emesso da Washington non fosse più realmente da tripla A.
Brutto colpo per debito USA sui mercati
Ciò non toglie che il taglio del rating USA sia una cattiva notizia per il Tesoro di Washington. Finora è accaduto che gli americani siano stati capaci di rifinanziare i loro debiti a tassi relativamente bassi per due motivi: dollaro e tripla A. La divisa a stelle e strisce mantiene uno status privilegiato rispetto a tutte le altre nel mondo e per questo è considerato un porto sicuro nelle fasi turbolente sui mercati. Ma questa sua condizione vacilla, messa in discussione negli ultimi tempi non solo dall’alto debito accumulato, bensì anche dalla politica estera americana impostata sempre più spesso sulle sanzioni e, ultimamente, sui dazi.
Con taglio del rating USA servono risposte
E ora che la tripla A non esiste più neanche formalmente, il governo americano sarà chiamato a dimostrare più di prima di essere capace di perseguire la stabilità fiscale. Non è un caso che Trump abbia debuttato al suo secondo mandato, inaugurato a gennaio di quest’anno, con tagli alla spesa vigorosi e spesso molto risaltati sui media ad opera di Elon Musk, a capo del Dipartimento per l’Efficienza Governativa o DoGE. Il declassamento del rating USA dice, però, che questi tagli non basteranno e forse non sono del tutto credibili. Da troppi anni assistiamo all’avvicendamento di amministrazione di colore politico contrapposto, accomunate dall’incapacità di onorare i propri impegni elettorali, se non scaricandone i costi sui contribuenti. I democratici aumentano la spesa in deficit, mentre i repubblicani tagliano le tasse in deficit.
Da notare che l’esplosione del debito americano e globale è una delle principali ragioni per cui molti investitori negli anni hanno deciso di comprare Bitcoin quale asset alternativo al dollaro e alla finanza che vi ruota attorno. Debiti alti richiedono tassi bassi per essere rifinanziati senza impattare eccessivamente i bilanci pubblici. Ma il giochino ha funzionato fintantoché l’inflazione era rimasta contenuta. Dopo essere andata fuori controllo negli anni scorsi e mostrandosi ancora al di sopra dei target fissati dalle principali banche centrali (Federal Reserve, Banca Centrale Europea, Banca d’Inghilterra, Banca del Giappone, Banca del Canada, ecc.), i tassi sono saliti e restano elevati ancora oggi, innescando reazioni negative a carico del mercato dei titoli di stato. Il declassamento del rating USA avviene in questo contesto qui ed è un avvertimento non solo alla prima potenza mondiale.