Lo aveva promesso in campagna elettorale e lo ha fatto entro poche settimane dall’insediamento alla Casa Bianca: il presidente americano Donald Trump ha firmato nei primi giorni di marzo un ordine esecutivo per l’istituzione di una riserva di bitcoin. Il titolo formale parla di “Strategic Bitcoin Reserve” e tra poco vedremo perché sia importante riportare la dicitura in lingua originale.
Entusiasmo con vittoria di Trump
Il mercato delle criptovalute ha festeggiato la rielezione di Trump del 5 novembre scorso, perché il già presidente tra il 2017 e il 2021 era considerato il candidato più favorevole tra i due in corsa per la Casa Bianca ai token digitali. L’avversaria democratica Kamala Harris aveva cercato invano di recuperare consenso tra i numerosi membri della “community” americana, ma ormai era troppo tardi. Una delle promesse del repubblicano è stata per l’appunto di creare una riserva di Bitcoin per favorire in futuro lo sdebitamento del governo.
Una posizione che si è prestata a dibattiti e critiche, ma che nella buona sostanza è finita non solo per legittimare principalmente Bitcoin, ma addirittura a renderlo un asset di riferimento per il governo degli Stati Uniti d’America. In scia all’entusiasmo, le quotazioni delle crypto erano esplose fino a culminare tra dicembre e gennaio. Quelle di Bitcoin hanno segnato l’ennesimo massimo storico a più di 108.000 dollari. Stavano a 69.000 dollari nel giorno delle elezioni presidenziali. Oggi, valgono poco più di 82.000 dollari e all’inizio della settimana erano scivolate fin sotto gli 80.000 dollari.
Malcontento su riserva di Bitcoin
Paradossale che possa sembrare, proprio la firma dell’ordine esecutivo ha generato malcontento e delusione tra gli investitori. Dicevamo, infatti, che il documento firmato da Trump parla di “riserva” di Bitcoin. Si tratta, in pratica, di obbligare il governo a mantenere il possesso della principale criptovaluta, il cui ammontare è stimato in 198.109 unità per un controvalore di mercato ai prezzi attuali nell’ordine dei 16,3 miliardi. Tuttavia, si tratta di asset già detenuti dalle autorità americane a seguito di operazioni di confisca ai danni di criminali. Dunque, cosa ben diversa da quanto prospettato in campagna elettorale con il documento approvato dal Partito Repubblicano, in base al quale il Tesoro si sarebbe impegnato a comprare 1 milione di Bitcoin negli anni.
In effetti, riserva di Bitcoin è cosa molto diversa da “scorte”, termine che in inglese si traduce con “stockpile” e che esso sì che farebbe riferimento ad acquisti di criptovalute. Nell’ordine esecutivo, a dire il vero, compare anche il secondo, ma per i token diversi da Bitcoin. La dicitura parla di “U.S. Digital Asset Stockpile”. Non è specificato a quale criptovalute si riferisca il titolo, anche se da un post social di Trump si scopre che sarebbero Ether, XRP, Solana e Cardano. La comunità si è interrogata sul perché proprio queste e non altre. L’interpretazione ufficiosa che trapela dalla Casa Bianca è che si tratti di un puro esempio, giustificato dal fatto che siano i token principali per capitalizzazione. In realtà, non sarebbe perfettamente così, essendo stata esclusa dalla cinquina Binance.
Ragioni della prudenza
Comunque sia, sembrerebbe che non ci sia trippa per gatti. Trump ha tradito per caso la promessa sulla costituzione di una riserva di Bitcoin, limitandosi a disporre la non cessione della criptovaluta già posseduta? Le cose non sono così semplici. Anzitutto, è probabile che la mossa sia dovuta al fatto che l’accumulo di scorte necessiterebbe di un via libera del Congresso al Tesoro, essendoci di mezzo i soldi dei contribuenti. E l’operazione rischierebbe di essere percepita negativamente dalla popolazione americana, dato che essa si tradurrebbe in un diretto vantaggio in capo ai possessori di criptovalute. Tutto, è bene ripeterlo, con soldi pubblici.
Tra le possibili resistenze all’interno della stessa amministrazione ci sarebbe anche la considerazione che una riserva di Bitcoin intesa in senso lato minaccerebbe la credibilità del dollaro come valuta di riserva mondiale. Uno status che consente agli Stati Uniti di sfuggire il più delle volte alle leggi dell’economia applicabili al resto del mondo. Tuttavia, è altrettanto vero che la firma in sé è storica. Per prima cosa, viene legittimato un asset che fino a pochi mesi fa era mal visto a Washington. Tant’è che prima ancora di diventare formalmente presidente, l’ormai ex capo della Securities and Exchange Commission (la Consob americana), Gery Gensler, si è dimesso. Al suo posto è arrivato Mark T. Uyeda, favorevole alle criptovalute, contrariamente al suo predecessore, criticato dall’industria proprio per le enormi resistenze opposte negli anni al nuovo asset.
Legislazione USA ora favorevole alle crypto
Sebbene sia probabile che il governo americano non generi domanda netta di criptovalute per le ragioni sopra accennate, è indiscutibile che d’ora in avanti la legislazione americana sarà più favorevole al mercato delle crypto. Per la semplice ragione che di riserva di Bitcoin è scritto nero su bianco su un ordine sottoscritto dal presidente. Questo riconoscimento potrebbe aumentare la domanda nel tempo tra i cittadini americani e non. Viene meno l’incertezza legale del passato, quando ad ogni ciclo rialzista una grande fetta degli stessi investitori retail si mostrava restia ad inserire in portafoglio un asset a rischio sul piano regolamentare o passibile perfino di ban dalle autorità finanziarie.
Anche la finanza tradizionale potrebbe incrementare i propri investimenti nelle criptovalute, ora che il governo riconosce formalmente la validità di questi asset. Certo, il punto è capire se l’ordine esecutivo possa creare contraccolpi ai danni delle criptovalute che rimarranno escluse. Sarebbe come se il governo riconoscesse la validità di alcuni token e non altri. E c’è perfino chi arriva a immaginare che l’accostamento dei Bitcoin ad altre rivali ne sminuisca la rilevanza nel panorama delle criptovalute. E’ un dato di fatto che non solo nella stessa community, ma anche tra gli investitori tradizionali e non ci sia una diffusa convinzione a credere che Bitcoin sia l’unica criptovaluta degna di essere apprezzata sul piano legale. Il resto non a caso è spesso considerato un ammasso di “shitcoin”.
Riserva di Bitcoin non unica causa del tonfo
Non è solo la delusione per la riserva di Bitcoin ad avere abbattuto di recente le quotazioni. Il problema è più ampio. La propensione al rischio sui mercati si è ridotta nelle ultime settimane. Basti guardare alla caduta della borsa americana e alla discesa dei rendimenti dei titoli di stato USA. E poiché le criptovalute sono considerate dai più asset rischiosi, il mercato preferisce tenersene al momento alla larga, almeno fino a quando non ci saranno nuove certezze sul calo dei tassi di interesse, che a sua volta favorirà l’aumento della liquidità e degli investimenti.