ESMA e MiCA, un binomio che abbiamo tutti imparato a conoscere, specialmente in questi ultimi mesi di aggiornamenti dell’iter sulla normativa generale di inquadramento delle attività crypto in Europa.
Ma facciamo un passo indietro. L’ESMA, Autorità Europea degli Strumenti Finanziari e dei Mercati, ossia quell’ente che potremmo considerare equipollente alla CONSOB italiana, ma con responsabilità riferite al ben più vasto e ovviamente complesso scenario europeo, da qualche mese fa ripetutamente parlare di sé in seguito a numerose richieste, istanze ed esternazioni, nonché produzioni documentali che vanno a sommarsi a quelle pregresse in un fitto gioco di “botta e risposta” con le altre autorità in materia finanziaria, con specifico riferimento al rapporto con la Commissione Europea in materia di normativa e regolamentazione sulle attività di exchange crypto, nonché delle relative transazioni sottostanti l’introduzione sul mercato di prodotti finanziari più o meno connessi al mondo degli asset digitali e della blockchain.
Il rapporto tra ESMA e Comunità Europea su crypto attività
Il 25 marzo 2024 era già stata pubblicata dall’ente la prima relazione finale in riferimento alla bozza dei cosiddetti RTS (Regulatory Technical Standards), intesi come elementi da inserire nel più ampio quadro “in fieri” del ben noto regolamento dui mercati degli asset cryptovalutari, ovvero il ben noto MiCA.
A settembre, la Commissione Europea rispondeva a ESMA comunicando l’intenzione di adottare due degli RTS proposti, peraltro con modifiche, e rispediva sostanzialmente al mittente l’intera proposta invitando a presentare nuova bozza comprensiva delle modifiche apportate e delle relative motivazioni addotte.
ESMA prendeva atto, valutando la richiesta di intervenire sulla normativa da affiancare agli standard in questione lungo due direttrici fondamentali: da un lato le informazioni preliminari da fornire nella notifica da parte di alcuni soggetti finanziari di intraprendere attività legate alla fornitura di servizi connessi alle cryptovalute; dall’altro le informazioni da includere nell’effettiva autorizzazione a fornire servizi della sopraccitata natura.
L’obiettivo di ESMA appariva chiaro, esattamente come appare chiaro a distanza di mesi: garantire una valutazione sufficientemente rigorosa e approfondita di quello che è stato sintetizzato nell’acronimo CASP, vale a dire punto di ingresso per i fornitori di servizi basati su crypto-asset all’interno della Comunità Europea, il tutto inteso come pacchetto normativo a tutela della resilienza e solidità del relativo mercato — ricordiamolo, in continua e costante crescita — e della sicurezza dei relativi utenti e investitori.
Tra cybersecurity e “onorabilità”
Accanto a queste richieste, ESMA aggiunge e caldeggia altri aspetti da prendere in considerazione nelle modifiche al MiCA. Nello specifico, degni di nota e attenzione sono due punti, estremamente diversi e con implicazioni altrettanto varie.
Il primo è la richiesta, ai fornitori di asset digitali, di fornire eloquenti risultati in forma di audit esterno per dimostrare la propria completa protezione in materia di cybersecurity, tema diventato estremamente spinoso in seguito alla crescita esponenziale degli attacchi informatici.
Da ricordare è infatti la costante presenza, sullo sfondo, di una situazione di estrema tensione internazionale, con scenari – come purtroppo sappiamo, anche bellici oltre che strettamente politici — che mettono da tempo l’Europa in una posizione obiettivo rispetto a colossi tecnologici, come la Russia, anche per ovvie ragioni di scontro con il versante NATO.
Si parla di una vera e propria escalation, pesante anche e soprattutto in ragione della sua efficacia e “raffinatezza” in termini di potenza e capacità di penetrazione (efficacia peraltro abbondantemente sperimentata in numerose perdite, accusate proprio da exchange crypto additati come assolutamente sicuri).
Il secondo non appare meno significativo: la valutazione dell’onorabilità dei membri inclusi negli organi gestionali di tali fornitori, espressa da una rosa come ovvio piuttosto ampia di dichiarazioni storiche, anagrafiche, fiscali, civili, penali, nonché riferite a varie sfere del diritto.
Si parla, in questo secondo punto, di una rosa molto vasta di campi del diritto: commerciale, fallimentare, dei servizi finanziari, della lotta al riciclaggio… Il tutto con la specifica volontà di evitare commistioni con soggetti che più o meno direttamente siano stati coinvolti in frodi, finanziamento al terrorismo e altri reati affini.
Nel mentre, facendo un passo indietro e andando a fine luglio 2024, la stessa ESMA lanciava un vero e proprio allarme parallelo sulle attività aventi a che fare con le transazioni cryptomonetarie.
La comunicazione, indirizzata come ovvio alle medesime istituzioni europee di cui sopra, si riferiva al crescente rischio rappresentato da transazioni e operazioni di trading effettuate attraverso partner ed exchange al di fuori dei confini europei, con l’intento di produrre però effetti destinati, come ovvio, all’utenza comunitaria.
Tale richiamo aveva peraltro un interessante risvolto in termini di reazioni da parte dell’organismo bancario centrale italiano…
In una specifica audizione presso la commissione Finanze e Tesoro del Senato prevista appunto per discutere, tra le varie all’ordine del giorno, anche la predetta fattispecie, il rappresentante del Dipartimento Circolazione Monetaria e Pagamenti al Dettaglio della Banca d’Italia, Massimo Doria, aveva riportato stime secondo le quali alla fine dello scorso giugno il complesso delle attività in crypto aveva raggiunto una capitalizzazione di mercato il cui picco si attestava a circa 2,5 trilioni di dollari.
Una quota del 93% di tale ingente cifra, secondo le stime di ESMA, sarebbe stata attribuibile ad attività ritenute non sufficientemente garantite in quanto connesse all’asset digitale Bitcoin, giudicato, specie alla luce dei collaterali e delle garanzie proprie dei prodotti tradizionalmente orbitanti nell’offerta della finanza “classica”, troppo volatile e nebuloso, ovvero relativo a operazioni ad alto rischio.
Di contro, e parallelamente, lo stesso Doria esprimeva però notevole apprezzamento per le linee guida delineate dallo schema attuativo del MiCA, inteso come viatico normativo e regolamentare estremamente positivo, sia pure tenendo conto della materia estremamente vasta, innovativa e per molti versi rivoluzionaria, che necessariamente non poteva che essere inserito entro un quadro “in progress”, da valutare, rivedere e revisionare con una cadenza biennale.
Il caso 21Shares
Molto recentemente l’ESMA è stata oggetto di ulteriori attenzioni, ma questa volta speculari, ovvero provenienti dal versante di veri e propri provider di servizi finanziari, in occasione della polemica suscitata da 21Shares, tra i maggiori emittenti di ETP (in sintesi, “prodotti a scambio cryptovalutario”) che ha iniziato ad alzare la voce. Nello specifico, 21Shares ha evidenziato una certa a suo dire intollerabile discrepanza tra paese e paese nel trattamento delle medesime fattispecie di investimento, e ha sollecitato l’autorità europea a includere le crypto nei fondi cosiddetti UCITS (Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities), provvedendo così a “uniformare” il profilo normativo, ergo applicativo, ad essi relativo.
A tale proposito, degne di nota le parole testuali di Mandy Chiu, responsabile dello sviluppo dei prodotti finanziari presso 21Shares, di cui proponiamo la letterale traduzione:
L’attuale mosaico di regolamenti crea confusione e impedisce agli investitori al dettaglio di accedere al pieno potenziale degli asset cripto. Fornendo un insieme coerente di regole in tutta Europa, l’ESMA potrebbe aprire nuove strade per gli investitori per diversificare e migliorare i propri portafogli in un ambiente regolamentato progettato per la protezione degli investitori. In 21Shares ci concentriamo sul rendere i prodotti cripto più facili, più sicuri e più convenzionali da scambiare, soddisfacendo la crescente domanda degli investitori che desiderano includere questi asset nelle proprie strategie. Con una posizione normativa unificata, l’Europa può posizionarsi all’avanguardia dell’innovazione finanziaria.
Giunti a questo punto, il quadro generale appare sicuramente più chiaro nel’interpretazione, anche se particolarmente articolato nella sostanza.
Cerchiamo di dipanarlo…
Da un lato abbiamo operatori dimensionalmente rilevanti, che in ragione della loro presenza sul mercato richiedono all’autorità di garanzia la possibilità di agire facendo convergere la più alta efficacia ed efficienza nel servire la propria clientela con la parallela necessità di muoversi in un contesto normativo trasparente e (soprattutto) sicuro per il proprio business.
Dall’altro lato si delineano comportamenti “laterali e collaterali” che, specie in presenza di soggettività distinte, tra cui quella della Commissione Europea e delle sue direttive, di cui il MiCA costituisce parte preponderante e sovraordinata, producono problematiche di uniformità normativa, e di conseguenza frizioni conflittuali tra tutto il novero dei sopraccitati soggetti.
Riassumendo in modo ancora più radicale: c’è un mercato forte, che intende tutelarsi; ma c’è anche un mercato debole, ma con ottime potenzialità, che vuole entrare giustamente in gioco. Basti pensare a tutte le opportunità di lavoro rappresentate dalle giovanissime startup dotate di nuove e interessanti maestranze nel campo dell’informatica, della blockchain, dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione digitale nella sua accezione più vasta, o anche più semplicemente attività locali per permettere agli utenti comuni di comprare bitcoin.
Parallelamente al mercato di sfondo, affiorano come ovvio anche due altri soggetti: l’autorità di garanzia, che vorrebbe regolare le cose al di fuori della troppo capricciosa e volubile politica; e infine autorità politica in quanto tale, che cerca, in direzione opposta, di regolarle prescindendo da dettami di principio, appunto considerati al di fuori del vantaggio politico (se in buona o in malafede, non è dato sapere).
Se in questo quadro già di per sé intricato aggiungiamo come ingrediente una materia potenzialmente destabilizzante come la moneta decentralizzata, tema di per sé complesso, nonché sfuggente al controllo per ovvie ragioni di architettura intrinseca, è chiaro che la descritta conflittualità affiora con maggiore virulenza.
Conclusioni e prospettive
L’orizzonte normativo sulle attività crypto appare dunque solcato da interlocuzioni estremamente fitte, e da un dibattito che astrattamente potremmo anche definire positivo e foriero di soluzioni potenzialmente soddisfacenti sul piano della sicurezza e della tutela degli investimenti.
Di contro, non esiste solo la sicurezza, ma anche la sensatezza economica, la redditività, la semplicità di accesso ai mercati e in generale una trasparenza non solo di carattere legale e tributario, ma anche in termini di servizio al cliente e di serenità del business.
Un eccesso di “istituzionalismo” sta chiaramente conducendo alla classica situazione in cui il bambino potrebbe goffamente essere perso assieme ai panni sporchi; ovvero, le sopraccitate richieste dell’autorità garante, laddove incluse in una normativa eccessivamente timorosa, stringente, carica di burocrazie collaterali e di complessa interpretazione da parte dell’operatore di turno, rischiano di ingessare il mercato e di farsi sfuggire le grandi opportunità che esso propone.
Già la normativa MiCA sta cavalcando le solite dinamiche di ritardo sull’agenda digitale che l’Europa, almeno a parole, ovvero da dichiarazioni ripetutamente avvalorate da documenti ufficiali, ha fatto intendere di volersi dare.
Peraltro, non solo l’ESMA si pone come soggetto proattivo nelle richieste in materia, per esempio, di protezione delle cryptoattività attraverso una solida dotazione infrastrutturale in termini di cybersecurity.
Nel novero compare infatti anche il Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo (EPRS), che di recente ha chiesto proprio una maggiore vigilanza anche oltre i confini dell’unione.
Quindi è evidente che ci troviamo in uno scenario in cui il continuo andirivieni di istanze, prescrizioni, risposte e rimandi a future integrazioni normative, continuamente a rischio di mettere in discussione prassi acquisite, potrebbe portare a un cronico ritardo del Continente rispetto al resto del mondo su un capitolo — quello appunto della finanza decentralizzata — che altrove si sta già configurando come altamente concorrenziale.
Serve dunque cogliere da subito l’opportunità, per accelerare i tempi di adozione di queste nuove regolamentazioni e sedare, o almeno mitigare, le tante e troppe incomprensioni tra organi di controllo e di supervisione finanziaria.