In Europa non ne sentiamo più parlare da molti anni a questa parte, cioè da quando abbiamo l’euro. Ma era un fenomeno abbastanza regolare nella storia economica italiana fino agli anni Novanta. Parliamo di svalutazione del cambio, i cui ricordi sono ben fissati nella mente di chi ha almeno qualche capello bianco. Ancora oggi, tuttavia, è perseguita in numerose economie emergenti con conseguenze spesso indesiderate.
Cos’è la svalutazione del cambio
Che cos’è la svalutazione del cambio? Si tratta di una manovra attuata dalla banca centrale, evidentemente in accordo con il governo, finalizzata a ridurre il valore del tasso di cambio contro le divise straniere. Si distingue dal deprezzamento, che si ha semplicemente quando il tasso di cambio di una valuta s’indebolisce sul mercato. Quindi, nel primo caso abbiamo un intervento esterno dei responsabili di politica economica. Nel secondo caso, si tratta di un movimento determinato dalle libere forze della domanda e dell’offerta.
Ai tempi della lira italiana, la svalutazione del cambio era frequente. Tra gli anni Settanta e inizi anni Novanta vi furono ben sette interventi della Banca d’Italia per indebolire la nostra moneta. Si parlava di svalutazioni competitive, perché atte a rilanciare la competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. Come vedremo, però, la situazione era ben differente.
Le ragioni per cui viene attuata
Perché un governo può puntare alla svalutazione del cambio? Ciò accade quando l’economia nazionale arranca e sorge il bisogno di potenziare le esportazioni. Una valuta più debole implica due cose. La prima è che le merci straniere costano di più e la seconda è che le merci prodotte sul mercato domestico all’estero costano di meno. In teoria, questa misura porterebbe alla riduzione delle importazioni e all’aumento delle esportazioni. Per questa via la bilancia commerciale migliora e può anche esitare saldi attivi, nel senso che il valore delle esportazioni supera il valore delle importazioni. Il PIL sale per effetto dell’aumento della domanda estera, al netto delle importazioni.
Effetti indesiderati
Fosse così semplice! Affinché una simile manovra abbia speranza di funzionare, servirebbe quanto meno che la somma delle elasticità della domanda di esportazioni e della domanda di importazioni è superiore ad uno. In economia questa è anche nota come “condizione di Marshall-Lerner”. Sembra complicato, ma non lo è. Significa che la svalutazione del cambio può avere senso se la domanda delle nostre merci all’estero è sufficientemente elastica, così come la domanda delle merci che importiamo. Se così non fosse, l’operazione si risolverebbe in un semplice aumento dei costi delle importazioni, vale a dire in un peggioramento dei saldi commerciali.
Facciamo un esempio concreto per capire. Immaginiamo che l’Italia esporti all’estero un unico bene: Lambrusco. E che importi solamente petrolio. La domanda di entrambi varia poco rispetto al prezzo. Il petrolio serve in ogni caso per produrre energia e se costasse di più, pazienza. E il Lambrusco per ipotesi è acquistato dai consumatori stranieri più agiati, i quali si fanno influenzare poco del prezzo del vino. Cosa accadrebbe a seguito della svalutazione del cambio? Importeremmo dall’estero grosso modo la stessa quantità di petrolio ed esporteremmo la stessa quantità di Lambrusco. Solo che il primo, che paghiamo in dollari, ci costa di più. Nel frattempo, ricaveremo di meno dalle esportazioni. Infatti, il ricavato in valuta locale, convertito in valuta straniera, risulterà inferiore. Anziché migliorare, i nostri conti con l’estero peggiorerebbero.
Questo è solo una delle principali ragioni per cui la svalutazione del cambio può comportare effetti indesiderati. Un’altra consiste nel fatto che i benefici possono durare poco. Le esportazioni possono anche aumentare, ma il costo delle importazioni pure. E se dall’estero acquistiamo materie prime, come nel caso dell’Italia, gradualmente a salire saranno anche i costi di produzione. Con il passare del tempo, quindi, la più alta inflazione domestica costringerà le imprese ad alzare i prezzi di merci e servizi. E all’estero i consumatori vedranno svanire l’effetto cambio, per cui torneranno a ridurre la domanda di beni importati. E la spirale svalutazione-inflazione-svalutazione può portare alla distruzione del mercato domestico, oltre che a instabilità finanziaria, sociale e politica. E’ l’Italia degli anni Settanta e di inizio anni Ottanta.
Rischio di guerra valutaria
La svalutazione del cambio è una misura fin troppo semplice per essere credibile. Se uno stato indebolisce appositamente la propria divisa contro le altre, non si capisce perché gli altri stati non debbano reagire in egual modo. Si scatena quella che in gergo si definisce “guerra valutaria”. Tutti svalutano e alla fine è come se nessuno svalutasse. L’unica conclusione sarà l’instabilità globale, con commerci ridotti e distruzione di benessere. Non è un caso che con la globalizzazione questa tattica sia venuta in gran parte meno. Astenersi dal manovrare i tassi di cambio è condizione fondamentale per fare parte del club delle economie esportatrici. Esistono metodi più subdoli per indebolire le divise. Le banche centrali le hanno adottate negli ultimi anni; si tratta di misure di accomodamento monetario, che nei fatti provocano il deflusso dei capitali.
Un altro effetto indesiderato della svalutazione del cambio consiste nella perdita di fiducia del mercato verso la valuta. Quando gli investitori temono che un’azione simile possa ripetersi, anticipano la possibile mossa della banca centrale e vendono gli asset denominati in essa. Così facendo, però, finiscono per provocare una svalutazione o di anticiparne il verificarsi. Si dice anche che la profezia di auto-avvera.
Svalutazione del cambio scelta obbligata per alcune emergenti
Non sempre la svalutazione del cambio è una circostanza perseguita da un governo volutamente. L’Italia fu costretta con la lira a svalutare per l’impossibilità di reggere i cambi fissi contro marco tedesco e altre valute europee (indirettamente, anche contro il dollaro). Accumulando costantemente tassi d’inflazione più alti che altrove, la nostra economia perdeva di anno in anno competitività, dato che il tasso di cambio reale si rafforzava in assenza di una fluttuazione affidata al libero mercato. Quando tali differenziali si mostravano insostenibili, la svalutazione diventava inevitabile.
Questa è ancora oggi la condizione in cui si trovano diverse economie emergenti, che ancorando il tasso di cambio al dollaro non riescono a sostenerlo e assistono a un prosciugamento delle riserve valutarie. Poiché senza valuta in cassa le importazioni sono impossibili e si rischia il collasso totale di un’economia, oltre che possibili forme di carestia (vedasi il Venezuela nel decennio passato), non resta che abbandonare il cambio fisso e perseguire la svalutazione del cambio, richiesta il più delle volte dal Fondo Monetario Internazionale stesso come condizione per ottenere prestiti. Il mercato delle crypto si è sviluppato più rapidamente proprio in queste economie, dove i cittadini cercano il modo di tutelare il loro potere di acquisto dalle mosse deleterie di governi e banche centrali.