Per oltre cinquemila anni l’umanità ha concordato su un’unica verità economica sugli scambi e la conservazione del valore: l’oro è la riserva di valore definitiva. Dalle monete di Creso ai forzieri di Fort Knox, il metallo giallo ha rappresentato l’unico asset capace di resistere a imperi caduti, guerre mondiali e iper-inflazioni più o meno strutturali. Tuttavia oggi, precisamente con dato del 21 dicembre 2025, i dati provenienti dalle piazze finanziarie di New York, Londra e Hong Kong raccontano una storia diversa.
Per la prima volta nella storia moderna, infatti, gli afflussi di capitale negli Exchange Traded Funds (quelli che ormai abbiamo imparato a chiamare ETF, tanto odiati dalle comunità crypto più puriste, ma certamente responsabili del boom d’adozione anche in ambito strettamente legato alle criptovalute) basati su Bitcoin hanno superato, su base annua, quelli destinati agli ETF sull’oro.
Non si tratta solo di una statistica per operatori di mercato; è il segnale di un terremoto tettonico che sta ridefinendo il concetto stesso di “scarsità” nell’era digitale. Se il XX secolo è stato il secolo dell’atomo, il XXI appartiene definitivamente al bit, all’economia dell’informazione e della conoscenza, ovvero al predominio delle reti e degli scambi digitalizzati che avvengono al loro interno.
Dal 2024 al sorpasso del 2025
Per capire come siamo arrivati a questo punto dobbiamo guardare indietro di circa diciotto mesi. L’approvazione degli ETF Spot su Bitcoin negli Stati Uniti all’inizio del 2024 è stata la scintilla. In effetti avevamo più volte puntato lo sguardo su questo fenomeno (si veda il nostro articolo dedicato agli ETF di qualche tempo fa, nonché ai vari altri articoli che indirettamente facevano riferimento a questa fenomenologia). Quello che inizialmente sembrava un prodotto per trader retail si è trasformato in un condotto privilegiato per il capitale istituzionale.
L’infrastruttura finanziaria tradizionale ha agito, mutatis mutandis, come una pompa idraulica: una volta collegato il sistema bancario alla blockchain tramite gli ETF, il flusso di liquidità è diventato inarrestabile. Come sottolineato da Larry Fink, CEO di BlackRock, in una recente conferenza a Singapore: “Non stiamo assistendo alla nascita di una nuova asset class speculativa, ma alla digitalizzazione di un diritto di proprietà che è superiore a qualunque forma fisica per efficienza, trasparenza e trasportabilità.”
Nel corso del 2025, questa “superiorità tecnica” si è tradotta in numeri assolutamente concreti e innegabili. Mentre l’oro ha sofferto per la sua natura analogica — i costi di stoccaggio, l’incertezza sulla purezza e le difficoltà di regolamento transfrontaliero — Bitcoin ha offerto un regolamento quasi istantaneo e una verificabilità on-chain che non richiede intermediari. Da cui l’ormai proverbiale appellativo di oro digitale.
Perché il Bit sta vincendo sull’atomo?
Il successo di Bitcoin rispetto all’oro non è solo frutto di una moda, ma di proprietà intrinseche che lo rendono più adatto all’economia del 2025. Vediamole, ovvero riportiamole alla mente e riassumiamole punto per punto:
Scarsità assoluta VS. scarsità relativa
L’oro è scarso, ma la sua offerta è elastica: se il prezzo dell’oro raddoppia, le compagnie minerarie aumentano gli investimenti per estrarne di più. Bitcoin, invece, possiede una scarsità assoluta fissata univocamente attraverso dettami inviolabili di protocollo. Con il completamento del ciclo post-halving del 2024 l’emissione di nuovi BTC è scesa a livelli minimi, rendendo l’offerta matematicamente rigida e, appunto, definitivamente scarsa.
Portabilità e sovranità
In un mondo geopoliticamente frammentato, il possesso di un asset che non richiede una nave cargo per essere spostato è un vantaggio strategico piuttosto facile da capire. Un miliardo di dollari in oro pesa circa 15 tonnellate; un miliardo di dollari in Bitcoin pesa quanto la memoria necessaria a memorizzare una chiave privata di 24 parole. Per i grandi fondi sovrani, questa “leggerezza” rappresenta una riduzione dei costi operativi e un aumento della sicurezza.
Ruolo della geopolitica e fondi sovrani
Il 2025 è stato l’anno in cui il concetto di “Bitcoin come Asset di Riserva Strategica” è passato dalla teoria alla pratica governativa. Da questo punto di vista può essere utile rileggere il nostro articolo monografico dedicato ai fondi sovrani in oro digitale.
A titolo di esempio: Il Regno del Bhutan ha rivelato quest’anno di possedere riserve in Bitcoin superiori al proprio PIL interno, accumulate tramite il mining alimentato da energia idroelettrica. Questo ha spinto altre nazioni, particolarmente nei mercati emergenti, a riconsiderare la composizione delle proprie riserve valutarie.
Il sorpasso degli ETF riflette questa tendenza: gli investitori non temono più il sequestro o il congelamento degli asset, un rischio che è diventato reale per le riserve auree e valutarie fisiche dopo le sanzioni internazionali del 2022-2023. Bitcoin, essendo una rete decentralizzata, offre una neutralità che l’oro, spesso custodito in forzieri di terze parti (come la Bank of England), non può più garantire in via assoluta.
Demografica dell’investimento
Un fattore spesso sottovalutato nel sorpasso del 2025 è il grande trasferimento di ricchezza generazionale. La “Generation Wealth” (i Baby Boomer che trasferiscono asset a Millennial e Gen Z) sta spostando il baricentro verso il digitale.
Un’indagine di JP Morgan condotta a ottobre 2025 ha rilevato che il 72% degli investitori sotto i 45 anni considera l’oro “un asset obsoleto e difficile da gestire”, preferendo l’esposizione diretta a BTC o tramite ETF regolamentati. Questa non è solo una preferenza estetica, ma una necessità funzionale: Bitcoin si integra nativamente nei portafogli digitali, nelle piattaforme DeFi istituzionali e nei sistemi di pagamento automatici.
Oltre gli ETF e infrastrutture
Se gli ETF sono stati la porta d’ingresso, l’ecosistema circostante è ciò che ha cementato il sorpasso.
Nel 2025, la distinzione tra “crypto exchange” e “banca tradizionale” è quasi svanita. Con l’entrata in vigore piena di regolamenti come il MiCA 2 in Europa e le nuove linee guida della SEC negli USA, le banche custodi ora offrono servizi di detenzione di Bitcoin con le stesse garanzie assicurative dell’oro fisico. Questo ha rimosso l’ultimo ostacolo per i fondi pensione, che ora allocano tra il 1% e il 5% dei loro portafogli in asset digitali.
La tendenza verso la tokenizzazione degli asset del mondo reale (Real World Assets) ha creato poi un ecosistema dove Bitcoin funge da valuta di riserva “base” per scambiare immobili, bond e azioni tokenizzate, peraltro in stretta relazione con altre novità tecniche legate al mondo blockchain (si pensi all’ecosistema Ethereum e ai suoi applicativi DeFi in forma di smart contract, sia nativo che su reti secondarie). In questo contesto, l’oro appare come un asset isolato, mentre Bitcoin è il collaterale nativo di una nuova rete finanziaria globale.
Ma l’oro è davvero finito?
Come piuttosto ovvio e comprensibile, sarebbe a dir poco ingenuo dichiarare la fine dell’oro come asset di riserva. Il metallo prezioso conserva vantaggi unici — nonché una riscontrabile appetibilità di mercato — che Bitcoin non può ancora replicare. Tanto per citare le principali motivazioni:
1) Assenza di Rischio Tecnologico: L’oro non richiede elettricità o una connessione internet per esistere o essere scambiato.
2) Valore d’Uso: L’oro ha applicazioni industriali e nell’elettronica, oltre a un valore estetico millenario.
3) Volatilità di Medio Termine: Nonostante la maturazione, Bitcoin rimane più volatile dell’oro. Nel 2025, abbiamo visto oscillazioni del 15% in una singola settimana, un evento raro per il metallo prezioso.
Tuttavia, come sostiene l’economista Saifedean Ammous: “L’oro era il miglior denaro possibile per le limitazioni tecnologiche del XIX secolo. Bitcoin è il miglior denaro possibile per le necessità della società dell’informazione.”
Verso il 2026: cosa significa questo per il risparmiatore comune?
Il sorpasso degli ETF Bitcoin sull’oro segna l’inizio di una nuova fase di “scoperta del valore”. Se Bitcoin dovesse raggiungere la capitalizzazione totale dell’oro (circa 14-15 trilioni di dollari), il prezzo per singolo BTC dovrebbe superare i 700.000 dollari. Al momento, con Bitcoin che oscilla intorno ai 90.000, siamo ancora nelle fasi iniziali di questa convergenza. Occasione ottima, peraltro, ai fini dell’acquisto o dell’investimento!
Il consiglio che emerge dai principali desk di analisi è quello della “Barbell Strategy” (Strategia a Bilanciere): mantenere una quota di oro per la protezione da catastrofi tecnologiche (blackout globali, EMP) e una quota dominante di Bitcoin per catturare la crescita della rete finanziaria digitale e proteggersi dalla svalutazione monetaria.
Da questo punto di vista, una strategia ottima sarebbe dunque quella di decidersi a capitalizzare satoshi, sia in forma di acquisto diretto, ovviamente attraverso la mediazione di exchange qualificati e regolamentati, come appunto lo stesso CryptoSmart, sia per mezzo di modalità ibride di allocazione, come nel caso del mining (degno di nota, da questo punto di vista, il rivoluzionario progetto Token BHP).
Conclusioni
Soppesando il tutto, il 2025 resterà l’anno in cui il “Digital Gold” ha smesso di essere una metafora puramente linguistica ed è diventato una realtà contabile già presente e operativa in centinaia e centinaia di fondi d’investimento e strategie di portafoglio. Il sorpasso degli ETF non è un evento isolato, ma il sintomo di una civiltà che si sta spostando verso una fiducia basata sulla matematica e sulla crittografia piuttosto che sulla geologia e sulla forza militare.
Mentre guardiamo ai grafici di fine anno, una cosa è chiara: l’oro rimarrà nei nostri musei e nei nostri gioielli, ma il futuro delle nostre riserve è scritto nel codice. La barriera tra finanza tradizionale e cripto è crollata, e dalle sue ceneri sta emergendo un sistema più trasparente, globale e accessibile.
Filippo Albertin