Capire l’impatto dell’inflazione sui mercati finanziari

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Sembrava essere scomparsa dai radar e, invece, quando nessuno se lo aspettava, è tornata prepotentemente protagonista della vita pubblica. L’inflazione è stata l’incubo di quasi tutte le economie mature del mondo negli ultimi anni. Essa consiste nell’aumento generalizzato dei prezzi al consumo e si traduce nella perdita del potere di acquisto della moneta. Basta chiedere a chi quotidianamente fa la spesa per avere un’idea precisa di quali siano i suoi effetti devastanti. Con la stessa somma di denaro, si riesce a comprare meno beni e a permettersi minori servizi. In questo nostro articolo, però, affronteremo il tema dal punto di vista del suo impatto sui mercati finanziari.

Impatto dell’inflazione sui bond

La prima domanda che di dobbiamo porre è se l’inflazione faccia complessivamente bene o male agli investimenti. La risposta non può essere uguale per tutte le asset class. Torniamo con la mente indietro al 2022. In quell’anno, anche a causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, i prezzi di petrolio e gas esplodevano, trascinando velocemente al rialzo l’intero paniere dei consumi. A restare vittima di tale trend fu il mercato obbligazionario. Se già i rendimenti dei bond sembravano fin troppo bassi per giustificare un investimento, con la forte perdita del potere di acquisto divennero inaccettabili. I prezzi dei titoli collassarono e i rendimenti risalivano. Le lunghe scadenze furono travolte. Per gli obbligazionisti che si erano esposti con un orizzonte temporale prolungato, fu un bagno di sangue.

Questa esperienza ci conferma che l’inflazione fa male ai bond con cedola fissa. Il flusso dei redditi incassato dall’obbligazionista perde valore e, pertanto, il mercato pretenderà rendimenti nominali più alti. Ciò si esplica in un calo dei prezzi per le vecchie emissioni. Le nuove emissioni saranno costrette ad offrire in partenza cedole più elevate. Le scadenze più lunghe soffrono particolarmente, in quanto risultano più sensibili alle variazioni dei rendimenti. Qui, entra in gioco il concetto di “duration”, che non affrontiamo per via della sua complessità.

Effetti sulle azioni

Il mercato azionario tende, invece, a beneficiare dell’inflazione. C’è una ragione alla base di questo fenomeno. Con le azioni non compriamo un titolo a reddito fisso, bensì la quota di capitale di una società quotata in borsa. Ed essa può permettersi di fissare prezzi più alti, a fronte di costi di produzione in aumento. In sostanza, le imprese possono trasferire i rincari ai consumatori. In teoria, potrebbero superare indenni l’ondata inflazionistica, senza guadagni e perdite. Il valore nominale delle azioni sale per effetto della crescita nominale dei profitti, i quali restano invariati in termini reali, a parità di ogni altra variazione e nel caso in cui i prezzi siano stati alzati nella stessa misura dei rincari patiti sul fronte dei costi.

La realtà è più complessa. Le imprese possono approfittare dell’inflazione per aumentare i prezzi anche in misura maggiore ai maggiori costi. Spesso, lo fanno in previsione di aumenti futuri di alcuni fattori della produzione, lavoro in primis. Le retribuzioni dei dipendenti non sono aggiornate in tempo reale. Bisogna perlopiù attendere la scadenza dei contratti per rinegoziare il recupero della perdita del potere di acquisto. Possono trascorrere mesi, anzi anni. Nel frattempo, le imprese beneficeranno di profitti in crescita, dato che i costi sono aumentati in misura minore ai ricavi. E questo rende convenienti gli investimenti azionari. Non è un caso che, quando i tassi d’inflazione sono elevatissimi, le azioni diventano quasi un bene rifugio per il mercato. Vedasi i casi recenti di Venezuela, Turchia e Argentina.

Ma non è detto che tutte le imprese riescano a trasferire i rincari per intero sui consumatori. Dipende da un insieme di fattori. In primis, bisogna vedere se esse abbiano potere di mercato a sufficienza o se, al contrario, patiscano la concorrenza e abbiano le mani legate. Ci sono alcuni settori, poi, in cui l’aumento dei prezzi comporta un calo proporzionalmente più marcato della domanda. Si dice che questa sia “elastica”. Pertanto, la capacità di fissazione dei prezzi ne risulta limitata. Parliamo perlopiù di settori legati a beni voluttuari, come i beni di lusso. Viceversa, imprese attive in settori come beni di prima necessità e sanità possono permettersi di alzare i prezzi in linea con i costi, se non di più. Hanno a che fare con una domanda “anelastica”, che rende le loro azioni appetibili proprio in fasi di alta inflazione.

Oro e immobili

Ci sono tipicamente due asset che si avvantaggiano dell’inflazione: immobili e oro. Entrambi sono stati per decenni i beni rifugio degli italiani in tempi di instabilità dei prezzi. Le loro quotazioni tendono a salire nel tempo e a proteggere il capitale investito. Le cose per i primi sono andate diversamente negli ultimi anni. A causa principalmente del calo demografico, la domanda di case è stagnante o in calo su gran parte del nostro territorio nazionale. Le quotazioni sono scese, per cui gli immobili non sono più percepiti come beni di investimento “sicuri”. L’oro, invece, si conferma l’asset protettivo dall’inflazione per eccellenza. Le quotazioni internazionali in dollari segnano un boom del 500% negli ultimi venti anni. Le previsioni restano incoraggianti anche per i prossimi anni, anche se dopo le elezioni negli Stati Uniti il metallo ha perso un po’ di smalto.

Nuovo asset: criptovalute

Di recente, poi, si stanno affermando le criptovalute in qualità di ciò che alcuni analisti definiscono “oro digitale”. Dati gli alti tassi di crescita delle quotazioni, vengono percepite in misura crescente tra gli investitori come un asset per difendersi dall’inflazione. Basti ricordare che nel 2009 Bitcoin nacque proprio come esperimento del sedicente e anonimo Satoshi Nakamoto per offrire al mercato un’alternativa agli asset tradizionali manipolabili dalle banche centrali.

Se questa è la visione generale di cosa accade sui mercati finanziari (e non) in tempi d’inflazione, bisogna ammettere che le cose sono un po’ più complicate di come le abbiamo spiegate. Man mano che l’inflazione attecchisce, i rendimenti dei bond salgono e diventano relativamente più appetibili delle azioni per gli investitori. Infatti, si guarda spesso al rapporto Prezzo/Utili sul mercato azionario e lo si confronta con il rendimento dei bond di lungo periodo per capire quale tra i due asset stia offrendo maggiori opportunità di guadagno. Inoltre, le banche centrali sono costrette a reagire alzando i tassi di interesse per raffreddare i prezzi al consumo. Il combinato tra tassi in aumento e alta inflazione riduce i redditi disponibili delle famiglie e gli investimenti delle imprese. Ne consegue che l’economia entra in recessione e le borse subiscono cali anche bruschi per adeguare il valore delle azioni alle mutate condizioni di mercato.

Proteggersi dall’inflazione

Come proteggersi dall’inflazione anche in via preventiva? Bisogna costruire un portafoglio d’investimento che guardi al lungo periodo e che contempli sempre una certa instabilità dei prezzi al consumo. A parte destinare una quota dei capitali agli investimenti azionari e all’oro, bisogna anche acquistare obbligazioni indicizzate all’inflazione e/o ai tassi. Per chi ha, infine, una certa propensione al rischio, anche l’acquisto di criptovalute può essere una soluzione per sfruttare i movimenti di questo asset relativamente nuovo. L’esperienza dimostra, però, che questo mercato tende a risentire molto negativamente dell’aumento dei tassi in risposta all’inflazione, mentre beneficia di condizioni monetarie più espansive. Resta il fatto che il trend di lungo periodo sia stato ad oggi enormemente positivo e, quindi, un inserimento di Bitcoin, Ethereum, ecc. in portafoglio può fare bene in una prospettiva longeva.

 

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