Clausole di Azione Collettiva (CACs), cosa sono e quali rischi comportano per l’investitore

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Se ne parla poco e molti piccoli investitori ne ignorano persino l’esistenza, mentre non dovrebbero. Le Clausole di Azione Collettiva (CACs) furono introdotte dall’Unione Europea con riferimento alle emissioni dei titoli di stato nazionali a partire dal 2013. Da allora hanno subito alcune modifiche, le quali sono entrate in vigore dal 2022. Sebbene possano apparire tecnicismi dalla scarsa importanza, come avremo modo di vedere le cose stanno in maniera profondamente diversa.

Clausole di Azione Collettiva, origine

Iniziamo dal 2012. Quello fu un anno particolarissimo per l’Unione Europea. Infuriava la crisi dei debiti sovrani e nel mirino dei mercati finanziari vi era anche l’Italia, oltre che Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia. Quest’ultima aveva già ricevuto prestiti da parte della cosiddetta Troika, un organismo informale composto dalla stessa Unione Europea, oltre che dalla Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Nel maggio di quell’anno, Atene fu costretta a procedere alla ristrutturazione del suo debito per evitare il default vero e proprio. I titoli di stato in circolazione con scadenze medio-lunghe vennero scambiati con altri di durata compresa tra 11 e 20 anni e con cedole più basse. E il valore del capitale fu tagliato.

Il dramma della Grecia

Complessivamente, questa ristrutturazione a carico dei creditori privati portò a una riduzione del debito di 107 miliardi di euro, pari al 53,5% del valore dei bond oggetto dell’operazione. I risparmi ammontarono a qualcosa come quasi il 53% del PIL greco di allora. Insieme alle misure di austerità fiscale e ai salvataggi internazionali per complessivi 280 miliardi, il Paese evitò il disastro definitivo e oggi può vantare conti pubblici ordinati. Ma la paura tra gli investitori fu tale, che a quel periodo si deve l’ascesa delle crypto sul mercato come asset class d’investimento alternativa.

Fu in quel clima di panico che a Bruxelles i capi di stato e di governo pensarono di introdurre le Clausole di Azione Collettiva. A partire dall’anno successivo, gli stati comunitari avrebbero potuto apporle alle emissioni a medio-lungo termine (di durata iniziale superiore ai 12 mesi) e per un valore fino al 45% del totale. Per quanto riguarda l’Italia, quindi, esse riguardano da allora i Btp, mentre risultano esclusi i Bot.

Ristrutturazione del debito più facile

Che cosa sono le Clausole di Azione Collettiva? Si tratta di regole che consentono agli stati di modificare le condizioni di emissione nel caso di rischio di insolvenza. Esse mirano ad agevolare il processo di rinegoziazione con i creditori per evitare il default. Questo si verifica quando un emittente non onora una o più scadenze, anche solo il pagamento delle cedole. E ciò avviene per l’assenza di un accordo con gli investitori sulle nuove condizioni da pattuire al fine di rendere il debito sostenibile. Il default è un evento molto spiacevole. Non solo la credibilità di uno stato, anzi di un intero sistema Paese, va a farsi benedire. C’è anche la conseguenza non meno drammatica di restare tagliati fuori dai mercati fino a quando tale condizione non cessa, cioè fino all’avvenuta rinegoziazione con i creditori.

E uno stato che non riesce a ri-finanziarsi sui mercati, può limitarsi a spendere nei limiti delle sue entrate. In alternativa, dovrà trovare nuovi canali di finanziamento. E neppure il Fondo Monetario Internazionale, che funge da prestatore di ultima istanza, concede denaro ai Paesi richiedenti senza un accordo con i creditori privati. Il suo obiettivo consiste, infatti, nel favorire la crescita di un’economia di medio-lungo periodo e di tirare fuori lo stato dalla crisi fiscale in maniera definitiva, non per farlo vivacchiare un altro po’.

Le possibilità per gli stati debitori

Le Clausole di Azione Collettiva prevedono cinque modifiche ben precise:

  1. Taglio del valore nominale dei bond (haircut)
  2. Taglio delle cedole
  3. Allungamento delle scadenze (rollover)
  4. Un mix delle suddette misure
  5. Ridenominazione del debito in altra valuta

Ricapitolando, quando uno stato avverte il rischio di non potere più onorare i suoi debiti, può rivolgersi ai creditori e concordare con loro di ridurre il valore di tali debiti, di abbassare i tassi precedentemente fissati, di allungare la durata dei titoli, di ridenominare questi ultimi in una valuta differente e, infine, un po’ di tutte queste misure.

Riforma dal 2022

Nel 2022 è entrata in vigore una riforma delle Clausole di Azione Collettiva, voluta dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Questo è anche meglio noto come Fondo salva-stati permanente e fu istituito nel decennio passato per fronteggiare eventuali crisi fiscali e bancarie. Tale riforma ha semplificato le procedure per raggiungere un’intesa tra le parti. E’ stato introdotto il principio del “single limb” al posto del “dual limb”. Spieghiamo un attimo. Fino al 2021, le eventuali modifiche alle condizioni contrattuali dei titoli di stato potevano avvenire a patto di essere approvate da una doppia assemblea e con maggioranze qualificate: un’assemblea degli obbligazionisti per ciascuna emissione oggetto di ristrutturazione; l’assemblea degli obbligazionisti in possesso di qualsiasi bond emesso dallo stato richiedente le modifiche.

Con il “single limb” le Clausole di Azione Collettiva potranno scattare con il solo voto dell’assemblea degli obbligazionisti possessori di tutti i bond. L’intento è di agevolare il più possibile l’accordo, accorciando i tempi decisionali, così da non esporre troppo a lungo un Paese alle tensioni finanziarie, riducendo le incertezze sul suo futuro. Con la riforma viene ridotto il peso dei cosiddetti creditori “hold-outs”. Si tratta soprattutto di fondi speculativi, che spesso raccattano sul mercato titoli di stato in sofferenza per poi cercare di massimizzare il profitto opponendosi alle ristrutturazioni e cercando di reclamare il pagamento per intero.

L’esperienza più drammatica di questo tipo si ebbe in Argentina. Dopo il default di inizio 2002, servirono diversi anni per trovare un’intesa con i creditori. Un primo accordo si trovò nel 2005 e un secondo definitivo nel 2010. Vi fu un taglio del debito del 70%. Ma alcuni fondi, tacciati dal governo di essere “avvoltoi” (buitres) negarono il loro consenso, pur essendo titolari solamente del 7% del capitale in questione. Nel 2014 ottennero finalmente ragione davanti al Tribunale di New York e il loro mancato pagamento portò a un ennesimo default “tecnico” di Buenos Aires. La questione si sarebbe risolta solo negli anni successivi.

Clausole di Azione Collettiva, rischi per l’investitore

Le Clausole di Azione Collettiva, se da un lato rendono meno probabile l’evento del default, dall’altro aumentano i rischi a carico dell’investitore. Agevolando il debitore, questi può approfittarne al punto da optare per una riduzione del debito. I creditori si trovano spesso come con la pistola puntata alle tempie. O accettano o non rivedranno il loro capitale, se non dopo anni e comunque subendo forti perdite. La questione in Italia ha dato luogo a un dibattito anche infuocato. Alcuni partiti hanno sostenuto che tali regole, specie dopo la modifica entrata in vigore nel 2022, creino una sorta di stigma a carico dei nostri Btp, in quanto già considerati maggiormente a rischio di altri bond. Il mercato pretenderebbe un premio extra per non ritrovarsi nelle condizioni sopra descritte. A preoccupare è particolarmente quella clausola legata alla ridenominazione del debito, perché implicherebbe la possibilità formale per un Paese di mutare la valuta di denominazione dall’euro a quella nazionale adottata prima della sua entrata in vigore.

Nel nostro caso, sarebbe come dire che i Btp potrebbero in futuro essere ridenominati in lire. Anche se nessuno in Italia ha l’intenzione di fare una cosa simile, il solo fatto che le Clausole di Azione Collettiva lo consentano può indurre più di un investitore a tentennare sull’acquisto. Se ciò accade, si rischia di rendere più probabile il verificarsi dell’evento avverso dal quale, in teoria, le norme vorrebbero proteggere stati e mercato. Comunque sia, l’allarme finora non è per fortuna scattato. La rischiosità percepita dei nostri titoli è dipesa fino ad oggi da altri fattori. In ogni caso, diversi siti internet offrono la possibilità di scoprire quali Btp siano emessi con le CACs e quali no. Per i più timorosi può essere un buon servizio.

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