Cos’è il Big Mac Index e come può essere una guida per i mercati

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I ristoranti McDonald’s ci sono praticamente ovunque (o quasi) nel mondo e rappresentano forse il simbolo più calzante della globalizzazione di questi ultimi decenni. Prima ancora che l’Unione Sovietica si disgregasse, la catena di fast food americana aprì un punto vendita a Mosca. E’ stato chiuso due anni fa per via della guerra tra Russia e Ucraina. Segno dei tempi. Questa sua diffusione globale consente ai mercati di trarre qualche conclusione fondata in più sull’andamento degli asset finanziari. Parliamo del Big Mac Index. Non saranno in tanti a conoscere questo indicatore, eppure ha compiuto 38 anni. Era il 1986 quando il settimanale d’informazione economica The Economist lo pubblicò quasi per gioco. Vediamo in cosa consiste ancora oggi e perché può essere considerato un riferimento in modo particolare per chi opera sul mercato valutario o forex.

Cos’è il Big Mac Index

Il Big Mac Index trae origine da una constatazione quasi banale: il panino più noto e bandiera della catena di fast food – il Big Mac – è servito con gli stessi ingredienti in tutto il mondo. Per questa sua omogeneità spaziale, si può pensare di confrontare i prezzi di vendita nei vari stati. Dopodiché si stabilisce quale sarebbe il tasso di cambio “a parità di potere di acquisto“. Ad esempio, se in media il Big Mac è venduto a 5 dollari negli Stati Uniti e a 4 sterline nel Regno Unito, si trae come conclusione che ci vogliano 1,25 dollari per 1 sterlina o, viceversa, che 1 dollaro corrisponde a 0,80 sterline. Questo dovrebbe, in linea teorica, essere il tasso di cambio per la coppia valutaria considerata.

L’idea da cui parte il Big Mac Index non è in sé originale. I tassi di cambio si dovrebbero evolvere in base al differenziale di crescita dei prezzi al consumo. Ad esempio, se negli Stati Uniti l’inflazione in un dato periodo fosse del 3% e nell’Eurozona del 5%, il cambio Euro Dollaro dovrebbe deprezzarsi del 2%. In altre parole, la moneta unica perderebbe il 2% contro la divisa americana. Viceversa, nel caso contrario.

Valute sopra- e sottovalutate

A questo punto, il Big Mac Index consente di derivare tutti i possibili tassi di cambio tra le valute, non solo nei confronti del dollaro americano. Raffrontandoli con i tassi di cambio effettivi, cioè vigenti sul mercato a una certa data, si ottiene se questi siano sopra- o sottovalutati o se sostanzialmente si trovino allineati. Per capire di più, vi proponiamo un esempio concreto: l’ultima rilevazione in ordine di tempo che risale al luglio scorso. L’indice trovava che un panino costasse quel mese la media di 5,69 dollari negli Stati Uniti e di 5,87 dollari nell’Eurozona. Quest’ultimo dato è espresso utilizzando il tasso di cambio di mercato vigente alla data della rilevazione. Pertanto, il cambio Euro Dollaro sarebbe dovuto essere di circa 1,032 (5,87/5,69). Ciò ha portato a concludere che l’euro fosse sopravvalutato di oltre il 3% rispetto ai suoi fondamentali. Per lunghi anni era risultato, invece, sottovalutato e, a tratti, anche in misura elevata.

Niente rispetto al franco svizzero, che risulterebbe il più sopravvalutato al mondo: +43,53% contro il dollaro a luglio. Il tasso di cambio allora sarebbe stato di quasi 1,44 contro un tasso di mercato che ancora oggi si aggira ben sotto la parità, a 0,87. Ora che abbiamo capito il meccanismo che sta alla base del Big Mac Index, compiamo un passo in avanti per farci un’idea di come possa darci una mano quando operiamo sui mercati. Se una valuta risulta essere sopravvalutata, il segnale che ne riceviamo è, se non di vero allarme, quanto meno di attenzione. Gli asset in essa denominati potrebbero subire una svalutazione per effetto del probabile ri-allineamento del cambio. Ovviamente, dobbiamo tenere in considerazione il rapporto con la nostra valuta, che è l’euro. Può accadere, ad esempio, che un’altra valuta risulti sopra- o sottovalutata contro il dollaro, ma non contro la moneta unica.

Guida per i mercati finanziari

Quindi, non è solo il mercato forex ad essere strettamente interessato dal Big Mac Index. Pensate al mercato azionario, a quello obbligazionario o alle stesse criptovalute. Comprando azioni o bond in valute estere, stiamo sperando che in portafoglio questi non perdano valore in euro, oltre che si apprezzino eventualmente con il rialzo dei prezzi. In genere, a parità di classe di rischio, un’obbligazione espressa in una data valuta offre un rendimento più o meno alto rispetto al bond in altra valuta e medesima scadenza, in relazione proprio alle aspettative del mercato riguardo all’andamento del tasso di cambio. Per questo i rendimenti svizzeri sono da molto tempo ben inferiori a quelli di stati con l’euro come la stessa Germania. Il franco è forte e tale è atteso anche nei prossimi anni.

Critiche metodologiche e non solo

Ma non avevamo detto che risulta essere sopravvalutato? Questo ci porta ad un’altra constatazione. Il Big Mac Index è tutt’altro che infallibile come guida. In primis, perché i valori trovati non sono necessariamente corrispondenti alla realtà. Il panino viene venduto a prezzi differenti in base anche alla domanda su ciascun mercato. Ed essa a sua volta riflette le preferenze dei consumatori, che cambiano da stato a stato, da cultura a cultura. Ciò che va bene a tavola per un consumatore americano può non andare bene a uno europeo o ancora meno a un asiatico. Inoltre, i tassi di cambio si muovono sempre più spesso in base ad altri fattori, che non solamente ai differenziali d’inflazione.

Big Mac Index non unica fonte di analisi

Se guardate alla classifica del Big Mac Index di semestre in semestre, vi accorgerete che quasi sempre le valute più sottovalutate siano le stesse e il discorso vale grosso modo anche per quelle sopravvalutate. In teoria, con il passare dei mesi dovremmo assistere a un recupero delle prime e ad un deprezzamento delle seconde contro il dollaro per riportarsi ai fondamentali di mercato. Non è così. Ci sono solide ragioni per cui i capitali affluiscono in Svizzera da tutto il mondo in cerca di sicurezza. Non importa se i dati sull’inflazione dicano altro. E ci sono altrettante valide ragioni per le quali valute come il bolivar venezuelano e la lira turca, anche quando appaiono svalutate fino al 60-70%, non risalgono mai la china. Esse risentono di motivazioni istituzionali, geopolitiche, ecc. Per concludere, l’indicatore è utile per chi opera sui mercati, a patto di non affidarvisi in maniera totale e trascurando altre analisi di tipo tecnico, ma anche di contesto macro e geopolitico. Anche nel lungo periodo le variazioni dei cambi possono continuare a non riflettere con esattezza i differenziali di potere di acquisto.

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