La crisi della lira turca è tornata e manda in fumo le certezze dei mercati

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Alla fine se l’è cavata con una perdita contro il dollaro del 3,3%, ma la crisi della lira turca si è riaffacciata più in profondità di quanto lasci intendere questo dato finale. Ad un certo punto della seduta, sul mercato dei cambi la valuta emergente è arrivata a collassare del 12%. Per un dollaro sono servite fino a 42 lire contro le 36,70 di fine martedì. Poi è arrivato con ogni probabilità l’intervento della banca centrale per arrestare le vendite. L’indice BIST 100 alla Borsa di Istanbul ha chiuso la giornata delle contrattazioni con un crollo dell’8,72%. Giù anche i titoli di stato, con i rendimenti drasticamente lungo la curva delle scadenze. Per i due anni i bond anatolici sono passati dal 35,26% al 38,76%, per i dieci anni dal 26,44% al 28,72%. Il fatto che siano esplosi, in misura particolare, i rendimenti sul tratto medio-breve della curva segnalerebbe che il mercato si attenda un aumento dei tassi di interesse. Insomma, il caos.

Crisi della lira turca tornata con l’arresto di Imamoglu

Proprio così. Da poco la banca centrale aveva iniziato a tagliare i tassi, confortata sia dalla fine della crisi della lira turca sui mercati, sia dal rientro dell’inflazione. Quest’ultima resta altissima, a ridosso del 40%, ma era salita fin sopra il 75% nella primavera dello scorso anno. E ancora una volta in tutto questo disastro finanziario c’entra la politica. Il sindaco della Città Metropolitana di Istanbul, di gran lunga la più importante e popolosa area del territorio turco, è stato arrestato insieme ad un centinaio di persone. Ekrem Imamoglu è stato accusato di avere corrotto un perito in relazione ai giudizi espressi su amministrazioni del suo stesso partito, oltre che di avere piazzato in posizioni di potere esponenti del gruppo terroristico curdo Pkk.

Imamoglu è sindaco di Istanbul dal 2019 e quando vinse la prima volta, il voto fu annullato per presunte irregolarità su istanza dell’AKP, il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan. Rivinse qualche mese più tardi e otteneva nel 2024 il secondo mandato. A giorni avrebbe quasi certamente vinto le primarie del CHP, il Partito Popolare Repubblicano all’opposizione, a seguito delle quali avrebbe corso alle elezioni presidenziali nel 2028. Tuttavia, già gli era stata ritirata la laurea per presunte irregolarità, un fatto che lo avrebbe privato della possibilità di candidarsi a capo dello stato, essendo obbligatorio quel titolo di studio.

Stabilità finanziaria nuovamente a rischio

Perché i mercati l’hanno presa così male, tanto da prospettare una nuova ed ennesima crisi della lira turca in pochi anni? L’episodio rischia per prima cosa di rinfocolare le tensioni politiche interne. E questo fa male alla stabilità finanziaria, perché ogni volta che Erdogan combatte a muso duro gli avversari, a pagarne il prezzo è la gestione della politica economica. Da sempre si autodefinisce un “nemico dei tassi di interesse” e solo con la rielezione del maggio 2023 ha accettato di deporre le armi per favorire la discesa dell’inflazione e la salvezza del cambio, nonché per evitare una crisi definitiva della bilancia dei pagamenti.

Il fatto che Imamoglu sia stato arrestato segnalerebbe anche il tentativo di Erdogan di correre per un terzo mandato, magari trovando qualche escamotage per aggirare il divieto costituzionale. La stampa parla di possibili elezioni anticipate. Finora si pensava che non ci sarebbero stati appuntamenti elettorali fino al 2028, assegnando alla banca centrale tutto il tempo necessario per portare a casa i frutti del suo lavoro negli ultimi tempi. La stessa politica dei conti pubblici rischia di essere sacrificata per la ricerca del consenso. In definitiva, quanto accaduto oggi spinge a pensare che la Turchia rischi nei prossimi mesi di tornare ai tempi bui dei tassi in calo con l’inflazione e deficit in rialzo.

Banca centrale alla prova, ancora una volta

La crisi della lira turca sarà un nuovo test per la banca centrale. Se portasse alla risalita dell’inflazione, dovrà trovare il coraggio di rialzare i tassi o almeno di resistere alle richieste che le arriveranno dal governo per continuare a tagliarli. Il possibile intervento di oggi sul mercato forex a sostegno del cambio avrà effetti di corto respiro. Se le vendite ripartissero nelle prossime sedute, a poco potrà l’istituto. Il timore è che rafforzi i controlli sui movimenti dei capitali per impedire che i deflussi verso l’estero proseguono.

In un solo colpo, quasi due anni di lavoro svolto per riconquistare la fiducia dei mercati dopo un lungo periodo di politiche non convenzionali è andato distrutto. Ricordiamo che per risalire la china, l’istituto ha dovuto in pochi mesi alzare i tassi dall’8,50% al 50%. Al contempo, ha provveduto a svalutare il cambio di quasi il 50%. E sotto la guida di Mehmet Simsek, il Ministero delle Finanze ha cercato di contenere il deficit fiscale al 5% del PIL, malgrado le spese necessarie alla ricostruzione dopo il potente terremoto di due anni fa nel sud del Paese.

La crisi della lira turca alimenta gli acquisti di Bitcoin

Le riserve della banca centrale sono migliorate nettamente in questo frangente, consentendo oggi al governatore Fatih Karahan di disporre di qualche munizione per fronteggiare la crisi della lira turca. Al netto delle operazioni swaps, infatti, erano scese sottozero nel corso del 2023, mentre oggi sono decisamente positive. Ma questo non rassicura più di tanto, se è vero che la bilancia commerciale continua ad esitare saldi negativi e così anche le partite correnti, comprensive dei movimenti dei capitali, pur con qualche segnale di schiarita. La fuga dei capitali potrebbe aggravare la situazione, più che compensando l’eventuale sollievo per l’import/export derivante dalla caduta del cambio.

I mercati sono abituati all’instabilità di Ankara. Dopo un primo decennio trascorso all’insegna dello sviluppo economico grazie a una politica di apertura al mercato e ai capitali stranieri, Erdogan ha mutato volto al potere. Ha fatto prevalere scelte clientelari sulle ragioni dell’economia e per questo ha alimentato una crisi della lira turca con la perdita del 95% del valore per la valuta emergente rispetto ai livelli di cambio contro il dollaro di 13 anni fa. La presenza dei titoli di stato turchi nei portafogli degli investitori stranieri è stata quasi azzerata dopo essere culminata intorno alla metà del decennio passata. Entro un’ora dalla notizia dell’arresto, su Binance sono stati registrati volumi elevati di scambi tra lire turche e Bitcoin, ai massimi da quasi un anno. Tuttavia, i prezzi a forte sconto rispetto a Coinbase suggerirebbero che molti turchi avrebbero tentato di acquistare Bitcoin come investimento-ponte per rilevare successivamente stablecoins come USDT legate al dollaro USA. Ennesima conferma del ritorno della sfiducia ad Ankara dopo una lunga tregua che aveva fatto ben sperare nell’avvio di un nuovo corso.

 

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