Con il giuramento del 20 gennaio, Donald Trump è diventato ufficialmente il nuovo presidente degli Stati Uniti e sui mercati si sono consolidate alcune tendenze, tra cui le previsioni sui tassi di interesse. L’amministrazione americana ha come obiettivo principale di rilanciare la competitività dell’economia, abbattendo l’enorme disavanzo commerciale registrato annualmente e che supera ormai i 1.000 miliardi di dollari. Per questo la Casa Bianca intende adottare una strategia improntata ai dazi. Rendendo più costose le importazioni dall’estero, automaticamente spera che i consumatori americani si rivolgano alle produzioni domestiche.
Previsioni sui tassi e fattore Trump
Questa politica commerciale, soprattutto se attuata fino in fondo e senza gradualismo, porterebbe a un’accelerazione dell’inflazione nella prima economia mondiale. I costi delle importazioni aumenterebbero e si scaricherebbero sui prezzi al consumo. In questo modo, la Federal Reserve avrebbe le mani legate e non potrebbe continuare a tagliare i tassi di interesse. Questo scenario si scontra con un’altra velleità di Trump, che sarebbe l’indebolimento del cambio. Un dollaro meno forte sosterrebbe le esportazioni. Tuttavia, se la Federal Reserve fosse costretta a tenere i tassi più alti per reagire alla possibile reflazione, il cambio si rafforzerebbe in quanto i capitali si sposterebbero verso l’America in cerca di una maggiore remunerazione.
Negli ultimi mesi, il dollaro si è rafforzato di circa l’8% e i rendimenti dei bond americani sono risaliti fino a un massimo dell’1,20% per il tratto decennale. Un apparente paradosso, visto che nel frattempo la Federal Reserve ha ridotto il costo del denaro complessivamente dell’1%. Ciò si spiega con il surriscaldamento dell’inflazione attesa, a sua volta frutto sia della politica commerciale immaginata con la nuova presidenza, sia della mossa azzardata dell’istituto centrale nell’avere avviato probabilmente il taglio dei tassi troppo presto.
Euro debole, distanze sui tassi con l’America aumentano
Al ritorno alla Casa Bianca di Trump, le previsioni sui tassi vanno nella direzione opposta a quella auspicata dal presidente. In questo momento, il mercato sconta un solo taglio per quest’anno nel mese di giugno. Guardando al trend nell’ultimo mese, notiamo come si siano consolidate le stime più restrittive. Nel medio termine, quindi, i tassi di interesse scenderebbero solamente al 4-4,25% dal 4,25-4,50% attuale. Le distanze con le altre grandi economie si stanno ampliando sul punto e questo sta sostenendo il dollaro. Ad esempio, il mercato sconta ancora 4 tagli dei tassi nell’Area Euro. La Banca Centrale Europea li porterebbe al 2% sui depositi bancari dal 3% attuale.
Tuttavia, anche da noi le previsioni sui tassi sono mutate nelle ultime settimane. A dicembre, prima che Francoforte annunciasse il quarto taglio, il mercato riteneva che entro il prossimo dicembre il costo del denaro nell’area sarebbe sceso fino a un minimo dell’1,75-2%. Oggi, le stime sono per un calo al 2-2,25%. In pratica, è dato per certo che rispetto a un mese fa non ci siano le condizioni per un quinto taglio e s’inizia a mettere in dubbio persino il quarto. Resta il fatto che mentre oggi i tassi americani sono più alti di quelli dell’Area Euro dell’1,50%, entro la fine di quest’anno gli investitori prevedono che lo saranno del 2,25%. E il cambio Euro-Dollaro, pur essendo risalito dai minimi di una settimana fa, resta indirizzato verso la parità.
La minaccia dei tassi negativi contro i dazi
Le previsioni sui tassi non sono così agevoli come pensiamo. Le condizioni macro divergono nitidamente tra America ed Europa. L’economia della prima va bene e l’occupazione continua a crescere. Al contrario, l’economia europea è nel suo complesso stagnante e i timori sull’inflazione da noi hanno a che vedere più che altro alle possibili nuove tensioni geopolitiche con contraccolpi sull’energia. La numero uno della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha dichiarato non a caso nella giornata di oggi che non intravede rischi al rialzo per l’inflazione e che non teme che essa possa essere importata dall’America (tramite l’euro debole). Un modo per segnalare che tra una settimana il taglio dei tassi ci sarà ugualmente.
Negli stessi Stati Uniti la situazione resta fluida. E’ quasi certo che il governatore Jerome Powell non possa permettersi di tagliare i tassi tra una settimana, ma se l’amministrazione Trump sui dazi si mostrerà meno irruento del previsto, già a marzo se ne potrebbe discutere. Molto dipenderà anche da come si evolveranno le aspettative del mercato sull’inflazione e i rendimenti dei bond. Per il momento quasi nulla lascia ipotizzare che la Federal Reserve possa proseguire nell’allentare la politica monetaria come se nulla fosse.
Dall’Europa sta emergendo un altro dato con cui è probabile che lo stesso Trump si dovrà confrontare nei prossimi mesi. Da Davos, cittadina svizzera in cui si tiene ogni anno il World Economic Forum, il governatore della Banca Nazionale Svizzera ha segnalato che prenderebbe in considerazione anche l’ipotesi di tornare ai tassi negativi, pur di evitare la deflazione. Martin Schlegel ha aggiunto che ciò non sia assolutamente desiderato, ma non lo può escludere. Probabile che queste parole siano state pronunciate per indebolire il franco svizzero, che resta molto forte contro le altre divise mondiali. Esse riflettono anche la preoccupazione per un’inflazione molto bassa e sotto l’obiettivo del 2%, essendo scesa allo 0,6% a dicembre. Poiché l’economia elvetica vive di esportazioni, ciò minaccia la sua crescita.
Previsioni sui tassi complicate da possibile guerra tra valute
E’ anche probabile che la Svizzera voglia mettere sull’attenti il presidente americano circa la possibilità che si scateni una guerra tra valute per reagire ai dazi. I tassi negativi sarebbero l’arma nucleare che alcune economie userebbero per indebolire il cambio con il dollaro, di fatto neutralizzando gli effetti delle maggiori tariffe doganali. Un espediente pericoloso a cui nessuno vuole arrivare, se non come ultima spiaggia. Una mossa della disperazione che aumenta il grado di incertezza riguardo alle politiche monetarie che adotteranno i principali istituti centrali. Musica per le orecchie di chi crede nelle criptovalute quale asset difensivo contro il lassismo monetario e il rischio di inflazione.
Le previsioni sui tassi sono complicate anche per questo. Non sappiamo se i banchieri centrali si mostreranno maggiormente tolleranti sui rispettivi tassi di inflazione, avendo quale interesse supremo la salvaguardia delle economie nazionali dalla minaccia dei dazi. Ciò spiegherebbe il rialzo dei rendimenti sovrani in pieno allentamento monetario. Sembra come se gli obbligazionisti stessero scontando tassi d’inflazione più alti insieme a tassi di interesse più bassi. Ne consegue che il tratto breve delle curve stia allineandosi con i tassi fissati dagli istituti, mentre il tratto medio e lungo sta risalendo.