Sistema bancario italiano: cosa succede tra Siena, Milano e Trieste

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Il sistema bancario italiano sta vivendo una fase di intensa trasformazione e potrebbe cambiare volto entro pochi mesi. Diverse operazioni in corso si stanno intrecciando tra loro e solo al termine si vedrà il riassetto generale. Giovedì 24 aprile, ad esempio, l’assemblea degli azionisti di Generali ha rinnovato il consiglio di amministrazione e votato il bilancio dell’esercizio 2024. L’amministratore delegato Philippe Donnet, in carica dal 2016, ha ottenuto il quarto mandato. A vincere, infatti, è stata la lista presentata da Mediobanca, socio di riferimento con il 13,1% del capitale. Ha superato la maggioranza assoluta (52,38%) del capitale presente contro circa il 36,8% della lista di Francesco Gaetano Caltagirone, mentre Assogestioni si è fermata al 3,67% e gli astenuti sono stati al 7,068%. Interessante il voto dei grandi soci: Caltagirone ha chiaramente votato per sé stesso insieme all’alleato Delfin, holding della famiglia Del Vecchio, e Unicredit. Questa detiene il 6,7% e dopo settimane di incertezza sulla sua posizione, ha deciso di appoggiare la lista dell’imprenditore romano. Invece, la famiglia Benetton con il suo 4,33% si è astenuta.

Sistema bancario in fermento da Siena in avanti

In teoria, Donnet ha vinto e Caltagirone e Delfin hanno perso come nel 2022. Tuttavia, il sistema bancario italiano è in gran fermento come dicevamo. L’assemblea dei soci di Monte Paschi di Siena aveva approvato a larghissima maggioranza nei giorni precedenti l’aumento di capitale finalizzato a rendere possibile l’Offerta Pubblica di Scambio (OPS) sul 100% delle azioni Mediobanca. E tra gli azionisti troviamo ancora una volta i due soci di Trieste: Caltagirone al 9,96% e Delfin al 9,86%. Primo resta il Tesoro all’11,7%. Seguono Banco BPM al 5% e Anima al 3,99%. Non è finita, perché sempre i due sono presenti persino in Mediobanca con il 7,66% e 19,81% rispettivamente. In pratica, l’eventuale successo dell’operazione porterebbe Caltagirone e Delfin a diventare i soci di controllo di MPS/Mediobanca e, quindi, anche di Generali.

OPS MPS su Mediobanca

L’OPS prevede l’emissione di 2,3 azioni MPS per ogni azione Mediobanca portata in adesione. Ai prezzi di borsa di fine seduta di venerdì 25, gli azionisti di Mediobanca riceverebbero un controvalore di quasi il 6% più basso rispetto a quanto potrebbero ricevere rivendendo il titolo sul mercato. Dunque, l’offerta si presenta per il momento a sconto. E questo comporterebbe la necessità per Siena di aumentare la proposta almeno altri 800 milioni per pareggiare le valutazioni degli investitori. Ma nella vicenda s’inserisce un’altra OPS: quella lanciata nel novembre scorso da Unicredit su Banco BPM. Essa arrivò subito dopo che l’istituto guidato da Giuseppe Castagna era entrato nel capitale di Monte Paschi insieme alla controllata Anima, tra l’altro appena rilevata totalmente attraverso un’Offerta Pubblica di Acquisto.

Incognita Orcel

L’intervento di Andrea Orcel, amministratore delegato di Piazza Gae Aulenti, scombinò i piani del governo sul riassetto del sistema bancario con la nascita di un terzo polo. Unicredit ha ribadito, infatti, di non essere interessata a Siena. Le tensioni sono sfociate con la minaccia dell’esecutivo di usare il “golden power” per bloccare l’OPS su Banco BPM. Si tratta di uno strumento legislativo che consente di condizionare o di impedire in toto un’operazione di mercato, quando ci sarebbero rischi per gli asset strategici nazionali. E il risparmio rientra tra questi. Poco prima dell’assemblea Generali, la notizia che il golden power non è stato attivato. In cambio, sono state imposte alcune condizioni per permettere il via libera all’OPS. Tra queste, l’uscita in tempi brevi di Unicredit dalla Russia e il mantenimento dei livelli dei prestiti all’economia e dei titoli di stato in portafoglio. Orcel non l’ha presa bene, ma sta di fatto che non ha bloccato l’avvio dell’OPS da lunedì 28 aprile e che si concluderà entro il 23 giugno con data di regolamento fissata per inizio luglio.

OPS Unicredit su Banco BPM

L’offerta prevede l’emissione di 0,175 azioni Unicredit per ogni azione Banco BPM portata in adesione. Ai prezzi di borsa di fine venerdì, anch’essa risulta a sconto e di ben l’8,6%. Orcel dovrebbe aumentare la sua proposta di circa 1,3 miliardi per adeguarsi alle valutazioni del mercato, eppure ha finora ribadito di non averne voglia. Crede che le azioni Banco BPM siano già molto prezzate, specialmente dopo che l’authority europea ha negato all’istituto l’uso del cosiddetto “sconto danese” in relazione all’acquisizione di Anima. Contrariamente alle attese, Piazza Meda non potrà ridurre l’uso del capitale da assorbire ai fini regolamentari per mitigare l’impatto dell’operazione. E ciò comporta il sostenimento di un costo superiore alle previsioni iniziali del mercato.

Cosa farà Unicredit?

Il fatto che Unicredit abbia votato a favore della lista di Caltagirone all’assemblea Generali, apre già scenari interessanti per i prossimi mesi. E’ stato senza dubbio un segnale distensivo verso il governo, che sta sostenendo i due soci nella scalata a Mediobanca. Palazzo Chigi non vede di buon occhio che Donnet a gennaio abbia siglato un accordo con la società di gestione del risparmio francese Natixis per la nascita di una joint venture. Nascerebbe un colosso di 1.900 miliardi di euro, di cui 650 miliardi portati dagli asset manager di Trieste. Ci sarebbe il rischio che parte rilevante dei risparmi italiani finisca all’estero, sebbene l’AD di Generali abbia smentito tale ricostruzione.

Ma il voto a favore di Orcel andrebbe oltre il gesto. Egli stesso vorrebbe scalare Mediobanca/Generali, approfittando dell’OPS lanciata da Siena. Farebbe asse con i due soci per sovvertire il controllo proprietario della compagnia. Nel discorso s’inserirebbe persino Intesa Sanpaolo. L’istituto più grande del sistema bancario italiano ufficialmente non sta orchestrando alcuna operazione, anche perché non può rilevare più altri asset domestici per i divieti dell’antitrust. Tuttavia, sembra che sarebbe interessata a rimpiazzare Natixis nella gestione del risparmio insieme a Generali.

Sistema bancario in fase di ricomposizione

La banca piemontese guidata da Carlo Messina è presente nel capitale di Trieste attraverso Eurizon e Fideuram e ha appoggiato la lista di Assogestioni, anziché quella di Mediobanca. Un altro segnale di sfiducia verso la proprietà, cioè l’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, oltre che Donnet. Ecco, quindi, che il sistema bancario nazionale può uscire terremotato e stravolto entro qualche mese. Si stanno creando le basi per la nascita di un gruppo che parte da Siena e arriva a Trieste, passando da Milano. La peculiarità di questa svolta consiste nel fatto che il Tesoro ha messo in moto questo meccanismo, nei fatti schierandosi con due famiglie del capitalismo italiano: Caltagirone e Del Vecchio. Ciò sta attirando forti critiche in Italia e all’estero. Il governo è accusato di tornare al dirigismo dei decenni precedenti alle privatizzazioni, quando gestiva da dietro le quinte (spesso, anche sfacciatamente) operazioni di natura finanziaria.

 

 

 

 

 

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