Cambi fissi e flessibili, l’impatto sui mercati dei due approcci differenti al forex

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Di euro, delle sue inefficienze e di quanto si tratti di un’unione monetaria ancora incompleta se ne discute da molti anni in Europa. Le nuove generazioni probabilmente non sono del tutto consapevoli che si tratti di un dibattito esistente ancor prima che fosse avviato il percorso che portò alla nascita della moneta unica. Esso ruotava attorno alla necessità di dotarsi di cambi fissi o flessibili. In fondo, si discute sostanzialmente di questo anche adesso, pur da un’altra angolatura.

Cambi fissi, il caso Bretton Woods

Nel 1944, quando le sorti del conflitto mondiale sembrarono segnate, a Bretton Woods, cittadina nel New Hampshire, si riunirono i rappresentanti degli stati che avrebbero fatto parte dell’orbita occidentale (ben 44, a cui si sarebbe aggiunta la Germania Ovest). Insieme, gettarono le basi per l’ordine mondiale ancora oggi in larga parte esistente. Venne garantito un sistema monetario ruotante attorno al dollaro, contro il quale si istituivano cambi fissi delle valute. Inoltre, il governo americano garantiva la convertibilità in oro della sua divisa al seguente rapporto: 35 dollari per un’oncia.

Il sistema del cambi fissi resse fino al 1971, anno in cui l’amministrazione Nixon dichiarò l’impossibilità di garantire la convertibilità del dollaro in oro. Ne seguì un decennio di profonda instabilità valutaria, dato che i cambi divennero flessibili e di fatto si svalutarono in molti casi contro il biglietto verde. La situazione venne aggravata dalle due crisi petrolifere del 1973 e del 1979. Secondo i nostalgici dell’Accordo di Bretton Woods, sarebbe stato proprio il sistema monetario basato sui cambi fissi ad avere garantito stabilità finanziaria e ordine. Prosperarono così i commerci e lo sviluppo delle economie occidentali.

Differenze con cambi flessibili

Qual è la differenza tra cambi fissi e flessibili? Nel primo caso, i tassi di cambio tra due valute sono fissati in maniera stabile ad una data parità. In teoria, questa dovrebbe riflettere i fondamentali delle due valute, per cui dovrebbe mostrarsi stabile nel tempo, altrimenti perderebbe di significato. Il principale vantaggio consiste nel garantire certezze al mercato, almeno nel breve e medio termine. A differenza di quanto accade oggi, con l’euro che oscilla contro le altre valute mondiali, in un sistema di cambi fissi queste variazioni giornaliere non esistono. Ciò garantisce alle imprese costi certi per le importazioni, così come prospettive stabili per le esportazioni. Il rischio di cambio ne risulta azzerato anche per i capitali. Un ordine di questo tipo tende a garantire gli interscambi commerciali e finanziari tra le economie che lo adottano.

Svantaggi dei cambi fissi

Se fosse tutto rose e fiori, oggi avremmo i cambi fissi un po’ ovunque. Invece, i cambi flessibili la fanno da padrone. Perché? I primi presentano lo svantaggio di non consentire gli aggiustamenti macroeconomici quando un’economia perde terreno nei confronti dell’altra. Immaginate che il cambio Euro Dollaro fosse fisso e che l’Eurozona entri in crisi, avendo perso competitività e non riuscendo più ad esportare negli Stati Uniti. Non potremmo confidare sull’indebolimento della moneta unica, per cui la divergenza con l’economia americana tenderebbe a perdurare e magari ad accentuarsi con il tempo. L’unica soluzione sarebbe di varare riforme macroeconomiche per recuperare competitività e consentire la mobilità dei lavoratori per “esportare” la forza-lavoro eccedente.

Il problema di questo approccio è che richiede tempo, oltre che volontà politica non sempre disponibile o realizzabile. Per questo l’approccio che è prevalso con la fine di Bretton Woods è stato quello dei cambi flessibili. Essi funzionano esattamente come oggi con il cambio Euro Dollaro: i tassi di cambio fluttuano in base alla domanda e all’offerta dell’una valuta contro l’altra. Essa risente di numerose dinamiche, tra cui le politiche monetarie adottate dalle rispettive banche centrali, aspettative sulla crescita delle economie interessate, tassi d’inflazione, condizioni (geo)politiche, ecc. Persino Bretton Woods previde che i cambi fossero aggiustati qualora fosse necessario, fiutando che i cambi fissi non avrebbero retto alle medesime parità per un periodo indefinito.

Esempi fallimentari

In effetti, le esperienze degli ultimi decenni ci portano a confermare che i cambi fissi possono funzionare, a patto che si abbiano condizioni di partenza molto similari e stabili nel tempo tra le economie che li adottano. Ad esempio, è molto rischioso per un’economia emergente fissare una parità con il dollaro. Poiché le sue variabili macroeconomiche si evolvono in modo assai differente rispetto a quelle degli Stati Uniti, prima o poi l’espediente non regge. Eppure sono state numerose nel tempo le economie che vi hanno fatto ricorso. Gli esempi più drammaticamente fallimentari sono stati quelli di Argentina e Venezuela. La prima ancorò i pesos al dollaro ad un cambio irrealistico di 1:1 negli anni Novanta e fino al 2001, quando dovette svalutare il cambio, il quale crollò repentinamente a un rapporto di 1:3. Oggi, ci vogliono intorno a 1.000 pesos per un solo dollaro.

Trinità impossibile

Il problema più evidente che ci si ritrova a fronteggiare quando si adottano i cambi fissi è quello che in gergo è noto come “trinità impossibile”. E’ dimostrato che un Paese che ancòra la parità del proprio cambio, non può contemporaneamente avere anche libera circolazione dei capitali e indipendenza monetaria. In effetti, se gestisce la politica sui tassi senza riguardo per quella della banca centrale che emette la moneta con cui è stata fissata la parità, prima o poi i deflussi dei capitali riducono le sue riserve valutarie fino a rendere impossibili le importazioni dei beni e le operazioni di natura finanziarie. Per evitare tale sciagura, che porterebbe ad una violenta crisi dell’economia, sarà costretto o a svalutare il cambio, fissando una parità molto più debole o lasciandolo fluttuare liberamente sul mercato forex, o ad imporre controlli ai movimenti dei capitali. In alternativa, dovrà affrettarsi ad adeguarsi alla politica dei tassi altrui.

L’opzione cambi fissi a Bretton Woods prevalse contro le indicazioni dell’economista John Maynard Keynes. Egli era un fautore dei cambi flessibili, perché intravedeva in essi la possibilità dei governi di intervenire sul mercato forex per ragioni di politica economica. Viceversa, gli economisti di destra erano timorosi proprio di un interventismo statale che avrebbe destabilizzato l’ordine economico post-bellico. In effetti, con i cambi fissi non sono possibili per definizione le svalutazioni competitive e i governi sono tenuti ad una rigorosa disciplina fiscale, oltre che monetaria. L’euro non è altro che l’adozione di un sistema di cambi fissi tra le 20 economie che lo adottano. E questo spiega le numerose critiche al progetto. Allo stesso tempo, però, con il resto del mondo tendiamo ad adottare cambi flessibili.

Approcci intermedi e casi di successo

L’esperienza ha portato ad adottare approcci intermedi. Prima dell’euro esisteva il Sistema Monetario Europeo, detto anche “serpente monetario”. Esso entrò in vigore dalla fine degli anni Settanta fino a tutto il 1998. Prevedeva il cosiddetto “crawling peg system”: i cambi potevano oscillare tra le 12 valute che ne facevano parte attorno a una certa parità sia al rialzo che al ribasso. Di fatto, un sistema misto per rendere più flessibile quello scaturito da Bretton Woods. Esistono, tuttavia, esempi di successo nell’adozione dei cambi fissi: dal 1985 l’Arabia Saudita tiene ancorato il rial al dollaro a un tasso di 3,75:1. E Hong Kong dal 1983 fissa il proprio dollaro contro quello americano a un tasso attorno a 7,80. Non a caso si tratta di economie molto sviluppate e con elevati surplus commerciali e delle partite correnti.

Invece, un esperimento andato a male è stato quello del cambio minimo tra franco svizzero ed euro, introdotto unilateralmente dalla Banca Nazionale Svizzera nel settembre del 2011. Per evitare che la valuta elvetica si apprezzasse eccessivamente contro una moneta unica debole per via della crisi dei debiti, essa fissò un limite di 1,20 al di sotto del quale l’euro non sarebbe potuto scendere. A causa dell’eccesso di domanda di franchi con gli afflussi dei capitali, la pressione si fece tale da rendere impossibile il mantenimento di questa parità minima. Ne seguì un drammatico rafforzamento del cambio con l’annuncio del 15 gennaio del 2015 che la precedente politica di fatto cessava di esistere. In questo contesto, molti investitori iniziano ad investire in Bitcoin, sfiduciati dalla stabilità delle monete fiat.

Cambi fissi o flessibili, conta più la governance

Ma allora perché alcuni Paesi si ostinano i cambi fissi? In genere, per attirare la fiducia degli investitori e cercare di tenere a bada l’inflazione, male endemico di molte economie emergenti incapaci di gestire in maniera ordinata le proprie finanze. E per un periodo può funzionare, almeno fino a quando viene garantita una gestione oculata della politica fiscale e di quella monetaria. Tant’è che è lo stesso Fondo Monetario Internazionale a richiedere questo approccio dopo una svalutazione necessaria per ripristinare condizioni di mercato aderenti ai fondamentali. In conclusione, un sistema non garantisce con certezza effetti benefici duraturi rispetto all’altro. Tutto dipende da come un’economia viene gestita. Alla lunga, le inefficienze si pagano con qualsiasi approccio adottato.

 

 

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