Tobin Tax, cos’è l’imposta sulle transazioni finanziarie che il governo vuole raddoppiare dal 2026

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Torna al centro del dibattito politico dopo anni di apparente inabissamento la Tobin Tax. L’imposta sulle transazioni finanziarie prese il nome dall’economista e Premio Nobel James Tobin, che la propose per la prima volta nel 1972. L’intento era di arrestare la speculazione sui mercati finanziari e al contempo sfruttarla per incrementare il gettito fiscale a disposizione degli stati per combattere le diseguaglianze. E’ stata sin da subito una misura controversa, tant’è che pochi governi l’hanno sperimentata. La Svezia fu la prima al mondo e negli anni Novanta decise di tornare sui suoi passi, non intravedendo alcun beneficio e al contempo assistendo a conseguenze negative riguardo ai flussi dei capitali.

Tobin Tax anomalia italiana

In Italia la Tobin Tax venne introdotta nel 2013. Fu l’allora governo Monti a prevederla per fare cassa e disincentivare la speculazione in borsa. Sarebbe dovuta entrare in vigore presso tutte le grandi economie europee, ma alla fine ad adottarla furono solo Italia e Francia. La Germania rinviò di anno in anno dopo che si era fatta interprete della sua proposta. La nostra legislazione è assai complessa. In generale, sono colpiti gli strumenti partecipativi e le azioni di società con sede legale sul territorio nazionale, indipendentemente dalla nazionalità di chi effettua gli scambi. Un altro requisito risiede nelle dimensioni: sono escluse le società con capitalizzazione inferiore ai 500 milioni di euro.

Le aliquote in Italia

La Tobin Tax all’italiana si applica nella misura dello 0,10% del valore scambiato con riferimento ai saldi netti a fine giornata. Raddoppia allo 0,20% se i titoli non sono negoziati su un mercato regolamentato. Ed è dello 0,02% per le negoziazioni ad alta frequenza, sostanzialmente quelle che avvengono grazie all’uso di algoritmi senza l’intervento umano. Infine, sono fissate in base al sottostante valore nozionale e alla tipologia dell’emittente per i contratti derivati. Il governo vuole raddoppiarne le aliquote per cercare di incassare 337,3 milioni dal 2026. Stando alle prime indiscrezioni, avrebbe voluto quadruplicare le aliquote entro i prossimi 3-4 anni.

Per capire come funziona la Tobin Tax, vi proponiamo un esempio con cui vi segnaliamo un palese paradosso. Immaginate che Tizio acquisti 100 azioni a 10 euro ciascuna, spendendo complessivamente 1.000 euro. Entro la stessa giornata, rivende tutte le azioni a 10,50 euro e incassa 1.050 euro. L’imposta non è dovuta, in quanto il saldo dei titoli a fine seduta è 0: 1.000 azioni acquistate e 1.000 rivendute. Se lo stesso avesse mantenuto in portafoglio 300 azioni e rivendute 700, avrebbe dovuto pagare lo 0,10% (ipotizzando uno scambio in borsa) di 300 euro, ossia 30 centesimi. Perché è un paradosso? L’investimento decisamente speculativo tra i due sarebbe il primo, trattandosi di trading puro. Eppure, lo stato con la Tobin Tax va a colpire proprio le posizioni che, in teoria, sono state aperte per un periodo anche lungo, come potrebbe essere un investimento vero e proprio.

Gettito inferiore alle stime

Quando il governo Monti introdusse la Tobin Tax, iscrisse a bilancio entrate previste nell’ordine di circa 1 miliardo di euro. Ne incassò meno della metà. E ancora l’anno scorso, il gettito è stato di appena 546 milioni. I calcoli si sono rivelati di gran lunga sovrastimati per la semplice ragione che sono collassati gli scambi azionari. Questi superarono i 1.000 miliardi di euro nel 2012, l’anno prima dell’entrata in vigore del balzello. Lo scorso anno, non arrivavano a 666 miliardi. Come se non bastasse, molte società hanno trovato ancora meno conveniente quotarsi a Piazza Affari e molte altre, tra cui numerose a partecipazioni statale, hanno spostato la loro quotazione nei Paesi Bassi per sfuggire alla stangata.

Effetti collaterali

Il problema non è solo la Tobin Tax in sé. Un altro paradosso è che essa, riducendo gli scambi sui mercati, determina anche una minore liquidità dei titoli. E questo accresce il potere degli investimenti speculativi. Bastano relativamente poche compravendite per fare oscillare i prezzi anche in misura ampia. L’imposta contro la speculazione finisce per renderla più appetibile. Un titolo meno liquido, poi, riscuote minore appeal tra gli investitori. Ed ecco che il calo delle società quotate a sua volta innesca meccanismi negativi sulle valutazioni complessive. Un altro fattore che avrebbe contribuito negli ultimi anni a zavorrare la capitalizzazione alla Borsa Italiana.

Ad esempio, il rapporto Prezzo/utili in Italia ha chiuso venerdì scorso a 13,31 e alla pari con la Spagna contro 18,29 in Germania, 19,03 in Francia e 19,40 nel Regno Unito. Persino gran parte delle borse emergenti esibiscono rapporti maggiori: 16,33 l’Argentina, 15,13 il Sudafrica o 24,24 l’India. Questo significa che le azioni delle società quotate a Milano quotano ad un multiplo mediamente più basso che presso le altre grandi borse europee. E questo ha effetti negativi sulle stesse società, sugli azionisti e persino per le casse pubbliche. Azioni meno care producono minori plusvalenze sulle quali versare l’imposta del 26%. Si stima che senza la Tobin Tax lo stato italiano avrebbe un gettito fiscale più alto.

Rapporto P/e nel mondo

Tobin Tax cattivo segnale per gli investitori stranieri

Perché il governo vuole raddoppiare la Tobin Tax? Il gettito presunto serve a cancellare una norma inserita nella legge di Bilancio per il 2026 e risultata estremamente negativa: l’aumento dell’imposta sui dividendi infra-gruppo dall’1,2% al 24% per le partecipazioni inferiori al 10%. Molte società rischiano la doppia imposizione. La misura avrebbe dovuto fare introitare fino a 1 miliardo entro i prossimi anni a regime, per cui il Tesoro ha dovuto battere strade alternative. Ma l’aumento dell’imposta sulle transazioni finanziarie rischia di frenare il recupero che negli ultimissimi anni Piazza Affari sta registrando nei confronti delle altre piazze del continente.

Le conseguenze possono essere negative da più punti di vista. I capitali stranieri vedrebbero il nostro mercato poco incline al business e altri comparti dell’economia ne pagherebbero le conseguenze con la perdita di migliaia di posti di lavoro. Tra questi c’è quello informatico, il quale fornisce alla finanza programmi per l’analisi e gli investimenti. Infine, la stessa idea all’origine della Tobin Tax si rivela fallace. La lotta alla speculazione non risolve i problemi che devono affrontare le realtà “vittime” di tale fenomeno. Sarebbe come prendersela con il termometro per averci segnalato di avere la febbre. Ma, soprattutto, cos’è la speculazione se non l’arbitraggio nel tempo e nello spazio che fa sì che i prezzi si riallineino ai fondamentali? Il termine è usato spregiativamente dai media, ma non ha in sé alcuna connotazione negativa. E con l’imposta il governo asseconda una certa ignoranza diffusa tra l’opinione pubblica.

 

 

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