Quantitative tightening, cos’è e come impatta sui mercati finanziari

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Leggendo le cronache finanziarie, ci saremmo probabilmente imbattuti in una delle analisi a medio termine, secondo cui il 2025 sarà l’anno del Quantitative Tightening. L’espressione suona oscura alla maggior parte delle persone. Vediamo qual è il suo significato e cosa significa per chi investe sui mercati finanziari. La premessa è che dobbiamo tornare indietro al 2008, anno della gravissima Grande Crisi Finanziaria. Il mercato dei mutui subprime collassa dopo il fallimento di Lehman Brothers negli Stati Uniti. Memori della Grande Depressione attecchita dopo la crisi del 1929, scoppiata sempre nella prima economia mondiale, le banche centrali decidono di coordinarsi e agire in maniera molto differente. Azzerano i tassi di interesse e iniettano liquidità come non era mai accaduto prima. La Federal Reserve guida il processo con il varo del Quantitative Easing, espressione che letteralmente tradotta significa “allentamento massiccio”.

Svolta monetaria nel 2008

In pratica, la banca centrale americana si mise sin da subito a comprare bond governativi e quelli societari coperti da garanzie immobiliari. L’obiettivo fu duplice: liberare liquidità per sostenere i corsi azionari e obbligazionari e dare fiducia al mercato, sostenendone le aspettative d’inflazione. La Banca Centrale Europea (BCE), il cui funzionamento è complicato dal fatto di essere l’istituto centrale di ben 20 stati indipendenti, reagì in ritardo. Fu solo a partire dal 2015 che varò ufficialmente il Quantitative Easing. Vennero acquistati titoli di stato e obbligazioni private, nonché obbligazioni bancarie garantite. Il crollo dei rendimenti che ne seguì spinse gli investitori a rivolgersi ad asset class più rischiose, affacciandosi sul nuovo mercato delle crypto per cercare di ricavare valore.

Questo programma monetario rimase attivo fino alla metà del 2022, anche se era stato sospeso per l’intero 2019. Nel 2020, a seguito della pandemia, la BCE varò anche il PEPP, che sta per Pandemic Emergency Purchase Programme. Fu una sorta di copia del Quantitative Easing, ma più flessibile negli acquisti. Infatti, l’istituto non era tenuto a rispettare la regola del “capital key”, in base alla quale i titoli di stato nazionali potevano essere comprati in proporzioni alle dimensioni economiche degli stati emittenti.

Quantitative Tightening, ecco cos’è

Ma nel 2022 è accaduto qualcosa di imprevisto. E’ tornata l’inflazione. Le banche centrali sono dovute correre ai ripari. Per prima cosa hanno interrotto gli acquisti dei bond, in modo da limitare la liquidità sui mercati. E hanno altresì aumentato i tassi di interesse. Tuttavia, il passaggio dall’allentamento alla stretta non poteva essere drastico, perché altrimenti le economie rischiavano di essere colpite da una forte recessione. In effetti, basta dare un’occhiata al bilancio della BCE per capire. Nell’estate del 2022 aveva accumulato esposizioni per circa 3.400 miliardi di euro tramite il Quantitative Easing e altri più di 1.700 miliardi tramite il PEPP. Si rendeva, quindi, necessario un certo gradualismo verso quello che prende il nome di Quantitative Tightening.

Tra il luglio del 2022 e il febbraio del 2023, i bond in scadenza e acquistati con il primo programma furono reinvestiti al 100%. In pratica, scadevano titoli per 30 miliardi? Quella somma incassata la BCE la utilizzava subito per riacquistare altri bond. Tra il marzo del 2023 e il giugno dello stesso anno, invece, i riacquisti furono parziali. Infine, dal luglio del 2023 non ci sono più reinvestimenti. Ed è così, pertanto, che i bond in pancia con il Quantitative Easing sono scesi a circa 2.700 miliardi, di cui 2.325 miliardi di titoli di stato. Infatti, le scadenze non vengono rinnovate e mese dopo mese si riducono nel bilancio dell’istituto.

Il PEPP è rimasto attivo fino al marzo del 2022. Finita l’emergenza, non vi è stato più bisogno di procrastinarlo. Tuttavia, fino al giugno del 2024 la BCE ha garantito i riacquisti. Dal luglio scorso, invece, li ha ridotti di 7,5 miliardi al mese. Ed entro dicembre li avrà azzerati. Questo significa che a partire dal gennaio del 2025 non ci saranno più riacquisti dei 1.684 miliardi di bond posseduti, di cui 1.624 miliardi in titoli di stato. Ed ecco che arriviamo al Quantitative Tightening. Si calcola che l’anno prossimo ci saranno 410 miliardi di scadenze che la BCE non rinnoverà con i due programmi ormai di fatto cessati. Di questi, circa 70 miliardi riguarderanno i BTP dell’Italia.

Strategia passiva per la BCE

Stiamo passando a tutti gli effetti ad una “stretta massiccia”, cioè per l’appunto al Quantitative Tightening. Anche se, a voler essere onesti, la strategia che la BCE intende perseguire sembra prudente. Essa è puramente passiva, nel senso che consiste nel non riacquistare i bond in scadenza. Una strategia attiva, che la Federal Reserve ha avviato negli anni passati per combattere l’inflazione, consiste nel vendere sul mercato parte dei bond posseduti, oltre a non rinnovarne gli acquisti alla scadenza. Questa seconda soluzione avrebbe effetti più drastici per gli emittenti (governi, società e banche), perché aumenterebbe l’offerta dei loro titoli del debito sul mercato, abbassandone i prezzi e alzandone i rendimenti. La strategia passiva, invece, comporta più semplicemente che gli emittenti dovranno reperire altrove la domanda necessaria a rifinanziare le scadenze. Che già non è un problema da poco.

La BCE stessa ha pubblicato l’esito di uno studio, in base al quale gli spread tra titoli di stato nell’Area Euro salirebbero tra 35 e 65 punti base, cioè da un minimo dello 0,35% a un massimo dello 0,65%. Gli aumenti più consistenti sarebbero subiti da Spagna, Italia e Francia. Questo implica che il Quantitative Tightening avrebbe effetti asimmetrici sui bond, in quanto tenderebbe a colpire particolarmente quelli emessi dagli stati in condizioni fiscali più difficoltose. Il rischio percepito tende a salire, in effetti, ogni volta che viene anche solo parzialmente meno il sostegno della banca centrale.

Quantitative Tightening e taglio dei tassi

Il timore del mercato per il 2025 è che le cose possano andare peggio delle previsioni. E ciò accadrebbe per via delle copiose emissioni attese per combattere la frenata dell’economia europea. La stessa Germania, emittente sempre prudente, potrebbe allentare la sua regola costituzionale di “freno al debito” per accrescere gli investimenti pubblici e rilanciare il PIL tedesco. Già l’alta offerta basterebbe a mettere in guardia dai rendimenti. Se a questo aggiungiamo il Quantitative Tightening, arriviamo alla conclusione che il mercato obbligazionario sia esposto a possibili turbolenze. Ma assistiamo a un’ambiguità di fondo: la BCE riduce i bond a bilancio nello stesso momento in cui abbassa i tassi. Agli investitori arriva un segnale incerto: sta restringendo o allentando le condizioni monetarie? E’ come se un automobilista premesse il pedale del freno e quello dell’acceleratore nello stesso tempo.

 

 

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