Tassi americani giù per la prima volta dopo 9 mesi, ecco cosa significa per i mercati finanziari

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E’ andato come da previsioni. La Federal Reserve, che è la banca centrale degli Stati Uniti, ha annunciato di avere tagliato il costo del denaro dello 0,25%. E così i tassi di interesse americani scendono dal range del 4,25-4,50% al 4-4,25%. Si tratta del primo taglio dopo nove mesi e arriva esattamente ad un anno di distanza da primo del ciclo di allentamento monetario ancora in corso. Lo scorso anno, infatti, l’istituto ridusse il costo del denaro per tre volte e per l’1% complessivo.

Tassi americani giù senza oppositori

Stando al comunicato post-board, la votazione è stata di 11 governatori a favore e 1 solo contrario. Il mercato aveva previsto un numero di contrari più elevato. E bisogna considerare che l’unico ad essersi oppositore è stato Stephen Miran, già a capo dei consiglieri economici alla Casa Bianca e da poche settimane nominato governatore dal presidente Donald Trump. L’economista avrebbe desiderato un taglio dei tassi americani dello 0,50%. I due sospettati di un possibile voto contrario, ossia Michelle Bowman e Christopher Waller, non si sono opposti.

Nel board era presente oggi anche Lisa Cook, che il presidente aveva rimosso dopo che era stata accusata di avere forniti false informazioni per accedere ad un mutuo a tasso agevolato. I giudici hanno bloccato il licenziamento. Stando ai “dot-plots”, le stime degli stessi governatori sui tassi americani futuri, entro l’anno ci sarebbero altri due tagli dello 0,25% ciascuno. Per Miran dovrebbero scendere dell’1,25% entro dicembre. Il mercato stesso prezza una riduzione di altri 50 punti base entro dicembre. Tuttavia, per il 2026 ci sarebbe solamente un taglio dello 0,25% contro i tre scontati dal mercato. E un altro ancora arriverebbe nel 2027.

Fed tra inflazione e mercato del lavoro

Il taglio dei tassi americani è stato giustificato dalla crescita dell’economia “moderata” e dalla riduzione nella creazione di posti di lavoro, mentre l’inflazione rimane ancora “elevata”. La Federal Reserve è per legge obbligata a perseguire il doppio mandato. Esso consiste nel mantenere la stabilità dei prezzi, compatibilmente con la piena occupazione del mercato del lavoro. In termini numerici, il target d’inflazione è fissato al 2% e la piena occupazione sarebbe considerata tale con un tasso di disoccupazione attorno al 4%.

Oro da record, Bitcoin sempre forte

La stessa banca centrale, quindi, ammette che la situazione sia poco lineare. Da un lato l’economia avrebbe bisogno di tassi americani più bassi, dall’altra l’inflazione induce alla prudenza. I rendimenti decennali negli Stati Uniti sono scesi sotto il 4% dopo il comunicato, così come il trentennale ha offerto meno del 4,65%. Agli inizi di settembre, quest’ultimo era arrivato ad offrire il 5%. E la quotazione dell’oro è salita ai nuovi massimi storici, toccando i 3.707 dollari l’oncia. Per comprare Bitcoin, invece, servono più di 116.000 dollari, anche se già all’inizio della giornata la quotazione stava sopra i 117.000 dollari.

Scontro tra Trump e Powell

Cosa significa il taglio dei tassi americani per i mercati finanziari? La premessa è che l’evento fosse scontato. Le pressioni della Casa Bianca sul governatore Jerome Powell sono fortissime da mesi. Trump è arrivato a minacciare pubblicamente il licenziamento. Ma la Federal Reserve non può accondiscendere senza che i dati macroeconomici lo rendano giustificabile. Ad agosto l’inflazione è salita al 2,9%, dato massimo da gennaio. Al netto di generi alimentari ed energia – cosiddetta inflazione “di fondo” – si è attestata al 3,1%.

Un dato che lascia perplessi gli stessi governatori di Atlanta riguarda il cambio. Il dollaro si è di molto indebolito contro le altre principali valute mondiali. In media, ha perso l’11,5% dall’inizio dell’anno. Ciò aumenta il costo delle importazioni, che risultano gravate da aprile da dazi molto più alti rispetto a prima. Per quanto questi ad oggi non siano stati trasferiti pienamente ai consumatori, prima o poi lo saranno. Se questo non accadesse, le imprese dovrebbero ridurre i loro margini di profitto. Ma questo implicherebbe un calo delle quotazioni azionarie, vale a dire una crisi di Wall Street.

In gioco la credibilità di Atlanta

Il taglio dei tassi americani non può neanche lontanamente dare la sensazione che Powell abbia ceduto a Trump. Ne verrebbe intaccata la credibilità della principale banca centrale del mondo, con rischi per l’efficacia della sua politica monetaria e possibili contraccolpi alle aspettative d’inflazione con conseguente fuga dei capitali e ulteriore indebolimento del dollaro. Insomma, sarebbe crisi finanziaria ed economica allo stesso tempo. Ecco perché i prossimi annunci dovranno risultare con basi molto solide. Il vantaggio per Atlanta sta nel fatto di partire da tassi più alti sia in relazione a quelli fissati presso le altre principali economie, sia rispetto alla stessa inflazione americana.

Impatto ambiguo sui rendimenti

E’ positivo che la reazione dei mercati sia consistita tra le altre cose nella riduzione dei rendimenti a lungo termine. Non era scontato. Anzi, negli ultimi mesi è accaduto il contrario. Le banche centrali possono controllare direttamente solo il tratto medio-breve delle curve dei rendimenti. Il tratto lungo dipende da fattori come l’inflazione attesa e il rischio sovrano percepito. E nei prossimi mesi potremmo trovarci dinnanzi all’apparente paradosso di tassi americani che scendono e rendimenti a lungo termine in ulteriore rialzo, non solo negli Stati Uniti. Sarebbe la spia di una sfiducia verso l’operato degli istituti e dei governi. I primi fingerebbero di combattere l’inflazione, mentre sosterrebbero i secondi nell’aumentare i debiti senza grossi contraccolpi per la pace sociale.

In altre parole, i tassi americani starebbero scendendo più che altro per rispondere all’esigenza avvertita dal Tesoro di emettere debito a costi contenuti. Ma se gli investitori avessero questa percezione diffusa, la mossa si rivelerebbe un boomerang. Nell’Area Euro i margini per accondiscendere ai governi sono molto più ridotti. I tassi di interesse da noi sono già stati azzerati in termini reali e l’inflazione sembra avere smesso di arretrare, pur con una crescita dell’economia poco dinamica.

Dollaro più debole con i tassi americani in calo

L’annuncio del taglio ha spinto in serata il cambio tra euro e dollaro sopra 1,19, un livello che non vedeva dall’estate del 2021. E’ il segnale che il mercato forex stia scontando una politica monetaria americana relativamente più accomodante dell’Area Euro per il medio termine. In effetti, i trader non si aspettano più alcun taglio da qui a fine anno a Francoforte. I tassi americani, invece, proseguirebbero la discesa fino al 3,75%. La distanza tra tassi della Federal Reserve e della BCE scenderebbe dal 2,50% fino a poco prima del comunicato di questa sera all’1,75% di dicembre. Lo spread tra Treasury e Bund a 10 anni si è ristretto a circa 130 punti (1,30%) dai 220 punti (2,20%) di inizio anno. Il premio offerto dai bond americani si è ridotto dello 0,90% e ciò si è tradotto in un dollaro più debole contro l’euro del 15%.

 

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